La comparsa di una forma di demenza neurodegenerativa cambia, gradualmente, l’esistenza di chi ne soffre e delle persone che ha intorno. Molte famiglie, in Italia, si misurano con l’assistenza e la cura di un parente, spesso anziano, affetto da una malattia cronico degenerativa che si caratterizza per la progressione dei deficit cognitivi, dei disturbi del comportamento e del danno funzionale, con la conseguente perdita dell’autonomia e dell’autosufficienza.
Alcuni numeri
La questione, ovviamente, non riguarda solo il nostro Paese e la crescita di queste patologie in tutto il mondo è stata definita già dieci anni fa “una priorità mondiale di salute pubblica” dall’Organizzazione mondiale della Sanità e dall’Alzheimer disease International. Perché la popolazione anziana aumenta e l’età è uno dei principali fattori di rischio legati a queste malattie. Attualmente si stima che, a livello globale, circa 55 milioni di persone siano affette da una forma di demenza e secondo il Global action Plan 2017-2025 dell’Oms i casi saliranno a 75 milioni entro il 2030. In Italia, secondo i dati riportati dal Ministero della Salute, oggi i pazienti con demenza sono circa un milione, di cui circa 600mila con Alzheimer, e tre milioni le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza. Secondo le proiezioni demografiche, nel 2051 ci saranno 280 anziani ogni cento giovani, con un conseguente aumento di tutte quelle malattie croniche che sono legate all’età avanzata, tra cui appunto le demenze.
CasaPaese
C’è oggi un posto dove queste persone possono essere accolte per continuare a condurre la propria esistenza senza impegnare più le famiglie, che spesso non hanno delle vere competenze in tema di assistenza e di cura, nel rispetto delle loro esigenze e dei loro comportamenti, senza per questo rescindere legami e rapporti umani, anzi creandone di nuovi in un contesto che permette loro di stare in comunità e socializzare. Una vita normale in cui mantengono la propria libertà. “Una Casa, ambiente di vita per eccellenza, all’interno della quale è costruito un Paese, nucleo di convivenza e condivisione pubblica”, dice a Interris.it nell’intervista che segue la presidente dell’associazione Ra.Gi Onlus Elena Sodano, in merito al progetto CasaPaese a Cicala, borgo “dementia-friendly” in provincia di Catanzaro. “La sua apertura non è la fine di un sogno, ma l’inizio di un percorso che spero possa cambiare il pensiero di prendersi cura delle persone con demenze”, così Sodano, che si definisce “imprenditrice della cura”. CasaPaese, di recente inaugurata, è una grande struttura integrata nel paese che la ospita, la prima e unica in Calabria interamente dedicata a 16 persone affette da demenze. Con loro, un team formato da psicologi, animatori, educatori e operatori socio-sanitari.
L’intervista
Cos’è “CasaPaese” e qual è la visione dell’assistenza che c’è dietro?
“Dice bene quando parla di visione, che a CasaPaese è rivolta verso l’esistenza delle persone con demenza più che verso la loro assistenza. Una visione che si basa sul concetto di normalità e di libertà di cura per le persone con demenza, di quella umanità che viene spesso negata perché questa malattia è avvolta da pregiudizi e dalla convinzione errata che per accompagnare queste persone nel cammino della malattia occorra solo un intervento sanitario, assistenziale, farmacologico, che annulla ogni stato emozionale, affettivo, relazionale. Ogni persona esiste ‘in relazione a’, perché l’interdipendenza è una condizione necessaria per ogni essere umano, un dato di fatto purtroppo non riconosciuto di fronte ad una diagnosi di demenza. E’ come se ogni emozione, sentimento, esperienza, vita appartenuta ad un essere umano diventassero evanescenti, e tutta l’attenzione si concentrasse solo sulla progressione e sulla esternalizzazione della malattia. Il mondo circostante non è molto preparato ad accogliere le persone con demenza, che sono e restano persone in relazione, al punto tale che preferisce optare per una loro istituzionalizzazione con ciò che ne deriva, come la frammentazione psicologica e spirituale delle famiglie. Tutta l’organizzazione di CasaPaese ha in sé il concetto di rispetto nei confronti dell’individualità delle persone che deve continuare ad avere un senso di natura esistenziale e non assistenziale. A CasaPaese i ritmi del loro vivere sono plasmati sulle prioritarie esigenze del loro tempo. La bellezza di CasaPaese sta nella materializzazione di tanti spazi all’interno della struttura che rappresentano la vera vita che si può svolgere all’interno di un vero paese, la posta, la trattoria di Totò e Peppino, la bottega di Leonetto, la farmacia, la terrazza e tanto altro. Accorgimenti che hanno come obiettivo quello di mitigare naturalmente i disturbi comportamentali delle persone con demenza che, se rese curiose, se coinvolte, se nutrite di relazioni e affetto, riescono a vivere la loro esistenza in maniera normale, senza costrizione alcuna. Con la libertà anche di uscire nel piccolo Borgo amico delle Demenze di Cicala dove, già dal 2018 la comunità accoglie queste persone essendo una Dementia friendly community riconosciuta dalla Federazione italiana alzheimer”.
Com’è strutturato CasaPaese quali servizi offre?
“CasaPaese è una struttura unica di oltre 800 metri quadrati, collegata al piccolo borgo di 700 anime nella preSila catanzarese, all’interno della quale è stato ricostruito un vero e proprio paese. Qui le persone con demenza vivranno con libertà e con la possibilità di mantenere solido e intatto il loro progetto di vita. Nessuno vorrebbe scardinare le proprie radici affettive per vivere in una residenza sanitaria nella quale tutto ciò che è appartenuto ad una vita, abitudini, esperienze, relazioni sociali e amicali diventano evanescenti. CasaPaese è un ambiente di cura, un habitat naturale che riesce ad abbattere quella sensazione di smarrimento e di confusione che vivono queste persone a causa della malattia. Una condizione insidiosa che le rende spesso incapaci di svolgere anche le più semplici azioni quotidiane e che deriva molto spesso, da un errato contesto ambientale. Sarà un luogo in cui, grazie alla presenza di operatori formati con il nostro metodo non farmacologico, la Terapia Espressiva Corporea Integrata Ò in attesa di brevetto, le persone con demenza saranno accompagnate nella prosecuzione della loro vita favorendo relazioni umane, gesti e aspirazioni, pensieri, emozioni, abitudini espresse in quel reale che è stata la loro esistenza. La sfida della CasaPaese sarà quella di promuovere l’indipendenza che ha il sapore della libertà, rispettando la persona con i suoi tempi, i suoi ritmi. Per esempio lasciandoli dormire se hanno trascorso una notte insonne. Potranno fare colazione ai tavolini del bar, passeggiare per Cicale, sferruzzare ai ferri, guardare un film al cinema “Ettore Scola”, lavorare ai ferri, fare la spesa alla bottega e pranzare e cenare nella pizzeria-ristorante Totò e Peppino, dove si respira la vera aria di una delle tipiche trattorie calabresi. La giornata sarà stimolante, ricca di opportunità di vita per queste persone per le quali occorre pensare ad un riscatto di tipo esistenziale. Non ci saranno regole organizzative, ma tutto avverrà nella pieno rispetto delle loro cadenze di tempi, spazi e vita”.
Come si integra con il borgo Cicala e i suoi abitanti?
“Cicala è una comunità che ha accettato le persone con demenza fin da subito e con la CasaPaese tutto sarà più normale. La popolazione e i commercianti sono stati debitamente formati per entrare in relazione con le persone con demenza. Perché è la relazione il nocciolo fondante della normalità di vita di queste persone. La fioraia Cinzia sa che Serafina ama toccare e curiosare, per cui quando lei entra nel suo negozio apre senza problemi la vetrina delle borse. Il macellaio, quando vede una di loro che entra nel suo negozio, prepara subito un piattino di buoni salumi calabresi. Il pasticcere Pasquale esce in strada per offrire i dolcetti e le pizze. Così facendo i commercianti, svolgono una terapia meravigliosa, quella di stimolare la memoria corporea delle persone con demenza. Perché la memoria non è solo quella che abbiamo nella nostra mente”.
Da dov’è nata l’esigenza di questa realtà?
“Nel periodo del Covid il Comune di Cicala ha pubblicato una manifestazione di interesse per la cessione in fitto di una struttura, così abbiamo presentato l’idea di trasformare una comunità alloggio in una CasaPaese residenziale solo per le persone affette da demenza. Purtroppo il progetto non finanziava nulla se non la cessione della struttura, per questo abbiamo attivato un crowdfunding. CasaPaese è nata senza finanziamenti pubblici ma con la grande generosità di una rete umana. Non abbiamo mai avuto finanziamenti pubblici per tenere aperto il primo centro diurno, oggi per fortuna le cose stanno cambiando ma gli inizi non sono stati per nulla facili. Per questo che io non finirò mai di ringraziare la ‘famiglia’ della Ra.Gi.”.
E quali altri interventi mette in campo l’associazione Ra.Gi?
“La Ra.Gi., le iniziali dei nomi dei miei figli Rachele e Giuseppe, nasce nel 2002 ma solo nel 2006 decide di specializzarsi nella cura delle persone con demenze, che in Calabria sono circa 40mila. Siamo gli unici in questa regione ad avere messo in piedi centri diurni autorizzati e accreditati, specifici per persone con demenza. Su Catanzaro ce ne sono due, uno attivo dal 2016 mentre l’altro sta per nascere all’interno della struttura “Umberto I” che accoglie anche il Centro diagnosi cure demenze) dell’Asp di Catanzaro. Un terzo Centro diurno invece nascerà a breve nel Comune di Miglierina, e siamo attivi anche su Taurinova, in provincia di Reggio Calabria. Stiamo per aprire anche un altro servizio a favore delle donne con demenza che tutela la loro dignità e principalmente il loro essere donne. Inoltre, abbiamo Cafè Alzheimer sparsi in tutta la Regione. Abbiamo dato la disponibilità del nostro know-how sui Cafè Alzheimer che stanno nascendo nella provincia di Reggio, a Melito di Porto Salvo e Vibo Valentia. Altri 30 Cafè Alzheimer stanno per nascere in Comuni caratterizzati da un accentuato isolamento territoriale”.
La pandemia e il lockdown hanno portato il settore a una nuova visione, un nuovo approccio e a nuove strategie terapeutiche?
“Durante i mesi del lockdown l’equipe del nostro centro diurno ha lavorato senza sosta all’interno delle abitazioni delle persone con demenza che non potevano uscire di casa. Sapevamo che quello, specialmente per le famiglie, rappresentava un periodo di difficile gestione e con tanta preoccupazione. Ritengo che il periodo del Covid abbia fatto capire come la natura assistenziale delle persone fragili deve spostare il focus più sulla natura esistenziale dell’individuo e che le Rsa debbano in qualche modo modificare il loro modo di prendersi cura, riducendo il numero dei pazienti, dando loro più spazi riservati alla socializzazione e alla relazione, aumentando invece il numero delle persone che si devono prendere cura della fragilità. Il rapporto numerico tra persone non autosufficienti e operatori è ridotto ad un lumicino e questo non permette la corretta azione di cura con le persone sofferenti. Gli standard di accreditamento necessiterebbero di un rapporto, tra staff di assistenza e pazienti, almeno pari a 1:2 per gli educatori, 1:6 per gli infermieri, 2:5 per gli Oss, mentre oggi è molto superiore, spesso pari a 1:15, specialmente nelle ore notturne, dove si può arrivare anche a 2:40. Da sempre affermo che le persone con demenza non possono essere istituzionalizzate nelle residenze sanitarie perché l’esternazione della malattia le fa diventare delle persone anarchiche, che non possono essere in grado di rispettare le regole organizzative di strutture che hanno ritmi tayloristici, così come penso fermamente che proprio perché manifestano disturbi comportamentali importanti, non possono trascorrere la loro quotidianità vicino a persone che magari hanno patologie meno gravi, ma stanno comunque anche male”.
Secondo i dati riportati dal Ministero della Salute, sono circa un milione oggi i pazienti con demenza, 600mila con Alzheimer, e in base alle proiezioni demografiche le persone anziane aumenteranno, con il maggior fattore di rischio associato all’insorgenza delle demenze. Quanto investire nella prevenzione, nelle strategie terapeutiche e con quale approccio alla cura?
“Di riforme nel campo della cura se ne parla sempre tanto, ma l’umanità di cura è decisamente sempre lontana dai massicci investimenti previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che sembrano abbiano dato priorità al ‘mattone’, ossia alla ristrutturazione di edifici da trasformare in servizi per le fragilità. Non un accenno al potenziamento del personale, già scarso, inserito nelle strutture residenziali, soggetto ad una forte usura di natura psicofisica, specie dopo il periodo del Covid, e ad una gestione di tempi estremi imposti da una organizzazione imprenditoriale. Credo che il dato riportato dal Ministero della Salute sia in difetto perché a mio avviso non sono conteggiate le troppe persone che soffrono di una forma di demenza a esordio precoce, anche a 40 anni, che stanno aumentando e di cui si parla poco. Purtroppo per la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza non esiste ad oggi nessuna cura risolutiva, come un farmaco che possa prevenire e interrompere la progressione della malattia o mitighi i disturbi comportamentali. Si stima che oltre 60 milioni di persone e più che nel mondo hanno una forma di demenza e che nel 2030 arriveremo ad oltre 75. Cerchiamo intanto di farle vivere in maniera dignitosa attraverso investimenti concreti sui centri diurni, sulla formazione nelle terapie non farmacologiche e su ogni forma di possibilità di cura che dia ristoro alle famiglie e dignità di vita a queste persone”.
II futuro dell’assistenza è nella domiciliarità ritagliata sulle esigenze della persona?
“L’assistenza domiciliare sarebbe la svolta perché renderebbe le case il luogo privilegiato per rispondere ai bisogni degli anziani non autosufficienti, ma in Italia permangono ancora diverse criticità per rendere omogenee le cure domiciliari. I singoli interventi ad oggi sono davvero brevi e non rispettano i tempi, lenti, di persone fragili e famiglie”.
La recente approvazione del disegno di legge delega per le persone anziane non autosufficienti rappresenta un progresso riguardo la cura e l’assistenza di soggetti più fragili?
“Il disegno di legge delega si innesta in una fitta trama di interventi di riforma della sanità e dell’assistenza che non saranno facili da dipanare e da risolvere in tempi brevi. Recentemente l’Onu ha condannato l’Italia per l’inadeguata tutela dei caregiver, lo Stato italiano non garantisce a queste figure un livello adeguato di supporto come il rimborso delle spese, l’accesso all’alloggio, servizi di assistenza economicamente accessibili, un regime fiscale agevolato, un orario di lavoro flessibile, il riconoscimento dello status di caregiver nel sistema pensionistico. In Italia si fa molto più facilmente ricorso all’istituzionalizzazione dell’assistenza alle persone con disabilità che pensare a potenziare servizi alla persona. Dopo il Giappone siamo il secondo Paese al mondo con il più alto tasso di invecchiamento della popolazione, presentiamo un’offerta di servizi che non tiene conto del ruolo centrale delle famiglie nella cura delle persone anziane non autosufficienti – nuclei famigliari che non riescono più a fronteggiare bisogni sempre più ampi e differenziati di cura ed assistenza”.
Da quanto tempo è una “imprenditrice della cura”?
“Mi occupo di creare soluzioni di vita possibile per le persone con demenze dal 2006 e il termine ‘imprenditrice della cura’ è nato perché in fondo il mio obiettivo e quello del mio staff è quello di prenderci cura della persona rispettando principalmente la sua interezza di essere relazionale, così che anche la persona con demenza possa sentirsi ancora protagonista del suo essere indipendentemente dalla malattia. Abbiamo lavorato per far diventare i territori i veri e propri dispositivi terapeutici a disposizione delle persone con demenza. Non è stato facile portare avanti il concetto di ‘socio-terapia ambientale’ perché si è troppo abituati a continuare a fare quello che si è sempre fatto”.
Come possiamo noi cittadini diventare più “dementia-friendly”?
“Nell’innamoramento è condensato tutto il principio della cura. Ascoltiamo perché siamo curiosi di conoscere, rispettiamo l’individualità della persona, andiamo oltre a tutto, ci plasmiamo alle sue esigenze e le doniamo tutto il nostro possibile tempo”.