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Stop al sovraffollamento e alla recidiva: appello per le carceri

Il presidente del Cnel Renato Brunetta sottolinea che "su questo tema non ci dobbiamo dividere". Il rapporto realizzato con Teha registra picchi del 190%

Il problema delle carceri “non si risolvono con la bacchetta magica dell’indulto e dell’amnistia. Così come non servono le bandierine ideologiche. E le volgarità sociale e culturali di affermazioni come ‘buttiamo la chiave'”. Il presidente del Cnel, Renato Brunetta avverte che “su questo tema non ci dobbiamo dividere”. Per inquadrare il quadro della situazione della carceri italiane, che “rappresenta un fallimento totale nella storia repubblicana”, Brunetta cita Francesco De Gregori che canta “nessuno si senta escluso“. E cioè l’articolo 27 della Costituzione che sintetizza dicendo che servono “lavoro e dignità”. Secondo Alcide De Gasperi la “politica vuol dire realizzare”. Questo è “il cuore della cultura di governo”. Invece, aggiunge Brunetta,  “le carceri sono una discarica sociale misurata da suicidi, sovraffollamento e dalla recidiva. Misuriamo se facciamo bene questo mestiere e la recidiva è stabilmente sopra al 70%. Perché chi esce dal carcere torna a fare quello che faceva prima di entrarci. E magari lo fa anche meglio”. Insomma “in carcere ha avuto un percorso di formazione professionale per il crimine“. Intanto il tasso di affollamento reale nelle carceri italiane ha raggiunto il 119% nel 2023, con picchi che superano il 190% in istituti come quello di Lucca. E’ uno dei dati che emerge dal Paper “Recidiva Zero. Istruzione, Formazione e Lavoro in Carcere. Dalle esperienze progettuali alle azioni di sistema“, realizzato da Teha per conto del Cnel – Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

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Foto di Tim Hüfner su Unsplash

Cooperazione

Tra le proposte avanzate nel paper per migliorare l’efficacia del sistema carcerario e ridurre la recidiva. Promuovere un accordo tra ministeri e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) per un quadro d’azione comune con interventi organizzativi e formativi. Creare centri di servizi e competenze nelle carceri, in collaborazione con il Dap, imprese e cooperative, per la formazione di detenuti e personale. Stipulare accordi strategici a lungo termine tra carceri, organizzazioni esterne, imprese pubbliche e pubblica amministrazione. Replicare casi virtuosi in altri istituti, diffondendo circuiti carcerari aperti e misure alternative di detenzione. Rafforzare la collaborazione tra direzioni carcerarie, enti locali ed ecosistemi regionali. Adottare misure per garantire continuità tra formazione e lavoro durante e dopo la detenzione, potenziando gli incentivi per la reintegrazione. In conclusione, il Cnel e Teha ribadiscono la necessità di un intervento coordinato e sistemico per trasformare il lavoro carcerario in un vero strumento di rieducazione e reintegrazione sociale. Un sistema carcerario più aperto e integrato con il tessuto socioeconomico del Paese potrebbe non solo migliorare la sicurezza e il benessere dei detenuti. Ma anche generare un impatto positivo sull’intera società. Riducendo il tasso di recidiva e favorendo il recupero di capitale umano altrimenti destinato all’emarginazione.

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Foto: A Roma, insieme

Allarme carceri

Il sovraffollamento “ostacola la gestione quotidiana delle strutture“, evidenzia il rapporto. Inoltre “riduce anche drasticamente le opportunità per i detenuti di partecipare a programmi di istruzione, formazione e lavoro. Fondamentali per il loro reinserimento sociale“. E purtroppo il sovraffollamento comporta anche una maggiore incidenza di eventi critici. Come violenze, aggressioni, autolesionismi e suicidi. Tutto ciò “mina la sicurezza sia dei detenuti che del personale degli istituti penitenziari”. In particolare, nel 2021 ci sono state 25 manifestazioni di protesta. E 24 atti di auto-danno intenzionale ogni 100 detenuti. La situazione delle carceri italiane, quindi, richiede “un intervento strutturale e sistematico“. Per migliorare le condizioni di detenzione. E, soprattutto, per favorire il reinserimento sociale dei detenuti. Lo Stato italiano destina oltre tre miliardi di euro all’anno all’amministrazione penitenziaria. Eppure il sistema carcerario continua a soffrire di un sovraffollamento cronico. Ed è penalizzato da una gestione inefficace delle risorse. In Italia solo un detenuto su tre è coinvolto in attività lavorative. Il tasso di affollamento reale nelle carceri italiane ha raggiunto il 119% nel 2023. Con picchi che superano il 190% in istituti come quello di Lucca.

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Foto © Clemente Marmorino (Imagoeconomia)

Lavoro anti-recidiva

“In carcere non si finisce… si ricomincia” è il nome del progetto promosso dalla direzione della Casa di Reclusione di Vigevano, in provincia di Pavia. In collaborazione con le imprese sociali “bee.4 altre menti” e “Divieto di Sosta”. L’obiettivo è “avviare una nuova filiera di attività lavorative all’interno dell’istituto di pena”. Il nuovo call center, operativo da quattro mesi, è stato realizzato anche grazie alle aziende. Come la società di telecomunicazioni Eolo Spa. La società di produzione energetica Dolomiti Energia. La società Sielte spa. E la società TeamSystem. L’iniziativa si colloca all’interno di un progetto più ampio che riguarda l’impatto delle attività lavorative in carcere. Formare e offrire lavoro ai detenuti significa, tra l’altro, contribuire notevolmente all’abbattimento della recidiva. Lo scopo del progetto è offrire alle persone in carcere l’opportunità di qualificazione professionale. Impegnando positivamente il tempo della pena in linea con la Costituzione. Le possibilità di impiego riguardano l’erogazione di servizi di assistenza clienti. Per le imprese partner che hanno sposato l’idea di un carcere moderno. Capace di creare valore e occasioni di riscatto. Si va dalla gestione reclami alla validazioni contrattuali, ai cambi del piano tariffario fino alle attività di back office. Attualmente nove persone stanno lavorando con un regolare contratto a tempo pieno. E altre nove hanno avviato un percorso formativo in vista di una possibile assunzione entro la fine settembre. Rosalia Marino, direttrice del carcere è soddisfatta per questa importante tappa.

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Foto di Ye Jinghan su Unsplash

Opportunità

Afferma Rosalia Marino: “Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto sul finire dello scorso anno perché non volevamo arrenderci a un’idea. Quella che Vigevano dovesse essere un carcere privo di opportunità e di speranze” “Ci sentiamo investiti da una missione – ha aggiunto Pino Cantatore, presidente di bee.4 altre menti -:portare oltre le mura di Bollate quanto di buono abbiamo sperimentato fin qui, offrendo a persone che vivono il carcere in contesti difficili come quello di Vigevano opportunità per ricominciare”. Secondo Renato Brunetta “possiamo azzerare la recidiva con il lavoro e la formazione dentro e fuori dal carcere, un obiettivo difficile ma raggiungibile“.  In quest’ottica è nato il programma “Recidiva zero”, un grande progetto di inclusione volto a creare un ponte tra carcere e società. È un programma che il Cnel ha avviato grazie all’intuizione del ministro Carlo Nordio circa la necessità di inserire ogni intervento di gestione dell’emergenza carceraria all’interno di un quadro sistemico di collaborazione tra società civile e sistema della giustizia. Un piano imperniato sul principio costituzionale e sul coinvolgimento strutturale dei corpi intermedi e delle categorie produttive.

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Carcere (© Marcello Rabozzi da Pixabay)

Causa sociale-carceri

“I dati – precisa Brunetta -ci dicono che il sistema penitenziario è affetto da due disfunzionalità croniche. Il sovraffollamento e l’alto tasso di recidiva. Due patologie strettamente interconnesse tra loro. È ormai accertato che l’offerta di opportunità di lavoro e di formazione ai detenuti è correlata a una netta riduzione della recidività (pari oggi a circa il 70%). Ma le imprese sono poco impegnate nella causa sociale dell’inserimento lavorativo di queste persone. Del 33% dei detenuti coinvolti in attività lavorative (oltre 19 mila nel 2023) ben l’85% lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, usualmente per poche ore al giorno o al mese”. Per migliorare la situazione attuale, il Pnrr ha stanziato 132,9 milioni di Euro entro il 2026 per costruire e ottimizzare padiglioni e spazi all’interno delle carceri, creando 640 nuovi posti detentivi e favorendo attività lavorative per ridurre i tassi di sovraffollamento e recidiva. Uno degli aspetti più critici del sistema carcerario italiano è infatti l’elevato tasso di recidività dei detenuti. Attualmente, il 60% dei detenuti in Italia ha già avuto almeno un’esperienza precedente in carcere. Tuttavia, i dati suggeriscono che il coinvolgimento in attività lavorative possa ridurre significativamente questa percentuale (fino al 2%) per i detenuti che hanno avuto possibilità di accesso a un’occupazione stabile durante la reclusione. Il paper sottolinea inoltre la necessità di incrementare la collaborazione tra il mondo delle carceri e il sistema delle imprese attraverso Partnership Pubblico-Private (PPP). Queste collaborazioni costituiscono strumenti fondamentali per permettere ai detenuti di acquisire competenze professionali spendibili sul mercato del lavoro. Migliorando le loro prospettive di reintegrazione.

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Foto di Emmanuel Phaeton su Unsplash

Testimonianza

Il quadro che viene in mente leggendo il libro di Wanda Marra “Cose che mi hanno salvato la vita” (People editore) è il celebre ritratto di Félix Fénéon di Paul Signac. Ogni singola parola, ognuna delle brevissime frasi che irrompono in ogni pagina, fanno pensare ai puntini colorati che, alla fine, compongono un unico insieme variegato. Esattamente come la tecnica pittorica del “puntinismo” di cui Signac, insieme a Georges Seurat, è stato uno dei massimi esponenti. Nel quadro, di fine ‘800, si vede un signore distinto, con tanto di bastone, cilindro e guanti in una mano, che porge, con l’altra, un fiore, sullo sfondo coloratissimo, geometrico, pieno di luci ed ombre che esplode in una serie di spicchi, ognuno differente dall’altro. Tutti uniti da un punto di fuga invisibile, ma fondamentale. Un modo, per Signac, di descrivere il suo amico, famoso critico d’arte, dalla personalità eccentrica, poliedrica, anarcoide, raffinatissima, come se fosse il narratore o il contenitore di mille mondi. E in questo volume è un po’ quello che fa Wanda Marra, giornalista politica  e studiosa di Giacomo Leopardi. Attraverso una sorta di “puntinismo letterario”, fa affiorare brandelli di vita. A cominciare da esperienze importanti come quella vissuta nel carcere di Casal del Marmo, dove ha tenuto un ciclo di incontri-lezioni con detenuti e detenute minorenni nell’ambito di un progetto di “giustizia riparativa“. Da “Cose che mi hanno salvato la vita” emergono così pensieri, sensazioni ed emozioni, descritti nell’imminenza del loro accadimento. Come se fossero minuscole pennellate che, alla fine, guardandole da lontano, dopo aver chiuso il libro, compongono un insieme.

 

 

 

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