“Lieta e col volto di mamma”: la Chiesa italiana secondo Francesco

Chiesa

Alla Chiesa italiana, di cui è Primate, papa Francesco ha indicato un percorso. Il 10 novembre 2015, facendo visita ai delegati delle diocesi nel corso del V Convegno ecclesiale di Firenze, Francesco ha concluso il suo discorso esternando ciò che sogna per la nostra nazione. Un’Italia ecclesiale inquieta, ma vicina agli scartati della vita, “lieta e col volto di mamma“. Anche in tempi molto duri dal punto di vista economico e sociale. Insomma, capace di esprimere un paradigma cristiano capace di contagiare. Un sogno, questo, da realizzare localmente, a partire dai pastori – vescovo e presbiteri – avendo presenti le linee dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Dalla quale trarre criteri pratici e attuare le sue disposizioni.

La Chiesa del dialogo

In questo avvicinamento al “popolo di Dio” ha un ruolo fondamentale la comunicazione. La Chiesa impara a comunicare al Concilio e, a mezzo secolo dal Vaticano II, Francesco completa la rivoluzione linguistica. Nel 2013 si è celebrato il 50° anniversario del decreto conciliare Inter Mirifica, con il quale si concede una sorta di cittadinanza ai mezzi di comunicazione. I mass media, infatti, vengono riconosciuti come strumento importante per la vita della Chiesa. E per questo si chiede ai pastori di usarli efficacemente, come ha scritto l’arcivescovo Claudio Maria Celli, già ministro vaticano delle Comunicazioni. Nella fase preparatoria del Concilio Vaticano II, l’ambito della comunicazione non fu considerato come un orizzonte strategico per la Chiesa o per il futuro dell’umanità. Delle 9.348 proposte di tema per i lavori del futuro concilio, solo 18 facevano riferimento alla comunicazione. Fu Giovanni XXIII che desiderò introdurre il tema dei mezzi di comunicazione nell’agenda conciliare. Alla fine si approvò il documento con 1.969 voti a favore e 164 contrari. Fu il documento che ebbe più voti contrari. Il suo varo, secondo monsignor Celli, fu provvidenziale, in quanto diede il via a un processo di assimilazione dei mezzi di comunicazione sociali nella vita della Chiesa. Il documento conciliare diede due mandati chiari. Creò la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. E e sollecitò a redigere un’istruzione pastorale. Che fu poi pubblicata nel 1971 con il titolo “Communio et Progressio“.

Mente aperta

Insomma, si iniziò a consolidare l’interesse della Chiesa per i mezzi di comunicazione. L’istituzione ecclesiale non si limitava ad essere un censore, cercava, anzi, di motivare i pastori ad interessarsi al mondo della comunicazione. Invitandoli a mantenere una mente aperta di fronte alle opportunità che i media offrivano nel campo dell’evangelizzazione.
Da un lato, rimase chiaro che la testimonianza di una vita cristiana autentica fosse il primo mezzo di evangelizzazione. Così affermava anche Paolo VI nel 1975. “È dunque mediante
la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo. Vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità” (Evangelii Nuntiandi). Dall’altro lato, invece, andò crescendo l’interesse per gli aspetti tecnici della comunicazione. I sacerdoti e, in generale, gli addetti alla pastorale, fecero propri i mezzi di comunicazione di massa tra gli anni Settanta e Ottanta, stimolati dall’invito fatto da Paolo VI. Con le celebri parole: “La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati. Servendosi di essi la Chiesa ‘predica sui tetti‘ il messaggio di cui è depositaria. In loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini” (Evangelii Nuntiandi).

Come un megafono

Con il Concilio la Chiesa iniziò ad utilizzare gli strumenti di comunicazione di massa, concependoli come un megafono mediante il quale annunciare il Vangelo. Con la convinzione sottostante che maggiore fosse stata la quantità dei mezzi di comunicazione più ampia sarebbe stata l’efficacia della comunicazione stessa. Si sviluppò, inoltre, il dibattito, che dura ancora oggi, circa la necessità d’avere mezzi propri. O di essere presenti nei mezzi non cattolici. Con l’espansione e la globalizzazione di Internet negli anni Novanta, il panorama cambiò radicalmente. Il fenomeno della globalizzazione influenzò tutte le sfere della vita della persona. Questa nuova realtà presentò nuove opportunità e nuove sfide. Il paradigma della comunicazione nella vita degli esseri umani si trasformò, si smise di parlare di mezzi o di strumenti di comunicazione di massa. Giovanni Paolo II, all’inizio degli anni Novanta, fece notare che la Chiesa stava assistendo alla trasformazione degli strumenti di comunicazione sociale, che iniziavano ad essere concepiti come un ambiente che la Chiesa deve abitare ed evangelizzare (Redemptoris Missio). In molti ambiti, però, la Chiesa non ha ancora cambiato il proprio paradigma comunicativo. In quanto si preferisce rimanere legati al vecchio schema secondo il quale i mezzi di comunicazione sono come dei megafoni e non come un ambiente da vivere. A giudizio dell’arcivescovo Celli, finché l’idea di comunicazione apparterrà al passato si continuerà a realizzare una pastorale che parla con un linguaggio non comprensibile alla società attuale. E gli sforzi fatti per la costruzione di uffici di comunicazione e di siti web risulteranno inefficaci.

Itinerario da seguire

Dunque, solamente un atteggiamento d’apertura verso la conversione pastorale consentirà di valorizzare la comunicazione come una testimonianza dialogante e rispettosa, che ha bisogno anche di spazi di formazione. L’itinerario da seguire in questo processo ecclesiale – nell’ambito della comunicazione – è tracciato dai messaggi che i pontefici hanno offerto nelle ultime decadi. Quindi, il problema della comunicazione nella Chiesa non è collegato alla mancanza degli strumenti tecnici atti a realizzare una buona comunicazione. Ma molte volte all’incapacità di adattarsi al nuovo contesto comunicativo ed alle sue caratteristiche di orizzontalità, interattività e velocità. Insomma, si è aperta una nuova era per la comunicazione ecclesiale. Tutti concordano sul fatto che Francesco è un grande comunicatore. Anche se non dedica più di dieci minuti ai giornali o non guarda la televisione. Oggi la modernità come viene comunemente intesa, spinta dall’intelletto e dalla ragione, mostra i suoi limiti. E si apre un ciclo nel quale la cultura, la vita, il simbolo e la poetica ricoprono un’importanza notevole. Ne è una conferma il peso che si dà a temi come l’ecologia o l’alimentazione di fronte alla macroeconomia. Francesco dà voce alla tendenza dell’epoca postmoderna. La riscoperta dell’uomo libero da astrazioni e intellettualismi. Le sue parole nascono dell’interpretazione dei segni del tempo. Jorge Mario Bergoglio incarna la risposta efficace alla reale sfida della comunicazione.

Presenza del sacro

Non si tratta, secondo l’arcivescovo Claudio Maria Celli, di un problema che riguarda i mezzi o gli strumenti da utilizzare. Ma piuttosto di una questione che riguarda la comunione, la vicinanza e soprattutto la testimonianza di un Dio misericordioso. Ciò non significa edulcorare il messaggio del Vangelo per far sì che sia più vicino alla società, ma al contrario affermare l’esigenza di una radicalità della vita cristiana. Oggi la Chiesa, nel campo della comunicazione, deve anche essere capace di recuperare l’universo simbolico nella capacità creatrice della parola e nel potere evocatore dell’immagine. Per Celli questi due elementi offrono nuove possibilità di rinnovamento del linguaggio. Che deve essere capace di creare nelle differenti culture luoghi dove sia possibile percepire la presenza del sacro. Sia a livello personale che comunitario. Perciò, mistica e social. La nuova evangelizzazione ha un cuore antico.

Giacomo Galeazzi: