“La vita è piena di difficoltà e di cadute; ci sono tanti momenti di buio, ma questi non sono mai l’ultima prova dell’esistenza. La domanda che mi sono posto è: come si fa a rialzarsi, a ricominciare dopo un periodo difficile? Basta l’energia interiore, un carattere forte o l’ottimismo? Spesso tutto ciò non basta, perché molte volte – dinanzi agli accidenti della vita – le nostre risorse umane sono insufficienti. E allora – mi sono chiesto – cosa serve? Nel buio abbiamo bisogno di qualcuno che accenda una luce; vale a dire persone – che nel mio libro ‘cento ripartenze’ definisco i ‘testimoni di speranza’: – che siano come delle fiammelle che si accendono nei momenti di oscurità. Grazie a loro, possiamo rialzarci e ripartire”.
Con queste parole, il giornalista di Avvenire Giorgio Paolucci ha presentato a Fabriano il suo libro “Cento ripartenze – Quando la vita ricomincia” per le edizioni Itaca (Castelbolognese, 2022). Giorgio Paolucci nasce a Milano l’11 aprile 1954. Giornalista e scrittore, ha lavorato per 26 anni al quotidiano Avvenire, di cui è editorialista dopo esserne stato vicedirettore. E’ autore di diverse pubblicazioni. “Cento ripartenze”, 122 pagine con la prefazione di Daniele Mencarelli, racconta 100 storie di ripartenza – una per pagina – da gravi situazioni di difficoltà: una malattia, la perdita del lavoro, una disavventura finanziaria, la detenzione in carcere, il buco nero di una dipendenza, una crisi affettiva, l’emigrazione, la morte di una persona cara…
“Ma l’uomo ha dentro di sé un inesausto desiderio di rialzarsi dopo ogni caduta e di ripartire. E nel libro ci sono 100 esempi di come questo ‘miracolo’ può accadere”, evidenzia Paolucci. “In ogni pagina – prosegue – incontriamo volti e storie di persone che hanno vissuto la loro ‘ripartenza’ grazie all’incontro con testimoni di speranza che li hanno aiutati a scoprire uno sguardo positivo sull’esistenza e su ciò che conta davvero nella vita. La speranza non è una droga, ma è il requisito primario per guardare la vita in maniera positiva, perché l’uomo è fatto per costruire, per riedificare, per ripartire, non per morire”.
La presentazione
Il libro è stato presentato a Fabriano presso l’Oratorio Carlo Acutis della parrocchia di San Nicolò. L’evento fa parte di una serie di eventi intitolati “In…Chiostro di San Nicolò”, incontri di arte, musica e fede voluti dal parroco della Collegiata di San Nicolò e direttore di In Terris, don Aldo Buonaiuto.
Sono interventi alla presentazione di “Cento ripartenze”, oltre all’autore e a don Buonaiuto (quale vice direttore Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Fabriano – Matelica) anche la dott.ssa Chiara Biondi, Assessore alla Cultura e alle Pari Opportunità della Regione Marche; e la dott.ssa Maura Nataloni, Assessore alla Bellezza e alla Cultura del Comune di Fabriano. Ha introdotto e moderato l’incontro Carlo Cammoranesi, direttore de L’Azione, settimanale di informazione della diocesi di Fabriano-Matelica.
L’attestato di stima a mons. Vecerrica
Presente tra il pubblico anche Mons. Giancarlo Vecerrica, vescovo emerito di Fabriano-Matelica e ideatore, nel 1978, del Pellegrinaggio Macerata-Loreto. Alla figura del vescovo e all’importanza del pellegrinaggio nella vita dell’autore è dedicato uno dei capitoli, intitolato “La rivoluzione del sì”. “Feci il mio primo pellegrinaggio nel 2000 perché mi invitarono degli amici di Milano – ha raccontato Paolucci durante la presentazione di Cento ripartenze -. Ero un po’ scettico ma al contempo curioso. Rimasi folgorato dall’esperienza del pellegrinaggio notturno da Macerata al santuario di Loreto. Da quell’anno, non ho più potuto letteralmente non partecipare. Dopo ogni pellegrinaggio, riporto a casa delle sensazioni che rimangono vive per tutto il resto dell’anno. La prima è la straordinaria possibilità di essere insieme a decine di migliaia di persone che pregano, cantano, si fanno compagnia (prima del Covid-19 si era arrivati anche a 100mila partecipanti…); la seconda – e questa mi sembra un’idea davvero geniale di mons. Vecerrica – è la possibilità (durante il tragitto di 28 km) di ascoltare persone che testimoniano la loro ripartenza grazie all’incontro con la fede; la terza è ‘la rivoluzione del sì’: tutto ciò che viviamo, è nato dal sì di una ragazza, Maria, che più di 2000 anni fa ha ricevuto un annuncio assolutamente poco verosimile, avrebbe partorito il salvatore dell’umanità. Quel sì ha fatto la Storia, anche la nostra oggi. L’ultima cosa che mi colpisce di questa esperienza, e non lo dico per piaggeria, è la testimonianza di fede che dà don Giancarlo Vecerrica: cerca sempre un modo per trascinare le persone con un entusiasmo giovanile, ha la capacità di educare alla fede tanti giovani; un carisma che è diventato contagioso, altrimenti non si spiega il successo straordinario e duraturo del pellegrinaggio Macerata-Loreto. Esso si spiega solo perché lui è l’esempio di come si trasmette la fede: non con piani precisi, ma da cuore a cuore, da persona a persona”.
Il commento di don Aldo Buonaiuto
“Ringrazio di cuore Giorgio per aver accettato l’invito a presentare il suo libro a Fabriano. Un libro che ho letto che mi ha molto commosso: perché la parola ‘ripartenza’ tocca ognuno di noi. Tutti noi abbiamo bisogno di ripartire perché le stagioni della vita ci presentano anche momenti difficili, di precarietà, di malattia. Sulla copertina è riprodotta una mano che cerca di afferrare le altre che chiedono aiuto. ‘Cento ripartenze’ tratta un tema molto importante che parla di tutti noi. In momenti difficili, di sconforto, probabilmente abbiamo trovato qualcuno che ci ha dato la forza di ripartire e di andare avanti. Magari un piccolo segnale, una luce, qualsiasi cosa che ha illuminato il nostro cammino e che quindi ci ha dato la possibilità di, appunto, ripartire. Credo che proprio i momenti più bui siano quelli che ci danno la forza per proseguire il nostro cammino. Se siamo connessi al Vangelo, possiamo riconoscere le tante ‘fiammelle di speranza’ che stanno intorno a noi. E ognuno di noi può essere quella fiammella, quella mano tesa che aiuta, sostiene, accarezza e infine rialza”.
L’intervista a Giorgio Paolucci
Interris.it ha intervistato l’autore, Giorgio Paolucci, su quanto la fede abbia influito sul suo lavoro e sulla sua vita.
In che modo lavorare per tanti anni ad Avvenire ti ha aiutato come giornalista?
“Mi ha molto aiutato a comprendere che ogni volta che scrivo, devo sempre pensare che sto parlando di persone, indipendentemente da quello che hanno fatto. Come diceva don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII: ‘l’uomo non è il suo errore‘. Alcuni colleghi usano la penna come una scimitarra per cercare di fare giustizia o per cercare di mettere in cattiva luce delle persone che magari hanno fatto delle cose gravi e quindi sicuramente non possono essere raccontate in maniera edificante. Però io credo che ci debba essere sempre lo spazio per uno sguardo di misericordia e che si tratta comunque di un essere umano. Avvenire mi ha sempre aiutato a tenerlo presente e credo che lo abbia succhiato dal latte a cui si abbevera, vale a dire dalla Chiesa”.
Fai parte del cammino di Comunione e Liberazione, il movimento fondato dal don Luigi Giussani nel 1954. In che modo CL ha arricchito la tua vita?
“Una cosa ho imparato da Don Giussani e da quelli che ho incontrato negli anni della mia gioventù, prima al liceo, poi all’università e al lavoro: la testimonianza della fede come qualcosa di presente, non come una serie di principi e di valori, ma come un’esperienza concreta della vita quotidiana e che la cambia. Mi dicevo: ‘vedo persone felici, anch’io voglio per me il segreto di questa felicità’. Per questo ho cominciato a seguire CL, tanti anni fa. E continuo a seguirlo anche oggi perché nel movimento sperimento che il cristianesimo è un avvenimento affascinante che tutti possono fare e che tutti possono proporre agli altri come un tesoro prezioso”.
Hai conosciuto Don Oreste Benzi e Don Luigi Giussani: che ricordo hai di questi due grandi del 1900?
“Ho il ricordo vivo di due persone che incarnavano il cristianesimo con la vita. Non come una predica da fare o un decalogo di cose da rispettare, ma come qualcosa che smuove l’esistenza, che la cambia alla radice e che la fa diventare così bella che vale la pena di proporla a tutti. Per questo motivo loro due sono diventati così tanto contagiosi. ‘Il cristianesimo non si propaga per proselitismo ma per attrazione’, diceva papa Benedetto XVI. Don Luigi e don Oreste sono persone verso le quali ci si sentiva attratti per la loro grande fede, grazie alla quale tantissimi sono ripartiti”.
Quale “grazie” devi dire ai tuoi genitori?
“Sono grato ai miei genitori perché sono coloro che per primi mi hanno fatto conoscere la fede cristiana. Erano due persone religiose pur se molto semplici: avevano fatto la quinta elementare, non hanno proseguito gli studi e avevano iniziato a lavorare da giovanissimi. Ma mi hanno sempre testimoniato una fede semplice che è rimasta in me ancora oggi. Nel senso che, pur facendo un lavoro che a volte porta a essere complicati come quello del giornalista, ho sempre un po’ guardato a loro come persone che mi fanno capire che il cristianesimo è qualcosa di semplice, non richiede studi, attitudini, capacità particolari. Richiede solo il fatto di dire sì alla chiamata ricevuta da Dio e al contempo la responsabilità di trasmetterla a quelli che vengono dopo di te. Loro l’hanno fatto con me soprattutto attraverso l’esempio, più che attraverso delle prediche. E io di questo gli sono ancora profondamente grato”.