Lì dove cultura e accoglienza diventano parte di un unico percorso c’è Casa della Carità. Una realtà presente sul territorio di Milano che con numerose attività è presente ai margini della società, anche dal punto di vista culturale per unire aspetti apparentemente inconciliabili, approcci e linguaggi diversi. In Casa della Carità si pone una forte attenzione sulla formazione: una volta al mese, gli operatori della Casa sono chiamati a confrontarsi su questi temi e a ripensare le attività che ogni giorno portano avanti. È una scommessa culturale per chi lavora nella struttura che cerca di fornire stimoli continui per riflettere su quello che si sta facendo.
Interris.it ha incontrato Fiorenzo De Molli, responsabile del settore Accoglienza e Ospitalità di Casa della Carità per scoprire la storia ed il significato di Casa della Carità.
Il significato della Casa della Carità
“Si chiama casa della Carità perché all’interno dell’ordinamento c’è il piano pastorale “Farsi prossimo”. Questo fu il piano pastorale fatto dal Cardinale Martini quando arrivò a Milano. Questo conteneva cinque punti fondamentali: la dimensione contemplativa della vita umana, guardandola con gli occhi di Dio. Al secondo punto dice di fermarci per fare qualcosa, per ricordare la parola. Terzo: spezzare il pane per annunciare il risorto. Ultimo quello di vivere la carità. Da qui nasce il farsi prossimo. Martini volle che noi frequentassimo le periferie, infatti la casa è nelle periferie di Milano. Queste non sono viste come periferie geografiche, ma come periferie sociali”.
Una carità intelligente
“Il cardinale voleva far si che si trasformasse la carità in carità intelligente per aiutare le persone più svantaggiate, perché per immedesimarsi bisogna guardare la città con gli occhi del povero. Per questo noi abbiamo sempre accolto tutti, perché la persona la accogli perché è persona e non perché ha una determinata provenienza o un particolare trascorso”.
L’importanza dell’accoglienza
“Inizialmente Martini volle anche che l’accoglienza fosse gratuita, quindi senza retta. Questa idea fu fantastica per i primi anni perché non legavi il percorso alle rette, ma alla persona che doveva fare un percorso. Ora, date anche le grandi difficoltà economiche, abbiamo legato alcuni posti a delle convenzioni fatte con il comune e abbiamo scelto di destinare questi posti per le persone più in difficoltà, fragili o vulnerabili”.
Carità e periferie
“Andare in periferia significa aiutare le persone più nascoste, quelle meno visibili perché nella vita bisogna ricordare che tutti meritano rispetto. Ogni volto nasconde una storia degna di essere rispettata e raccontata. É questo il significato della carità”.