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Cosa si nasconde dietro il conflitto tra Armenia e Azerbaijan

I risvolti di un conflitto che continua a mietere vittime nonostante il cessate il fuoco del 9 novembre 2020

Decine di morti e feriti da entrambi i lati, una nuova escalation che risulta anche in una crisi più grave: 13 soldati armeni presi in ostaggio si sono aggiunti alle decine di prigionieri di guerra e ostaggi civili usati dal regime di Baku come moneta di scambio. Ci sono inoltre 24 militari armeni scomparsi.

Gli scontri si sono verificati al confine tra Armenia e Azerbaijan, vicino a Ishkhanasar e Tsitsernakar, sul territorio sovrano della Repubblica d’Armenia, invaso dalle truppe azere questo 16 novembre 2021. Altre forze del trio Turchia-Azerbaijan-Jihadisti mercenari si schierano nei pressi di Gegharkunik e Vayots Dzor dalle postazioni costruite dopo la riconquista della zona di cuscinetto intorno alla Repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh). Dopo l’infiltrazione delle truppe azere nei dintorni del lago Sev nel maggio di quest’anno, la nuova invasione iniziata questo 14 novembre si distingue come l’azione militare più esplicita svoltasi sul territorio sovrano della Repubblica d’Armenia, durante la quale quattro postazioni armene sono stati circondati dalle truppe dell’aggressore.

Soldati armeni (immagine di repertorio)

E’ l’ennesima provocazione da parte azera per rilanciare il progetto di aggressione antiarmena e per appropriarsi sempre di nuovi territori, adesso già della Repubblica di Armenia. La macchina ideologica turco-azera, sostenuta in pratica anche dai terroristi jihadisti esportati dalla Siria, ha nel corso dell’anno scorso messo in campo diverse azioni per raggiungere questo obiettivo: il non adempimento ai punti della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, la preparazione di falsi procedimenti giudiziari contro i prigionieri di guerra armeni presso i tribunali di Baku, il blocco deliberato delle strade nelle zone limitrofe della regione armena di Syunik come mezzo indiretto per terrorizzare la popolazione pacifica di Syunik, l’uccisione da parte dei cecchini azeri di civili armeni in Artsakh. E tutto ciò per avere l’assenso del governo armeno per spaccare il territorio della Repubblica d’Armenia in due, con un corridoio stradale che possa creare un collegamento terrestre Azerbaijan-Nakhijevan-Turchia per il mondo panturco, il grande sogno dei neo-ottomani, i quali durante la parata militare di Baku esaltavano le virtù dei perpetratori del Genocidio armeno, presentandosi ovviamente come i loro allievi fedeli e seguaci ideologici.

Sullo sfondo della politica di odio anti-armena e della campagna diffamatoria adottata e promossa in Azerbajgian ai massimi livelli, questi sviluppi non hanno nulla a che vedere con un processo di pace. Sembrano piuttosto una misura per obbligare la parte armena ad accettare la sostituzione della piattaforma del Gruppo di Minsk con una nuova “3+3” (Turchia, Azerbaijan, Russia, Georgia, Iran e Armenia) ideata e sostenuta, a proposito, dalla Turchia nei suoi recenti tentativi di entrare “ufficialmente” nel gioco e far parte della “risoluzione del conflitto” tra Armeni e Azeri.

Grigor Ghazaryan, Professore Associato, Università Statale di Yerevan

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