La pandemia di coronavirus sembra aver colpito con forza alcune Nazioni (ad esempio Stati Uniti, Brasile, Italia) ed averne risparmiate altre. I motivi non sono sempre facilmente ricostruibili, anche perché la scienza sa ancora troppo poco di questo nuovo virus. A volte i Governi hanno applicato in tempo il lockdown limitando i contagi; altre volte, il dubbio è che le cifre ufficiali di alcune nazioni siano (volutamente o meno) fortemente sottostimate rispetto alla realtà. E’ questo il caso dell’India, un Paese che ad oggi – secondo gli ultimi dati della Johns Hopkins University – ha 267mila contagi e 7.470 morti per Covid-19 su 1 miliardo e 380 milioni di abitanti. Almeno secondo le stime ufficiali. Ma le perplessità sono tante e riguardano la vasta sacca di popolazione che vive in povertà estrema o in seria indigenza e che perciò non ha accesso alle cure né tanto meno ai tamponi. Il timore è dunque che le cifre reali di contagiati e morti per coronavirus in India siano molto più alte di quelle segnalate dal Governo guidato da Narendra Modi soprattutto tra gli “ultimi”, i cosiddetti fuori casta. I “paria” sono infatti quei fuori casta detti anche intoccabili in quanto chi li sfiora anche solo accidentalmente deve immediatamente andare a purificarsi; a essi sono comunemente riservati i lavori più umili e degradanti, spesso senza nessuna assistenza o protezione.
Le caste
Sono dunque il gradino più basso di una società (ancora) divisa in caste. Il termine “casta”deriva dal portoghese e significa lignaggio e si riferisce al complesso sistema sviluppato in India con l’induismo secondo cui chi nasce in una determinata casta non può uscirne ed è costretto da adulto a fare lo stesso lavoro del padre. La casta é dunque un sistema di stratificazione gerarchica della società estremamente chiuso, dove le possibilità di risalire la scala sociale (migliorando la propria posizione nella vita pubblica e privata) è impossibile. Dopo l’indipendenza, la nuova Costituzione indiana ha accolto i principi di un sistema laico ed egualitario e sono state promulgate leggi e iniziative per favorire l’integrazione degli intoccabili. All’erosione del sistema, tuttavia, hanno contribuito soprattutto la modernizzazione e l’emergere di una classe media urbana, il cui status è definito in base alla riuscita economica, piuttosto che all’appartenenza a una casta sociale. Ciononostante, gli intoccabili continuano a vivere in condizioni di miseria e molte antiche usanze sono ancora radicate.
Coronavirus
Ieri, nella capitale indiana New Delhi si sono registrati circa mille nuovi casi in 24 ore, portando il bilancio complessivo a quasi 30.000, con oltre 800 morti. Un comitato di esperti composto da cinque importanti medici ha riferito che la capitale – se le attuali tendenze di crescita continuassero – potrebbe arrivare a 100.000 casi di Covid-19 entro la fine di giugno. Nonostante il rapporto del Ministero della Salute indiano, quali siano le reali cifre di persone contagiate tra gli intoccabili e i più poveri dell’India è molto difficile da conoscere. In merito, In Terris ha chiesto un parere a Chiara, una consacrata della Comunità Papa Giovanni XXIII che ha chiesto l’anonimato. Chiara ha vissuto in India, in modo alterno, per oltre 15 anni. Nel Paese asiatico, insieme a una consorella, accoglieva in casa bambini orfani o abbandonati dalle famiglie per motivi di indigenza; inoltre, seguiva anche le mamme rimaste sole con dei bimbi piccoli. Il tutto, in silenzio, sotto traccia, per non “insospettire” il governo indiano che permette di entrare nel solo con “visti turistici” e non per fare volontariato. I cristiani, in India, anche se non sono ufficialmente perseguitati, non hanno vita facile. Da qui, la comprensibile necessità di rimanere in anonimato, ma la sua forte testimonianza apre uno spaccato importante su un Paese dalle tradizioni antichissime e per tanti aspetti ancora sconosciuto.
Chiara, credi che le cifre diffuse dal Governo relative alla diffusione del Covid-19 in India possano essere sottostimate?
“Sì, penso di sì. Anche perché in India non hanno fatto i tamponi a una vasta fetta di popolazione come avvenuto in Italia. Tante persone neppure si curano e sicuramente non hanno fatto i tamponi perché non hanno abbastanza soldi per farlo. Non credo perciò che i dati diffusi siano veritieri”.
Come è organizzato il sistema sanitario indiano?
“Hanno un sistema sanitario che aiuta i ricchi essendo quasi tutto privatizzato. Chi ha un lavoro stabile è coperto dall’assicurazione sanitaria ed ha accesso alle cure. Ma i tanti che hanno solo lavori saltuari, a giornata, non hanno un contratto perché lavorano in nero o non lavorano affatto e non hanno reddito, devono usare gli ospedali pubblici dove comunque devono pagare le cure che, rispetto allo stipendio medio di un povero, sono davvero altissime, spesso fuori dalla loro portata. Quando hanno situazioni di salute gravi, che necessitano di cure pur di sopravvivere, sono costretti a mettersi nelle mani degli usurai che anticipano i soldi per l’intervento ma poi li lasciano indebitati per tutta la vita”.
Su questo argomento, puoi raccontarci qualcosa che hai vissuto personalmente?
Il coronavirus come ha impattato nella società indiana dal punto di vista economico?
“E’ stato devastante per milioni di famiglie. Una larga fascia della popolazione vive infatti di lavoretti giornalieri. Il lockdown, se da un lato ha forse limitato il numero di contagi, ha certamente messo a dura prova tutte quelle famiglie (tantissime) che si sostengono a mala pena con lavori saltuari quali la vendita delle verdure del proprio campo al mercato, per esempio. La chiusura delle attività ha creato gravi e tangibili problemi alla classe medio-bassa che si è andata ad aggiungere ai poveri e agli intoccabili. Mentre l’esercito presiedeva le strade per evitare gli assembramenti (in India nei mezzi pubblici le persone stanno accalcate) di contro molte famiglie, costrette in casa, hanno sofferto letteralmente la fame”.
La legge le ha abolite, ma – secondo la tua esperienza concreta – nella società indiana le caste esistono ancora?