Casella: “Rispettare i diritti dei popoli indigeni per proteggere il pianeta”

©Selcen Kucukustel/Atlas

L’anno scorso 205 persone appartenenti ai popoli indigeni del Brasile sono state uccise, in una cornice che nel biennio 2022-2023 ha visto aumentare le violenze nei loro confronti, dagli abusi di potere alle lesioni, dalla violenza sessuale a discriminazione e razzismo. Lo denuncia il rapporto annuale del Consiglio missionario indigenista, legato alla Chiesa cattolica. Una storia che continua da secoli, perpetuata dalla caccia al profitto e dai pregiudizi di chi ha sempre visto nelle società tribali che trovava in loco un ostacolo ai propri scopi. Una minaccia a cui si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico, fenomeno che potremmo imparare a contrastare meglio se dai popoli indigeni apprendessimo la relazione con l’ambiente naturale, come ha detto anche papa Francesco. Minacce ancora più pericolose per i cosiddetti popoli incontattati, quelli in volontario isolamento. Proprio a loro è dedicata l’edizione 2024 della Giornata internazionale dei popoli indigeni del mondo, che si celebra il 9 agosto in memoria del primo incontro, nel 1982, tra le Nazioni unite e i popoli indigeni. Per l’occasione, Interris.it ha intervistato Francesca Casella, direttrice di Survival International Italia.

L’intervista

A quanto ammontano oggi le popolazioni indigene?

“I popoli indigeni contano almeno 470 milioni di persone e abitano in più di 60 nazioni diverse; tra loro, circa 150 milioni vivono in società tribali. Esistono, tra questi, anche oltre 150 popoli incontattati, che non hanno contatti regolari e volontari con le altre società”.

Cosa s’intende con “indigeno”?

“Non esiste una definizione unanimemente accettata da tutti, ma con i termini ‘indigeno’ o ‘tribale’ ci si riferisce generalmente a popoli organizzati in comunità tribali da generazioni, spesso originari dei Paesi in cui vivono da centinaia se non migliaia di anni, e largamente autosufficienti. Quasi sempre le loro economie si fondano su una conoscenza molto profonda delle loro terre che per loro rappresentano tutto: è la loro fonte di sostentamento ma anche il fondamento del loro senso d’identità e di appartenenza”.

©Guilherme Gnipper Trevisan/FUNAI/Hutukara

Che rapporti hanno avuto con le altre civiltà? E oggi?

“L’invasione e il furto delle terre indigene per profitto, iniziati secoli fa, continuano ancora oggi minacciando la sopravvivenza stessa di molti popoli. Sfrattati dai coloni e dallo sfruttamento forestale e minerario, inondati dall’acqua delle dighe e sterminati da malattie verso cui non hanno difese immunitarie, i popoli indigeni subiscono ancora razzismo, sviluppo forzato e violenza genocida. Ma molti continuano a esistere e resistere, rivendicando con forza i loro diritti umani e territoriali, anche stringendo alleanze e fondando associazioni per far sentire la loro voce nei media. Survival è al loro fianco da 55 anni e ha messo a loro disposizione la piattaforma Tribal Voice”.

Il tema di questa edizione della giornata mondiale è la protezione dei popoli incontattati. Perché è importante?

“Perché sono i più vulnerabili del pianeta. Il furto di terra e il contatto forzato possono essere particolarmente devastanti per loro, per esempio l’introduzione di malattie verso cui non hanno difese immunitarie potrebbero sterminarli in poco tempo. È importante ricordare che non sono reliquie del passato, ma nostri contemporanei che vivono nel presente secondo paradigmi diversi dai nostri, che inoltre li rendono i popoli più autosufficienti del pianeta. È cruciale rispettare la loro scelta di restare incontattati, ma aziende e governi distruggono le loro case e le loro fonti di sostentamento in una corsa indiscriminata allo sfruttamento delle risorse delle loro terre. Per questo, i popoli incontattati sono al centro di una delle principali campagne di Survival”.

Ci può fare degli esempi?

“Tra i casi più urgenti di cui Survival si sta occupando c’è quello dei Mashco Piro, in Amazzonia, e degli Hongana Manyawa, in Indonesia. I primi sono minacciati dalle attività della compagnia per il taglio del legno Canales Tahuamanu: la distruzione della foresta, gli incontri fortuiti con i taglialegna e la diffusione di malattie potrebbero sterminarli completamente. La cosa paradossale è che il legname dell’azienda è certificato come etico e sostenibile da FSC, il Forest Stewardship Council, a cui le organizzazioni indigene e Survival International stanno chiedendo la revoca immediata della certificazione, per mandare un segnale forte sia alla compagnia sia al governo peruviano. I secondi, che vivono nell’isola indonesiana di Halmahera, sono a rischio perché l’estrazione di nichel per la produzione di batterie per auto elettriche sta devastando la loro foresta ancestrale. Solo poche settimane fa, a seguito anche della nostra pressione, il gigante chimico tedesco Basf si è ritirato da un progetto miliardario per raffinare nichel che avrebbe accelerato la deforestazione sull’isola”.

©Sarah Shenker/Survival

Con l’amministrazione Lula la deforestazione dell’Amazzonia sotto l’egida del Brasile rallenta. Il polmone verde del mondo è un po’ più al sicuro?

“All’inizio del suo mandato Lula ha promesso un’inversione di rotta rispetto alla distruzione e alla violenza sotto la presidenza Bolsonaro, ma i dati ci dicono che le azioni intraprese finora dal suo governo non sono sufficienti, anche a causa di una forte opposizione all’interno del Congresso brasiliano, ancora dominato dalla lobby agroindustriale e da alcuni politici anti-indigeni. Nonostante l’azione governativa avviata all’inizio della sua presidenza per rimuovere i minatori illegali dal territorio Yanomami, nel 2023 l’estrazione illegale d’oro nei territori indigeni Kayapó, Munduruku e Yanomami ha distrutto, in base ai dati di Greenpeace Brasile, l’equivalente di quattro campi da calcio al giorno. E il rapporto annuale del Consiglio indigenista missionario (Cimi) ha denunciato che nel 2023 le violenze contro i popoli indigeni nel Paese sono addirittura aumentate”.

Il mondo industrializzato scommette sulla transizione ecologica. Si corre il rischio però di realizzarla secondo la “nostra” visione del mondo, senza tener conto delle necessità dei popoli indigeni?

“I popoli indigeni sono tra le principali vittime dei cambiamenti climatici, anche se sono tra i meno responsabili, perché vivono in luoghi dove l’impatto si fa sentire di più e i loro stili di vita dipendono dall’ambiente naturale in cui vivono. E oggi sono minacciati anche da alcune delle cosiddette ‘soluzioni’ proposte per contrastare la crisi climatica. Anziché concentrarsi sulla riduzione delle emissioni dei combustibili fossili e sul problema del sovraconsumo e dello sfruttamento delle risorse naturali per profitto trainati dal nord globale, governi, aziende e persino l’industria della conservazione propongono soluzioni ai cambiamenti climatici false, che violano i diritti indigeni e incentivano l’accaparramento delle loro terre. È il caso, ad esempio, di alcuni progetti di compensazione di carbonio in Aree Protette”.

Il modello dell’intensivo, per esempio negli allevamenti, si sta dimostrando insostenibile. Ma non c’è il rischio che anche altri business, come quelli degli oli vegetali e della soia, lo diventino andando a impattare sui terreni dei popoli indigeni?

“La produzione di bio-carburanti, oli vegetali e soia sono già intensivi in molte parti del mondo, e una delle cause delle sofferenze inflitte, per esempio, al popolo Guarani del Brasile, derubato delle sue terre e avvelenato dai prodotti chimici. È notizia di questi giorni un nuovo attacco a una comunità che aveva rioccupato parte della propria terra ancestrale, con almeno dieci indigeni feriti e case date alle fiamme”.

Papa Francesco ha invitato a prendere esempio dai popoli indigeni e a includere il loro contributo per il contrasto al cambiamento climatico, la custodia delle biodiversità e il cambiamento degli stili di vita…

“I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale. Le prove dimostrano che sanno gestire i loro ambienti e le specie selvatiche meglio di chiunque altro. I loro territori sono i più biodiversi al mondo – ospitano l’80% della diversità biologica – e non è un caso che, in molte aree dell’Amazzonia, costituiscano delle vere e proprie barriere alla deforestazione. Riconoscere e rispettare i diritti territoriali dei popoli indigeni non è solo una questione di diritti umani ma è anche il modo migliore per proteggere il nostro pianeta”.

Tra i “custodi della Terra”, che ruolo hanno le donne indigene?

“Nonostante le sofferenze, dato che subiscono sfratti, arresti arbitrari, uccisioni e stupri da parte di chi vuole le loro terre, resistono con determinazione in ogni continente e molto spesso sono in prima linea nel difendere le loro terre e i loro fondamentali diritti umani. Per esempio, le Guerriere dell’Amazzonia, che proteggono la foresta anche a beneficio dei loro parenti Awá incontattati, delle future generazioni e di tutta l’umanità”.

Lorenzo Cipolla: