In Italia più di un milione di minori vive in condizioni di povertà assoluta. Alla privazione economica e materiale si aggiunge un’altra povertà, ugualmente grave e drammatica, ma più insidiosa e difficile da misurare. È la povertà educativa, ovvero la “privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni di bambini, bambine e adolescenti”. Questa definizione che si traduce concretamente nella difficoltà o impossibilità di accedere a risorse economiche, cognitive e culturali per la promozione della propria libertà individuale, ossia della possibilità di fare esperienze educative di vario genere offerte dal territorio in cui i ragazzi e le ragazze vivono. Interris.it, su questo tema e sulle possibili strategie da mettere in campo per farvi fronte, ha intervistato Angelo Colombini, Vicepresidente EBNA e FSBA e Consigliere Civ Inail.
L’intervista
Colombini, cosa indica il termine povertà educativa?
“Vorrei rispondere citando un pensiero di Papa Francesco, risalente al 2020, ma di estrema attualità, dove il Santo Padre sottolineava che ‘l’accesso della popolazione mondiale all’educazione è segnato da forti disuguaglianze: la povertà, la discriminazione, il cambiamento climatico, la globalizzazione dell’indifferenza, le ‘cosificazioni’ dell’essere umano fanno appassire la fioritura di milioni di creature’. La povertà educativa, pertanto, è un fenomeno molto complesso, perché non è legato solamente all’istruzione e quindi all’abbandono scolastico, ma anche a tutta una serie di condizioni di povertà materiale, economica e sociale del nucleo familiare che conducono a trascurare e/o rinunciare all’educazione e quindi rischiano di condannare i/le giovani ad un futuro di sfruttamento, lavoro povero e sommerso, basse retribuzioni e a un forte rischio di esclusione sociale”.
Cosa ci dicono i dati riguardanti questo fenomeno in Italia? Come si può agire per arginarla?
“Gli ultimi dati riguardanti la povertà educativa in Italia ci dicono che, oltre il 67% dei minori di 17 anni non è mai andato a teatro, il 62,8% non ha mai visitato un sito archeologico e quasi il 50% non è mai entrato in un museo. Il 22% non ha praticato sport e attività fisica e solo il 13,5% dei bambini e delle bambine sotto i tre anni ha frequentato un asilo nido. Queste percentuali sono molto preoccupanti ed è necessario agire per ridurle. Una strada da percorrere per il perseguimento di tale obiettivo di civiltà è rappresentata dagli interventi integrati, che attraverso una sinergia con i diversi servizi del territorio possono ridurre il fenomeno che, attualmente, riguarda molte migliaia di bambini in condizione di povertà assoluta a cui sono negati i diritti basilari”.
Quale valenza assume il PNRR in questo contesto?
“In questo contesto le risorse del PNRR, insieme a quelle della politica di coesione e quindi della nuova programmazione 2021-27, assumono un’importanza enorme per mettere a sistema un insieme di azioni integrate e complementari, sia dal lato delle politiche sociali e occupazionali, sia da quello delle politiche per l’istruzione. Favorire e sostenere l’iscrizione dei bambini/e agli asili nido è importante non solo per la loro crescita personale, diminuendo quindi i rischi della dispersione e dell’abbandono, ma anche per promuovere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Per questo è fondamentale per le famiglie che il grande investimento del PNRR sugli asili nido venga portato a termine”.
La povertà educativa spesso è correlata alla dispersione scolastica. Come si potrebbe agire su questo versante?
“È necessario sostenere la permanenza dei bambini/e nel sistema di istruzione attraverso l’estensione del tempo pieno, il potenziamento del servizio mensa e delle attività sportive e extracurriculari. Sono disponibili 1,5 miliardi per azioni contro la dispersione scolastica, la povertà educativa e per superare i divari territoriali, ripartiti tra le Regioni e distribuiti agli istituti scolastici. In questo scenario si collocano anche le azioni in favore dell’orientamento dirette a sostenere e guidare gli studenti e le studentesse nella scelta dei percorsi di studio terziari, sia accademici che professionalizzanti. A questo proposito sono particolarmente efficaci per sconfiggere l’abbandono scolastico ed elevare il numero di studenti e studentesse che conseguono una qualifica professionale o un diploma gli investimenti per diffondere il sistema duale nel nostro Paese, consentendo a coloro che sono più inclini ad una didattica mista tra formazione in aula e apprendimento sul lavoro di sperimentare sia forme di alternanza rafforzata che veri e propri contratti di apprendistato”.
Quale dovrebbe essere a suo parere il ruolo delle scuole paritarie in questo processo di inclusione sociale e di contrasto alla povertà educativa?
“Per quanto riguarda i finanziamenti per progetti dedicati agli studenti, per la formazione per i docenti, per la realizzazione di laboratori, per il piano scuola digitale ordinario, le scuole paritarie in questi anni sono sempre state escluse. L’idea che la scuola statale sia l’unica a svolgere una funzione pubblica è stata ulteriormente confermata dal PNRR, che sta aumentando ancora di più questa disparità di trattamento. Lo stesso Piano circoscrive il novero delle istituzioni scolastiche coinvolte e un titolo della Missione 2, “Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici”, menziona espressamente le sole “scuole pubbliche”. Così come «la linea di investimento del PNRR “Scuola 4.0” già adottata, è destinata alle sole scuole statali e mira a trasformare gli ambienti dove si svolge la didattica curricolare (almeno 100.000 classi) con dotazioni digitali avanzate e a dotare le scuole del secondo ciclo di istruzione di laboratori avanzati per l’apprendimento delle professioni digitali del futuro”.
Quante sono le scuole paritarie in Italia attualmente?
“Gli ultimi dati forniti dal Ministero, le scuole paritarie nell’anno scolastico 2021-2022 sono 12.096 (di cui 8.529 scuole dell’infanzia); sono frequentate da 817.413 studenti di cui più della metà (466.037) risultano iscritti alla scuola dell’infanzia. In aggiunta ai 466.037 alunni che frequentano la scuola gestita da Enti privati, occorre aggiungere gli 821.970 alunni che frequentano le scuole paritarie gestiti dai Comuni. Altri dati sono inoltre indicativi della realtà delle scuole paritarie nel loro complesso e si riferiscono al numero dei docenti (24.490, di cui 1.932 di sostegno) e al numero di alunni con disabilità (4.215, sono l’1,4 % a fronte del 2% delle scuole statali).
Che funzione svolgono?
Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico di grandissima importanza, soprattutto per quanto riguarda la fascia di età 0 – 6 anni, perché rappresentano in molte realtà l’unica scuola dell’infanzia presente sul territorio. La possibilità di accesso ad una scuola d’infanzia di elevata qualità, ed indubbiamente le scuole paritarie possono vantare esempi di eccellenza nella propria offerta formativa, è di certo un primo passaggio fondamentale nella formazione del bambino. Infatti, è comprovato che il percorso scolastico iniziato in un ambiente favorevole e con docenti preparati aiuta sicuramente gli alunni nel proseguimento degli studi, ma soprattutto favorisce l’educazione e l’apprendimento, fornendo occasioni per imparare e per vivere in una comunità ispirata a valori trasversali quali il rispetto delle regole e dei compagni, la vita in gruppo, la condivisione, la gestione dei conflitti e delle difficoltà, la solidarietà e l’impegno sociale verso l’altro”.
Veniamo al nodo scuola – lavoro. In che modo si possono armonizzare l’offerta formativa e l’ingresso dei più giovani nel mondo del lavoro?
“Bisogna tenere insieme le due dimensioni. Quella della crescita personale, l’acquisizione di conoscenze e competenze di base e trasversali con l’esigenza di un maggior incontro e dialogo tra scuola e lavoro per abbattere il disallineamento tra domanda e offerta di competenze e aiutare lo sviluppo e l’innovazione delle imprese. Accanto a questi interventi sul lato dell’istruzione ci sono poi tutte le misure su occupazione e politiche sociali dirette a rafforzare il sistema delle politiche attive e i servizi di presa in carico attraverso cui i lavoratori, ma anche chi è in cerca di occupazione, i disoccupati, i NEET, possono partecipare ad iniziative di formazione, e/o ricevere offerte di lavoro. Anche questo sarà un banco di prova importante per sapere una volta per tutte se il nostro Paese è in grado di dotarsi di un sistema di politiche attive moderno, personalizzato e che sia tarato sui diversi bisogni delle persone”.
Le modifiche al Reddito di Cittadinanza e la sua sostituzione con altre misure di sostegno stanno facendo emergere in misura maggiore la povertà nelle famiglie e la necessità di sostegni adeguati. Come si potrebbe agire sugli aspetti formativi per rispondere alle fragilità emergenti?
“La povertà è un fenomeno multidimensionale con diverse sfaccettature che hanno bisogno di risposte adeguate. La modifica del reddito di cittadinanza ha fatto emergere con tutta la sua gravità il problema del sostegno alle famiglie in condizioni di povertà; è necessario mettere a punto al più presto un’offerta adeguata di percorsi formativi che possano dotare le persone di quelle competenze di base e trasversali necessarie per vivere e lavorare. Solo così sarà possibile poi investire in un sistema di apprendimento permanente per l’aggiornamento e la riqualificazione più idoneo a rispondere alle sfide delle rivoluzioni digitale e verde che stanno coinvolgendo i lavoratori e le lavoratrici di tutte le filiere produttive, delle PMI e non ultime delle imprese artigiane.”