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Canu: “Con l’app ‘Chiese a porte aperte’ facciamo rivivere il patrimonio culturale del territorio”

L’intervista di Interris.it a Roberto Canu, responsabile dell’applicazione “Chiese a porte aperte” in Piemonte e Valle d’Aosta

Una visita in completa autonomia e con biglietto gratuito a cui, per accedere, basta far “leggere” il QR code al lettore all’ingresso per aprire la porta ed entrare, senza che si renda necessaria la presenza di un botteghino o di un custode, per lasciarsi trasportare da una guida digitale multilingue, da luci direzionali che accompagnano la narrazione in lingua italiana dei segni (Lis) per chi ha una disabilità. Tutto questo in un museo di fama internazionale che si trova in una metropoli italiana, attraente meta per i turisti di tutto il mondo? Nient’affatto, perché in questo caso stiamo parlando dell’applicazione “Chiese a porte aperte” che consente di entrare a visitare trenta chiese rurali tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, che saliranno a una quarantina entro la fine dell’anno. Non delle chiese chiuse e abbandonate, ma dei luoghi nelle aree più interne dove è la comunità di quel territorio che si occupa di tenerle aperte senza poter però garantire un servizio costante dato il flusso non regolare di turisti e visitatori. Un aiuto che è al tempo stesso un incentivo alla gente del posto a conservare e valorizzare quello che ha intorno, uscendo dall’immaginario del monumento, della galleria d’arte, dell’attrazione, per rinsaldare il legame tra l’essere umano e il territorio dove vive, che lo ospita. “E’ un concetto più antropologico che estetico”, spiega a Interris.it il responsabile del progetto dell’app Roberto Canu, “far attivare le persone all’interno del loro territorio per aiutarle a comprendere ciò che hanno intorno, che sia una chiesa romanica o un prato”.

Coniugare quattro attività

Ispirato alla Convenzione di Faro, un dispositivo del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, “Chiese a porte aperte” è una modalità tecnologica innovativa, ideata dalla Consulta per i beni culturali ecclesiastici del Piemonte e Valle d’Aosta e dalla Fondazione CRT che lo sostengono con la Regione Piemonte, il cofinanziamento dei proprietari dei beni (parrocchie e comuni) e sotto l’alta sorveglianza delle Soprintendenze competenti per territorio. Il suo obiettivo è di “coniugare insieme attività inerenti al patrimonio culturale che non vengono sempre portate avanti insieme”, spiega ancora Canu, “cioè conoscenza-ricerca, tutela-conservazione, valorizzazione e gestione”. Il progetto le declina innanzitutto continuando a rendere visitabili e fruibili dei luoghi bisognosi di restauro e di tutela, in modo da favorire così gli interventi economici necessari.

L’“inciampo” del turista

Mi piace pensare che una persona, mentre sta girando in un luogo, ‘inciampi’ in qualcosa da conoscere, perché non tutto può essere musealizzato e questo patrimonio che abbiamo sparso sul territorio non è solo un legame col passato, ma è in grado di dirci qualcosa ancora oggi”, continua il responsabile. “Attraverso il passaparola si crea in circolo di visitatori che va dai membri della stessa comunità residente al turista di prossimità, come anche quello che viene da più lontano”.

Il progetto

L’idea dell’app nasce per dare una mano ai volontari che non potevano sempre essere fisicamente presenti per aprire le chiese rurali in occasione di visite, oltre a scongiurare che chi vi passasse e vedesse la porta chiusa, ne traesse la conclusione che non erano aperte al pubblico. “E’ un progetto di territorio, negli anni abbiamo lavorato per rendere fruibili questi luoghi e per consentire l’ingresso in autonomia con l’aiuto della tecnologia”, illustra Canu. Che spiega: “Si scarica l’app, ci si registra con i propri dati personali creando così un biglietto virtuale gratuito e valido, poi grazie alla scannerizzazione del QR code si può entrare da soli”. Una volta dentro, un sistema di narrazione automatizzata, composto da luci direzionali, musica e una voce narrante in tre lingue, spiega l’architettura del luogo e gli affreschi, con pannelli appositi per persone con disabilità uditiva. “Non introduciamo elementi nuovi, non optiamo per l’esperienza della realtà aumentata, preferiamo la realtà ‘narrata’”, aggiunge il responsabile, “che racconta la storia di quel luogo, più che la storia dell’arte”.

“Renderci migliori”

Nonostante non una formazione universitaria in questo ambito, Canu, che è uno psicologo sociale, si è appassionato al patrimonio culturale nel corso di una lunga esperienza nei Balcani. L’incontro, in lui, tra questi due mondi, gli ha consentito di adottare un nuovo punto di vista: “Non amo quella cultura che si rivolge ai soli addetti ai lavori, che non usa altri linguaggi. Questi luoghi trovano un senso se invitano le persone di quel territorio a costruire legami in quella loro realtà, le cosiddette comunità patrimoniali”. Il suo compito di mediazione in questo processo muove spinto dalla concezione che “il museo è il ‘luogo delle muse’, dove la gente va per lasciarsi ispirare, non solo per vedere. Il tema oggi è rimettere in moto le persone, toglierle dalla passività della contemplazione estetica, perché la cultura deve renderci persone migliori”.

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