Tre cardinali e una lettera, con un obiettivo e un appello: rispondere in modo immediato all'emergenza migratoria, a farci interpreti della vocazione all'accoglienza, a prestare orecchio e sguardo alle sofferenze dell'altro. Un contenuto che spazia fra temi importanti quello della missiva siglata dai cardinali Jean-Claude Hollerich (presidente Comece), Michael Czerny (sottosegretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per lo sviluppo umano integrale) e Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, indirizzata alle Conferenze episcopali degli Stati membri dell'Unione europea, affinché situazioni di emergenza estrema, come quella del campo profughi di Moria, a Lesbo, non diventino l'emblema di un'Europa che dimentica le sue radici cristiane. L'invito è a fare il possibile affinché il grave stallo vissuto da 20 mila persone sull'isola greca cessi attraverso le procedure di trasferimento dei richiedenti asilo e rifugiati dalla Grecia a un Paese europeo. Con tutte le doverose valutazioni, certo, ma con carattere d'urgenza: perché, come ribadito a Tv2000, nella terza giornata del convegno “Mediterraneo frontiera di pace”, da mons. Paul Gallagher, segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, “la responsabilità della Chiesa è impegnarsi per il bene dei popoli e contribuire a risolvere i conflitti e portare una nuova speranza per i Paesi che si trovano in difficoltà. Abbiamo tutti una responsabilità comune”.
La relazione
D'altronde, è sul tema della speranza cristiana in tempi di cambiamenti epocali che si snoda la riflessione della terza giornata del convegno dedicato alle Chiese del Mediterraneo. Un'occasione per fare il punto sulla grave stagione vissuta da alcune comunità cristiane, costrette a professare la propria fede in contesti di persecuzione o in uno scenario vessato dalle forze del fondamentalismo. Come ricordato dal professor Adriano Roccucci nella relazione che ha aperto i lavori al Castello Svevo, “c’è sete di pace nel Mediterraneo ferito da troppi conflitti. La pace ha bisogno di dialogo e di amicizia, di costruire ponti e superare i muri della divisione e dell’odio. Oggi nel mondo globale, in un Mediterraneo abitato da donne e uomini disorientati e spesso dominati dalla paura, la speranza cristiana è un’urgenza e una responsabilità. Lo è davanti alle sfide di un cambiamento d’epoca che segna nel profondo le società mediterranee”. E ci si pone alcune linee guida: “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare – spiega ancora Roccucci -: questa è la risposta che la Chiesa indica al fenomeno delle migrazioni contemporanee e che occorre tradurre in azioni concrete, in proposte alla società, in una cultura da diffondere”.
Memoria e gratitudine
Non va dimenticato che “la condizione dei migranti rivela una lesione della dignità della persona umana, in altre parole una violazione dei diritti umani fondamentali. Si vengono formando società esclusive, fondate sulla logica dello scarto, che colpisce i più poveri e vulnerabili”. E questo lo si ricorda ogni volta che giungono notizie non solo dal mare, dove continuano a consumarsi tragedie scaturite dall'affrontare il mare per raggiungere la speranza, ma anche da contesti di limbo, come Moria, a Lesbo. Non è un caso che, in contemporanea ai lavori del convegno, un gruppo di dieci bambini provenienti da Nigeria, Siria, Iraq e Tunisia, ospiti dello Sprar di Bitonto e del Cara di Bari-Palese, abbiano consegnato a monsignor Fahim Awad Hanna Botros, vescovo di Minya e al cardinale Juan José Omella y Omella, vescovo di Barcellona, dei particolari disegni, nei quali erano mostrate della mani che emergono dal mare, accompagnate da un quadro dipinto da due rifugiati siriani. Doni che significano memoria, della sofferenza e del viaggio, ma anche gratitudine.