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Coronavirus: Stati Incerti d’America

A Interris.it Giovanna Pancheri, corrispondente Usa, spiega come l'epidemia di coronavirus influirà sul dibattito politico

“Voi avete lo Spallanzani, siete in ottime mani”. A dirlo è la più autorevole voce della virologia statunitense, il dott. Joseph Fair. Lo specialista, a capo della task force che combatte l’Ebola nella Repubblica Democratica del Congo, è stato intercettato dalla giornalista Giovanna Pancheri, corrispondente Usa di Sky Italia, che – come ha dichiarato a Interris.it – l’ha rassicurata: “L’Istituto romano è la migliore struttura al mondo” le ha detto. Con tre Stati in emergenza, fra cui la California, il nuovo coronavirus sta infettando il dibattito politico statunitense, scisso tra le sdrammatizzazioni del presidente Donald Trump dalle tribune di Fox News e le contestazioni dei democratici, che puntano il dito contro un sistema sanitario troppo privatizzato. In un’emergenza sanitaria mondiale, gli Stati Uniti mostrano una vulnerabilità inconcepibile dallo stesso Donald Trump: una partita che è anche di natura economica, come mostra il consistente taglio dei tassi d’interesse operato dalla Federal Reserve. Non ha certo rassicurato i parlamentari il fatto che l’Ufficio del Budget abbia rispolverato uno studio sugli effetti della pandemia d’influenza del 1918-20, la cosiddetta “spagnola”. Allora, i morti furono 17 milioni.

Un momento della conferenza stampa del presidente Usa, Donald Trump, sul coronavirus – Foto © Evan Vucci per AP

Cosa cambierà da qui al 3 novembre? Interris.it lo ha chiesto alla giornalista Giovanna Pancheri.

Il coronavirus rischia di destabilizzare il clima elettorale fino al 3 novembre?
“In parte lo sta già facendo, perché i candidati democratici ne parlano da quando l’epidemia ha iniziato a colpire l’Europa ed altri Paesi fuori dalla Cina. I democratici ne hanno parlato in toni di attacco nei confronti di Trump. Pensando ai due candidati dem che rimangono adesso, Biden e Sanders, il primo accusa Trump di aver tagliato una serie di strutture create dopo l’emergenza Ebola nel 2014 dall’amministrazione Obama, inclusa la task force all’interno della Casa, e il taglio dei fondi alla sanità pubblica. Sanders, invece, propone la sanità pubblica per tutti, e negli ultimi comizi ha ribadito questo tema, ricordandone l’urgenza”.

Come sta reagendo il presidente Donald Trump?
“Trump comprende la portata politica del coronavirus, anche economica, come mostrato dal crollo dei mercati. Tra l’altro, l’economia è uno dei punti forti della sua propaganda elettorale. Va detto che, fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, la Casa Bianca ha cominciato a monitorare la propagazione del contagio, se la si compara alla crisi dell’Ebola, quando l’Amministrazione Obama ha atteso un po’ prima di cercare di limitarla e capire che cosa fosse. È comprensibile, da parte del leader di un Paese, cercare di non diffondere il panico. Due giorni fa Trump ha, comunque, voluto rassicurare il popolo americano: in un suo tweet ha voluto ricordare che nel 2009 il virus della suina A/H1N1 ha fatto 13mila morti. Il problema di questo virus è che il suo tasso di mortalità è più alto e il contagio più veloce”.

Quali sono le questioni sul tavolo adesso?
“Innanzitutto, la disponibilità dei test e dei tamponi, ma anche i rifornimenti legati ai trattamenti. Anche negli Usa c’è un problema di disponibilità delle unità di terapia intensiva. Il Congresso ha da poco varato un pacchetto di 8,3 miliardi di dollari da stanziare, sebbene Trump avesse dichiarato che ne sarebbero bastati due miliardi. Adesso il governo sta studiando delle soluzioni sul pagamento delle persone in malattia per l’emergenza sanitaria”.

Negli Stati Uniti c’è comunque il rischio di un’impostazione privatistica rispetto agli altri Paesi oppure no?
“Bisogna distinguere due aspetti: tranne alcune grandi città (New York), con poli d’eccellenza nella sanità pubblica, in altre zone ci sono carenze. Nello stato di Washington, per esempio, alcuni operatori sanitari lamentano la mancanza di mascherine, per esempio. Per quanto riguarda la ricerca, è proprio grazie all’attenzione sugli investimenti nelle biotecnologie che si potrà arrivare, prima che in altre situazioni, a una soluzione efficace”.

In che senso?
“Negli ultimi anni, nella Silicon Valley c’è stato un incremento della ricerca nelle biotecnologie e ci sono realtà private, che non fanno ricerca soltanto per le case farmaceutiche. Per esempio, c’è una società di biotech finanziata dalla fondazione di Bill Gates o altri privati, come l’imprenditore Warren Buffet, che investono con fondi che nel pubblico sarebbero difficili da reperire. È sì importante finanziare la ricerca del pubblico, ma per velocizzare le cose servono finanziamenti che possono venire solo da privati”.

Dal punto di vista sociale, hai visto un cambiamento dei comportamenti negli ultimi tempi?
“Va fatta una distinzione. A monte, i media americani hanno sempre un atteggiamento allarmistico, soprattutto di questi tempi con il coronavirus. Mi ha colpito che a New York, dalla settimana scorsa, nelle farmacie di Manhattan non si trova più niente, nemmeno i gel disinfettanti. È lo stesso atteggiamento che abbiamo avuto in una prima fase in Italia. Si sta imponendo una visione del Belpaese come luogo da cui sono partiti tanti contagi.  L’Italia, che nell’immaginario americano, è un Paese di vacanza e relax, ha avuto un effetto distorsivo, con le sue zone rosse e di contenimento del contagio”.

Qual è, invece, il parere degli scienziati?
“In questi giorni il virologo Joseph Fair, a capo della task force sull’epidemia di Ebola, da poco tornato negli States, mi ha personalmente tranquillizzato: ‘Voi avete lo Spallanzani’ – mi ha detto, aggiungendo: ‘è la migliore struttura al mondo’. Gli esperti che negli States parlano dello stato dell’epidemia, sono tutti concordi sull’eccellente livello della sanità pubblica italiana. Almeno questo è confortante”.

Donald Trump, con il vice-presidente Mike Pence, durante un incontro con le compagnie aeree Usa sull’emergenza coronavirus – Foto © Jim Lo Scalzo per EPA

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