Il silenzio è sceso sugli operatori sanitari. E’ bastata una flessione nella curva dei contagi Covid e il settore sanitario sembra diventato invisibile. Per richiamare l’attenzione su infermieri, operatori socio-sanitari, ausiliari socio-assistenziali l’arcivescovo di Milano ha scritto una lettera. “Bisognerebbe farvi un monumento di riconoscenza, ammirazione e stupore. Toccando le fragilità, sapete di umanità più di tanti sapientoni”, afferma monsignor Mario Delpini.
Operatori sanitari
“Non è di marmo, bronzo”. Ma è “impastato di riconoscenza. Di ammirazione. E di grande stupore”, il “monumento che si dovrebbe fare” a “infermieri. Operatori socio-sanitari. Ausiliari socio-assistenziali”. Il capo della Chiesa ambrosiano si rivolge alla categoria di professionisti che in ospedale o a domicilio si dedica alla cura dei malati. “Voi tutti siete la risposta pronta alla chiamata. Siete la parola rassicurante quando si è preoccupati. Siete il sorriso amico, che nessun manuale può prescrivere, quando ci si sente scoraggiati. Siete la battuta pronta, quando c’è il clima adatto. Siete il rimprovero fermo. Quando ce n’è bisogno“, sottolinea l’arcivescovo Delpini. Nel testo che consegnerà personalmente ai destinatari. Nel corso delle sue visite nelle strutture ospedaliere. La prima è in programma mercoledì mattina al Centro Cardiologico Monzino di Milano.
Umanità
Le mani degli operatori sanitari “sanno dell’umanità molto più di tanti sapientoni che in ogni momento pronunciano sentenze. Scaricano quantità di parole. Fanno scendere sulla povera gente piogge di interminabili sequenze di immagini”. Invece l’operatore sanitario tocca l’umanità. Le sue mani con i guanti passano sulle ferite. Sui punti doloranti. Sentono il fremito e la paura. Le rughe. E la tenerezza. Le mani con i guanti conoscono la fragilità delle persone. La loro voglia di vivere. O l’angoscia di morire. Il desiderio di compagnia. L’invocazione del sollievo“, osserva monsignor Mario Delpini.
Pastorale del sanitari
Proprio per questa ragione, la cura non riguarda mai solo i corpi. “Anche attraverso l’opera e pazienza degli operatori sanitari– evidenzia l’arcivescovo di Milano – si può aiutare una persona a riconoscere di avere paura. A trovare risorse di fede. Per sostenere il dolore. E pensare alla morte. A a parole e gesti di bontà. Per consolare e aiutare i compagni di stanza. I malati che ‘stanno peggio di me'”. E “i cappellani che passano in reparto. I preti che visitano i malati a casa mi raccontano storie edificanti. Di quello che gli operatori sanitari riescono a fare. Curando i corpi. Distribuendo medicine. Medicando ferite. Così si avviano anche percorsi di saggezza. Di conversione. Di ritrovata speranza e stima di sé“, puntualizza monsignor Delpini.
Non è solo un lavoro
Il prendersi cura delle persone “non è mai solo un lavoro“, precisa il capo della Chiesa amnrosiana. E tutti riconoscono agli operatori sanitari quel coinvolgimento equilibrato che consente la compassione. Senza essere destabilizzante. Proprio per l’equilibrio tra i diversi aspetti della vita e quello personale. E’ doveroso che, anche chi cura gli altri, si prenda cura di sé. L’animo umano, come il fisico, richiede attenzioni. Tutti abbiamo bisogno di pregare. Di pensare. Di riposare. Di controllare istinti. Passioni. Ritmi di vita. E abitudini alimentari. Per la mia esperienza, mi permetto di suggerire soprattutto la sapienza nella gestione del tempo”.