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Cadelano (AIPD): “L’inclusione è un fattore fondamentale”

L'intervista di Interris.it a Francesco Cadelano, referente del progetto "La mia casa è il mondo" dell'Associazione Italiana Persone Down

In Italia, un bambino ogni 1200 nasce con la sindrome di Down, una condizione genetica alla base della più comune forma di disabilità intellettiva nel mondo.

L’Associazione Italiana Persone Down

L’A.I.P.D. nasce il 2 gennaio 1979 da un piccolo gruppo di famiglie con il nome di Associazione Bambini Down. Nel 1982: nasce la prima Sezione AIPD nella città di Viterbo, mentre oggi le Sezioni sono 56 in tutto il paese. L’associazione, fin dalla sua fondazione, opera per favorire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con la sindrome di Down attivando svariate progettualità, tra cui “La mia casa è il mondo” che, attraverso il coinvolgimento delle comunità nelle città di Belluno, Brindisi, Campobasso, Caserta, Catanzaro, Frosinone, Latina, Potenza e in Trentino, intende promuovere attività inclusive attraverso la collaborazione con altre realtà associative del territorio. Interris.it, in merito a questa esperienza, ha intervistato Francesco Cadelano, laureato in Scienze dell’educazione, dal 2002 al 2011 è stato educatore nel «Corso di educazione all’autonomia» dell’AIPD di Roma. Dal 2008 lavora nell’AIPD Nazionale come referente dei percorsi di educazione all’autonomia.

L’intervista

Come nasce e che obiettivi ha il progetto “La mia casa è il mondo”?

“La mia casa è il mondo” nasce nel periodo della pandemia e l’obiettivo di questo progetto è dare la possibilità a dei preadolescenti con la sindrome di down di riappropriarsi della città e del mondo in un periodo in cui, ovviamente, con la chiusura delle scuole e con il blocco delle attività extrascolastiche, erano stati molto tempo a casa. La finalità del progetto era il fare rete con altre attività e realtà sociali, appartenenti all’associazionismo e ai territori, per permettere ai ragazzi di collaborare con altre realtà. Gli stessi hanno contattato questi compagni di viaggio per fare delle attività sul territorio. L’attività progettuale si è sviluppata in nove città italiane in cui sono presenti le nostre sedi ed è stata finanziata dal Dipartimento per le Politiche della Famiglia. Sono stati coinvolti in totale 45 preadolescenti seguiti dai loro operatori e, all’interno di queste realtà, hanno svolto varie attività, ad esempio nell’ambito museale e di collaborazione con le altre associazioni”.

Che valore riveste per voi l’inclusione delle persone con disabilità?

“È un fattore fondamentale. In tutti i nostri progetti, dai corsi di educazione all’autonomia, agli inserimenti lavorativi, fino all’attenzione per la scuola, l’inclusione fa parte della mission e della vision dell’Associazione Italiana Persone Down. Deve verificarsi in due sensi, da parte dell’associazione verso la società e dalla società verso i ragazzi con disabilità cognitiva”.

volontariato

Quali sono i vostri desideri per il futuro riguardo allo sviluppo di questo progetto? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra azione di inclusione?

“Il progetto sicuramente continuerà. Tra l’altro è uscita una pubblicazione di Erickson dal titolo “La mia casa è il mondo”, in cui viene spiegato il progetto. Il nostro auspicio è che, il progetto, oltre a continuare nelle sedi dov’è stato fatto, possa veramente fare scuola. Ci siamo resi conto che, fare rete nel territorio, nonostante sembrerebbe una cosa semplice, non lo è affatto perché, spesso, le associazioni si chiudono in loro stesse. Non si rendono conto che ci sono molte altre realtà con cui crescere e camminare insieme. Il titolo del progetto “La mia casa è il mondo” ha proprio lo scopo di conoscere il territorio, la realtà e le altre persone. La cosa bella che sta avvenendo alla fine del progetto è che, le altre associazioni, adesso contattano i ragazzi per collaborare e fare delle attività insieme, mentre prima eravamo noi a contattare loro. Spero che, questa attività, venga presa anche da altre associazioni di persone che hanno voglia di crescere nel territorio. I ragazzi, alla fine delle attività, hanno lasciato un segno reale nel territorio come ad esempio una panchina, dei giochi o sistemato dei parchi. È nato qualcosa di bello e visibile che è poi stato condiviso dalla comunità locale”.

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