In questo periodo storico ed economico estremamente difficile nel quale, alle conseguenze economiche della pandemia si stanno sommando quelle della guerra in Ucraina, generando rincari nel costo dell’energia e delle materie prime, l’attuazione di un ciclo economico più attento alla sostenibilità ambientale e sociale è imprescindibile. Un settore fondamentale nel quale, secondo i dati quotidiani raccolti, è molto importante incidere, è quello del ciclo dei rifiuti che, in ossequio ai principi dell’economia circolare e alle correlate direttive europee in materia e attraverso la responsabilità sociale delle imprese coinvolte nel settore, ponendo l’attenzione sull’intero ciclo di vita dei prodotti. Così facendo, si favorisce anche la riduzione delle emissioni di Co2. Questo percorso risulta però essere lungo e, a tratti, tortuoso. Interris.it, in merito alle questioni attuali in questo campo, ha intervistato il segretario confederale della Cisl, Angelo Colombini.
L’intervista
Segretario, qual è la situazione attuale dello smaltimento dei rifiuti in Italia?
“In Italia, per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, lo smaltimento in discarica riguarda ancora il 20% del volume prodotto, quando invece, l’obiettivo indicato dall’ultima direttiva europea sul tema, già recepita dal nostro ordinamento, stabilisce che, al 2035, non debba superare il 10% dei rifiuti gestiti”.
In quest’ottica che utilità può avere un impianto termovalorizzatore? Qual è la tecnologia che ne sta alla base?
“Bisogna sottolineare che, il termovalorizzatore, non è un semplice inceneritore, che brucia rifiuti generando emissioni. È altresì dotato di una tecnologia avanzata che ottimizza la combustione dei rifiuti, non riciclabili, per recuperare energia da distribuire ai cittadini, come già ci impone la normativa vigente oltre a produrre acqua calda utilizzata in gran parte per il teleriscaldamento delle abitazioni. I detrattori di questa tecnologia però, nonostante le evidenze positive, diffondono diverse opinioni sulla funzione negativa dell’impianto stesso. Da un lato, affermano un aumento di emissioni inquinanti, che questa tecnologia provocherebbe, ignorando però tutte le più recenti analisi scientifiche effettuate, che rilevano invece come tali impatti risultino marginali e poco significativi. Dall’altro, sottolineano che la termovalorizzazione impedisce e rallenta il processo di riduzione dei rifiuti, riuso dei beni e recupero di materia, orientato verso l’economia circolare. La realtà, invece, evidenzia che la valorizzazione energetica risulta complementare alla riduzione dei rifiuti, al riuso dei beni e al riciclo, al fine di minimizzare al massimo il ricorso allo smaltimento in discarica”.
Quale dovrebbe essere la soglia ottimale che il recupero energetico dei rifiuti dovrebbe assumere per una gestione maggiormente sostenibile dei rifiuti?
“Sovente si discute in merito a questo tema, ma le direttive europee ci indicano la corretta via da seguire. Ad esempio, se dal 2035, il riutilizzo e l’effettivo riciclo dei rifiuti dovrà raggiungere almeno il 65% del totale e lo smaltimento in discarica non potrà superare il 10%, il recupero energetico potrà riguardare fino al 25% dei rifiuti non riciclabili. In questo ambito, la termovalorizzazione, mira non soltanto ai rifiuti che residuano dalle raccolte differenziate, ma anche ai materiali estranei rispetto ai rifiuti differenziati, oltre che agli scarti dei processi di riciclo. Ma purtroppo nel nostro Paese c’è carenza di impianti di termovalorizzazione che caratterizza alcune regioni d’Italia, in primis Lazio e Sicilia”.
Secondo Lei esiste un modello virtuoso da seguire nella gestione dei rifiuti?
“A mio parere, il modello virtuoso da seguire in questo ambito, è quello già sviluppato da anni in Lombardia, che avvia a riciclo quasi il 74% di rifiuti urbani, ne valorizza energeticamente più del 20% e ne smaltisce in discarica il 3,5%. Cogliendo già oggi gli obiettivi europei fissati al 2035. Stupisce quindi che da alcuni ambienti politici, sindacali e dell’associazionismo ambientalista si prendano le distanze dal progetto presentato nelle scorse settimane dalla giunta del Comune di Roma che, di quel modello, apprezzato non soltanto in Italia, cerca di riproporne le fondamenta per chiudere il ciclo dei rifiuti sul proprio territorio”.
Quali sono gli auspici della Cisl in materia di tutela dell’ambiente e end of waste?
“Riteniamo importante che si sciolga il groviglio normativo sull’end of waste, che purtroppo in questi anni ha rallentato una migliore disponibilità ed utilizzo di materie prime seconde, provenienti dai processi produttivi. Le imprese hanno bisogno di normative chiare ed omogenee, che non cambino tra le varie regioni. C’è bisogno, inoltre, di un grande sforzo promozionale ed operativo per favorire processi produttivi che partendo da una riprogettazione dei prodotti e dei processi consentano un maggior utilizzo di materie prime seconde e permettano un più facile avvio al riciclo dei prodotti a fine vita.”