Casa Rut è un centro di accoglienza promosso e gestito dalle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria di Breganze (VI), per giovani donne migranti, sole o con figli, in situazioni di difficoltà e/o sfruttamento. Un porto sicuro, nel quale riescono a trovare rifugio tante ragazze che hanno dei trascorsi tristi alle spalle, fatti di violenza, povertà e libertà negata. Interris ne ha parlato con Suor Agnese Guida, responsabile del centro insieme a Suor Dominique De Blasio e Suor Flora Peretto.
“Casa Rut è il frutto di un desiderio della comunità del Sud delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria che vogliono rafforzare la presenza nel Sud Italia. Sono, infatti. già presenti con la Comunità in Calabria. Il nostro carisma che è quello del Cristo servo, l’essere sempre al servizio degli altri con gratuità. La nostra congregazione ha una visione specifica: quella della promozione del femminile – ha raccontato Suor Agnese -. All’inizio, quando siamo arrivate, qui a Caserta non c’era un’idea chiara di quello che sarebbe stato il nostro servizio.
Erano gli inizi degli anni ’90 e il fenomeno dell’immigrazione stava marcando fortemente queste zone. All’inizio non c’era un’idea chiara di cosa fare, ma era bello porsi in ascolto di quelle che erano le necessità del territorio per cercare di dare delle risposte per rendere dignità alla vita delle persone. Da qui è nato il desiderio di prendersi cura delle ragazze, una necessità frutto dell’ascolto del territorio. Così abbiamo deciso di dare particolare attenzione alle situazioni di povertà e di emarginazione femminile che vengono prodotte dalle ingiustizie e dalla debolezza umana”.
Casa Rut è un punto di partenza o di arrivo per queste ragazze?
“Casa Rut rappresenta un’opportunità. É uno spazio di bene. É il luogo della speranza, offrendo a chi arriva qui la possibilità di un riscatto nei confronti di una vita nuova. In qualche modo qui scoprono che la loro vita è preziosa e ricca di risorse da valorizzare. Capiscono che nonostante la bruttezza della vita che sperimentano arrivando in Italia, sentendosi persone sfruttate e messe su strada, qui hanno una possibilità di riscatto tramite un processo di liberazione. Io dico sempre che casa Rut è uno spazio di bellezza dove loro riconoscono la bellezza che hanno dentro”.
Come si avvicinano alla struttura queste donne?
“Noi ci teniamo a dire che questa è una casa, una famiglia, dove il sentirsi volute bene, il legame di affetto e la relazione interpersonale che si instaura è il di più che fa la differenza. É quello che alimenta i processi di crescita, maturità ed autonomia. Quando le ragazze arrivano qui offriamo un servizio di alta soglia che rappresenta un servizio residenziale. Le ragazze che arrivano qui arrivano tramite enti istituzionali, come il servizio anti tratta, il numero verde nazionale, la questura, la commissione territoriale, la Caritas. A volte alcune ragazze le ritrovi anche sulle scale. Capita che tra loro fanno un passaparola, si viene a sapere che questo è uno spazio dove possono essere aiutate, altre volte ancora può essere la polizia”.
Come ci si approccia a queste donne nel momento in cui chiedono aiuto?
“Entrare, avvicinarsi e abitare la vita delle altre persone soprattutto se sono segnate da una profonda ferita richiede delicatezza e grande rispetto. Questo perché i legami sono frutto di incontri di vite, incontri di sguardi, è avere la pazienza dei tempi dell’anima dell’altro. A noi viene chiesto di accompagnare la vita degli altri, non ci è chiesto ne di sostituirle, ne di forzarle, è chiesto un accompagnamento tante volte anche di incoraggiare per far capire che in quelle ferite, come diceva Don Tonino Bello, ci sono delle feritoie. Da lì poi una volta sanate può entrare luce e donare alle ragazze la possibilità di intravedere altro perché la loro vita può diventare anche altro, offrendo però sempre il protagonismo personale. Ogni ragazza dev’essere protagonista della propria vita. É qui che interviene rispetto e delicatezza. Attenzione al giudizio, noi non siamo maestre di vita, ma compagne di strada, poi la loro vita fiorirà altrove.
Il progetto è uno ed è psicosocio educativo ed ha l’obiettivo di accompagnare queste ragazze all’autonomia e all’integrazione psico socio lavorativo. All’interno di questo progetto ci sono delle aree di attività: l’aerea della cura di sé e l’area dell’integrazione lavorativa. La cura del sé è prendersi cura dell’anima dell’altra, della sua vita, delle sue ferite per riconoscere cosa la vita l’ha segnata, capendo che la vita è anche altro.
Qual è, quindi, il principio che anima il progetto?
“Collaborazione e co-partecipazione tra volontari, operatori e noi tre suore. Noi forniamo loro degli strumenti per affacciarsi alla vita da persone libere. Loro purtroppo sono abituate a sentirsi merce di scambio e fonte di reddito per chi ‘le gestisce’. In realtà sono ragazze alla ricerca di un sogno. Per questo vengono in Italia. Chi lascerebbe la propria Patria per piacere? Poi arrivano qui e molte si affidano alla cosiddetta Madame perché, in quel momento di disperazione, lei viene vista come quell’unica figura capace di poterle aiutare a realizzare quel sogno.
Quando arrivano da noi il primo passaggio è un importante lavoro su sé stesse per capire che la strada giusta non è quella, che ci sono altre strade più oneste per riuscire a realizzarsi”.
E si lasciano aiutare?
“Sono come tutti noi. Si lasciano aiutare nel momento in cui si fidano dell’altro. Loro sono state ingannate, in qualche modo gli è stata fatta la promessa di venire in Italia per realizzare il sogno di una vita diversa e poi sono state costrette ad andare in strada. Non hanno scelto di andare in strada. É questa la differenza.
Il lato più bello di questi rapporti però è che c’è sempre uno scambio. In fondo sono loro che rendono migliore la mia vita. Io per questo non le finirò mai di ringraziare, perché senti che insieme a loro cresci anche tu”.
Per voi suore cosa significa affiancare queste donne in una fase così particolare della propria vita?
“Per noi suore aiutare queste ragazze significa fare la nostra parte dando il nostro contributo a quel progetto più grande che è il sogno di Dio. Noi qui condividiamo la nostra vita, la nostra casa, il nostro impegno come donne e come consacrate. Viviamo la nostra vocazione, dentro quello che è davvero il progetto più grande, dentro il quale ciascuno è figlia. Non stiamo salvando il mondo, è far parte di quel mondo e di quell’umanità di cui Dio ci chiede di prenderci cura. In fondo se curiamo la nostra anima riusciamo ad ascoltare di più la voce di Dio”.
Cosa ti preoccupa principalmente per la vita di queste ragazze?
Ciò che più mi spaventa è il ruolo del cliente. In Italia è ancora troppo forte l’emergenza prostituzione, perché? Perché c’è una domanda molto alta? Secondo me – e mi prendo la responsabilità di ciò che dico – c’è un problema di relazione tra uomo donna e sul cosa significa volersi bene. Ma che relazione stiamo costruendo? Lo sfruttamento sessuale e lavorativo è un fenomeno redditizio secondo alle armi, la droga viene ancora dopo. Dov’è finito l’amore per sé e per gli altri?” .