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Cavalletti (Caritas): “Promuovere un dialogo tra Israele e Palestina”

L'intervista di Interris.it al dott. Fabrizio Cavalletti, responsabile dell’Ufficio Medio Oriente e Nord Africa di Caritas italiana, in merito alla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza

L’escalation militare tra Hamas e Israele non accenna a placarsi. La mattina dello scorso sette ottobre un attacco di Hamas è stato lanciato dalla Striscia di Gaza ed ha colpito Israele causando la morte di almeno 1.400 israeliani e il ferimento di più di tremila. L’attuale conflitto tra Hamas e Israele è ritenuto il più violento degli ultimi anni e, dopo il contrattacco di Israele, attuato attraverso l’operazione “Spade di Ferro” da parte dall’aviazione israeliana sopra i cieli di Gaza, le vittime civili stanno aumentando da entrambe le parti, pagando un tributo altissimo. Interris.it, in merito all’attuale situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e alle azioni necessarie per promuovere la pace, ha intervistato il dott. Fabrizio Cavalletti, responsabile dell’Ufficio Medio Oriente e Nord Africa di Caritas italiana.

© VaticanMedia

L’intervista

Dottor Cavalletti, qual è l’attuale situazione a Gaza?

“La situazione a Gaza è sempre più drammatica, continuano i bombardamenti e, per fortuna, sono iniziati ad arrivare alcuni aiuti, ma con il contagocce. C’è stata una terza apertura del valico di Rafah, al confine con l’Egitto, da cui sono entrati circa quindici camion ma, rispetto alle reali necessità, sono molto pochi. Bisogna considerare che, già prima del conflitto, era totalmente dipendente dagli aiuti umanitari e dai beni che arrivavano dall’esterno ed entravano nel territorio circa cento camion al giorno. Gli ultimi dati disponibili parlano di circa 4600 morti di cui, circa il 60%, sono donne e bambini. Gli sfollati, ovvero coloro che hanno perso la casa e si stanno rifugiando presso i centri delle Nazioni Unite oppure in case di altri familiari, sono circa un milione. La situazione sanitaria è molto allarmante, ci sono tanti cadaveri sotto le macerie e, in mancanza di condizioni igieniche adeguate, aumenta il rischio di epidemie e, di conseguenza, il quadro attuale, è molto grave”.

Come sta agendo Caritas sul posto?

“Caritas Gerusalemme, al momento, non è nelle condizioni di poter operare in maniera significativa nella Striscia di Gaza perché, il personale, è in una situazione di grande insicurezza e ha dovuto chiudere i centri sanitari attivi fino all’inizio della guerra. Attualmente si sta operando in maniera molto limitata. Il personale in loco contribuisce alla distribuzione dei pochi beni che si riferiscono ad avere ed è stato attivato un canale di aiuto tramite i trasferimenti bancari, acquistando ciò di cui c’è necessità all’inizio della Striscia di Gaza. Speriamo che, attraverso la riapertura del valico di Rafah, si possa aumentare questo aiuto. Ci si è preparati per un intervento maggiore, nel caso di una tregua o maggiori possibilità di operare, attraverso la distribuzione di cibo e medicinali perché, la questione sanitaria, è molto urgente. In questo frangente, coloro che stanno pagando le conseguenze peggiori, sono i più fragili e vulnerabili e, per quanto possibile, Caritas Gerusalemme, sta contribuendo all’assistenza di queste persone. A dimostrazione delle condizioni di sicurezza molto deteriorate, venerdì scorso Viola, un’operatrice di Caritas Gerusalemme di 26 anni, insieme alla sua famiglia, ha perso la vita nella chiesa ortodossa di San Porfirio, nel nord di Gaza, che ospitava circa 400 persone, a causa del bombardamento di un edificio adiacente. La situazione è molto difficile anche per gli stessi operatori umanitari”.

Qual è il vostro impegno e il vostro auspicio per la promozione della fratellanza tra i popoli in quest’area?

“Auspichiamo che, nel più breve tempo possibile, si trovi il modo di realizzare una tregua che, quantomeno, consenta di assistere la popolazione civile ed apra uno spiraglio di dialogo tra le parti per far cessare questa carneficina. Questa guerra, come molte altre, è contro i civili. L’efferato attacco di Hamas ha colpito i civili e, purtroppo, la reazione di Israele, sta avendo l’esito di colpire la popolazione civile. Occorre fermare il prima possibile la situazione in atto e, dal punto di vista della Caritas, proseguire un lavoro dal basso per promuovere realmente un dialogo. Le violenze così efferate però, sono finalizzate a creare divisioni tra le comunità. Il lavoro per la riconciliazione, quindi, è ancora più difficile e complicato, ma è l’unica strada possibile per far si che, le élite di ogni parte che usano la violenza per rafforzare il loro potere, vengano delegittimate dalle popolazioni stesse. Questa è l’unica possibilità di pace che ci potrà essere in futuro”.

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