“Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Bisogna curare le ferite. A cominciare dal basso“, ha affermato Francesco nella sua prima intervista dopo l’elezione al soglio di Pietro. Per Interris.it l’educatrice salesiana suor Maria Trigila ripercorre il “martirio della misericordia” del camilliano fratel Leonardo Grasso. “Aveva ben chiaro il valore salvifico della sofferenza. Orizzonte che unificava la sua esistenza. Valore che determinava le sue domande di senso”. spiega la religiosa a Interris.it.
La Chiesa al servizio degli ultimi
A Catania, nella provincia in cui si è svolto per un quarto di secolo l’apostolato della carità del martire camilliano, suor Maria Trigila si dedica a tempo pieno alla formazione delle nuove generazioni. E alle emergenze sociali nelle fasce più disagiate della popolazione. Educatrice e comunicatrice, sempre al sevizio degli ultimi, più che mai in tempo di pandemia. Suor Maria Trigila è stata la prima religiosa ad aver conseguito in Italia il tesserino di giornalista professionista. Siciliana di Caltagirone, la città natale di don Luigi Sturzo, dopo la laurea in lettere e due specializzazioni (Comunicazione sociale e Teologia) ha diretto la comunicazione dell’Istituto Maria Ausiliatrice. Ha insegnato giornalismo all’Università Salesiana Auxilum di Roma. E ora soccorre gli indigenti nei quartieri poveri di Catania.Cosa significa operare per la “Chiesa ospedale da campo”?
“Fratel Leonardo Grasso è stato ucciso da uno degli ‘ultimi’ che quotidianamente soccorreva. Il quarto voto dei Camilliani è proprio quello di farsi carico dei sofferenti. Per lui s’intreccia con quello del martirio cruento. Rimango senza parola di fronte all’assassinio di una persona che aveva scelto concretamente i poveri. I disagiati. Il cosiddetto ‘scarto umano’. Ogni suo gesto aveva il timbro della paternità spirituale. Anche sotto i colpi mortali delle bastonate. Fino a diventare torcia umana di sacrificio e preghiera”.
Qual è il valore per la Chiesa universale di questa testimonianza?
“Giorni fa a Mangano di Riposto (Catania) ho chiesto al superiore dei camilliani, Fratel Carlo Maria Mangione, se poteva fornirmi qualche scritto. Una citazione. Un ricordo. Un appunto di prima mano conservato nel breviario di fratel Leonardo Grasso. Per incontrare, attraverso le parole, la profondità del suo animo. Per cogliere il non detto. E lasciarmi interrogare dalla sua interiorità”.Di cosa si tratta?
“Sono foglietti di carta, anche stropicciata, siglati dal suo nome. ‘Solo chi è di Dio può assaporare e gustare la bellezza del servire i malati’, scrive fratel Leonardo Grasso. Si tratta di fare esperienza, 24 ore su 24, della fragilità umana. Intrecciare con l’ammalato un legame famigliare. In cui l’amore non passa oltre. Non volta la faccia. Ma è il filo rosso che lega la sofferenza e l’angoscia. Servire è allora consolare. Sollevare. Custodire. Aiutare a gestire la sofferenza”.Può farci un esempio?
“Della malattia fratel Leonardo si faceva carico. E sperimentava ciò che predicava San Paolo alle comunità dei credenti. Cioè completare nella sua carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa. Leggiamo da un appunto a cui sembra che il religioso camilliano affidi il compito di fargli da promemoria nel suo quotidiano”.Cioè?
“Scrive fratel Leonardo: ‘Io chi sono? Non so? Io esisto? Si. Esisto perché vivo una vita mia nel bene e nel male. Esisto anche per qualcuno, per chi riceve da me attenzioni, cure e affetto. Ci sono dunque? Sono il risultato delle mie contraddizioni, dei miei desideri, delle mie illusioni e delusioni. In definitiva sono una piccola creatura incapace di amare il vero Amore. Una piccola creatura che spera e si augura di beneficiare del perdono e della misericordia di Dio. Purtroppo, ancora non riesco a sentire dentro di me la voce che dice ‘io sono il figlio prediletto di Dio”. Ecco il fondamento teologico della vita di Fratel Leonardo”.
Cosa insegna il suo martirio della dedizione totale ai fragili?
“Fratel Leonardo aveva preso tra le mani la sua vita per farne una relazione d’aiuto. Per vivere il servizio come ‘servo’. Ossia servire gli ammalati senza servirsi degli ammalati. E senza farsi servire da questi. Dai suoi appunti emerge che egli avvertiva con umiltà la sua inadeguatezza. E ciò lo rendeva efficace nelle sue relazioni”.Perché?
“Perché riusciva ad infondere, tra l’altro, forza d’animo. Proprio la chiarezza di chi fosse lo rendeva pronto a chinarsi verso tutti. Senza calcoli. Senza timori. Fratel Leonardo Grasso considerava la vita un dono di Dio. E per questo doveva essere messa al servizio di chi è fragile. Era la sua sfida. dare dignità alla propria ed alla esistenza altrui”.
Un cammino verso quale destinazione?
“Ho detto prima che l’amore è stato il filo rosso del suo tendere la mano per confortare. Sostenere. E curare. Ed anche la migliore medicina per la solitudine dettata dalla fragilità umana. Tutti atteggiamenti che fratel Leonardo non ha improvvisato. Ma in cui si è adoperato per servire l’essere martoriato. Bandendo, in modo particolare, la malattia dell’autocommiserazione”.
In che modo?
“Su un ultimo fogliettino di carta riciclata scrive: ‘Che parli di me solo chi mi conosce in profondità. Che si dica di me la realtà di un religioso non ‘tradizionale’. Che siano presenti alla cerimonia le sole persone che mi hanno voluto veramente bene. E che mi hanno accettato così come sono stato’.E’ il testamento spirituale di fratel Leonardo Grasso?
“Forse avvertiva che la parabola della sua vita terrena era compiuta? Il cerchio del servizio si chiudeva? Non sappiamo. Ma una cosa è certa. Ogni giorno aveva il suo valore. E nel tempo avevano valore soprattutto le persone con cui aveva condiviso la gioia ed i disagi del ‘servizio’. Le persone che non erano rimaste fuori dal cerchio della gratuità. Ma con le quali aveva condiviso il tempo”.
Con quale spirito?
“Per arricchirsi interiormente. E per crescere in saggezza. Solo queste persone potevano essere credibili nel raccontare il contenuto del ‘non tradizionale’. Ossia quel sentire la vocazione come un appello personale di Cristo. Quel vivere l’imperativo di lasciare tutto nell’adesione ai suoi passi. Quel devolvere o chiedere ogni cosa per i suoi giovani ammalati di Aids. Fino a morire bruciato nella Tenda San Camillo di Marre di Riposto. A una trentina di chilometri da Catania. Solo queste persone potevano conoscere la verità su di lui. E solo queste persone potevano essere testimoni della sua coscienza”.