La pandemia di coronavirus che ha colpito il nostro Paese non ha avuto un impatto solo sul nostro modo di vivere, costringendoci in casa per oltre tre mesi o facendoci adattare forzatamente all’utilizzo della mascherina, misure di vitale importanza per la nostra salute.
A causa del Covid-19, per molto tempo, e ancora oggi, molti nostri connazionali hanno dovuto subire pesanti lutti, senza neanche la possibilità di poter dare un’ultima carezza o celebrare il funerale per i loro cari.
Gli ospedali e gli operatori sanitari hanno dovuto affrontare una crisi senza precedenti che ha portato alla sospensione delle attività sanitarie programmate, ricoveri solo in caso di prestazioni urgenti, per non caricare le strutture sanitari e lasciare quanti più posti letto possibili alle persone affette da coronavirus.
Alcuni dati sulle prestazioni mancate
Quante siano le prestazioni e le visite specialistiche che sono saltate a causa del coronavirus lo ha calcolato uno studio del Crems, il Centro di Ricerca in economia e management in Sanità dell’università Carlo Cattaneo, realizzato per Dataroom: sono state rinviati oltre 12,5 milioni di esami diagnostici, 20,4 milioni di analisi del sangue, 13,9 milioni visite specialistiche e oltre un milione di ricoveri.
Tra le varie prestazioni mancate, ci sono anche quelle che riguardano gli screening preventivi per il tumore al seno. Complici le misure restrittive, le visite sospese e la paura di recarsi in ospedale per non essere contagiati dal coronavirus, molte donne non hanno effettuato questi esami.
Prestazioni che dovranno essere recuperate… ma con quali tempistiche? Quali sono le priorità adesso? Interris.it ne ha parlato con al dottoressa Daniela Bossi, presidente Andos Milano (Associazione nazionale donne operate al seno) e chirurgo senologo presso l’Ics Maugeri di Pavia.
Dottoressa, durante l’emergenza coronavirus, a causa della delicata situazione negli ospedali, molte visite – anche quelle legate alla prevenzione – sono state rimandate. Adesso qual è la priorità?
“I pazienti in terapia oncologica non sono mai stati ‘abbandonati’, pur con tutte le difficoltà del caso. Recarsi in ospedale in epoca coronavirus è diventata una cosa abbastanza pericolosa, soprattutto per loro, che dal punto di vista delle difese immunitarie sono molto compromessi. Attualmente, le priorità sono rivolte verso pazienti che non hanno potuto affrontare l’intervento chirurgico per le restrizioni legate al Covid-19, le liste di attesa si sono allungate e sono da recuperare. Negli ospedali è in atto un’analisi interna per capire a quali dare la precedenza. C’è un riallineamento degli ospedali alcuni dei quali sono un po’ in affanno per la riorganizzazione. L’altra priorità è il recupero della fase preventiva che è stata completamente abbandonata. Lo screening che viene effettuato per la neoplasia della mammella è stato lasciato un po’ indietro. Il problema principale è recuperare questa mole di lavoro che riguarda i vari screening e le visite non effettuate, molto ingenti come numero”.
E’ possibile quantificare il numero delle visite e degli interventi che non sono stati eseguiti durante il lockdown?
“Le parlo dal punto di vista delle analisi che sono state fatte, non dalla nostra associazione, che in questo periodo hanno svolto un lavoro di supporto per le paziente. Tradotto in numeri, in tutta Italia, sono saltati 12,5 milioni di esami diagnostici, 20,4 milioni di analisi del sangue, 13,9 visite specialistiche e oltre un milione di ricoveri. E’ logico che i tempi di attesa, già lunghi per alcune visite specialistiche si sono allungati ulteriormente. C’è tutta un cascata di problemi importanti. Però devo dire che l’attività oncologico, non quella preventiva, non ha subito un impatto così potente come ad esempio la cardiologia, l’oculistica, ossia quelle apparentemente meno importanti”.
Dove era possibile, molte persone hanno evitato di recarsi negli ospedali per paura del contagio?
“Assolutamente sì. La paura del coronavirus ha condizionato l’accesso agli ospedali. I Pronto Soccorsi, che prima della pandemia erano oberati da accessi – in alcuni casi anche inappropriati – si sono svuotati. Tuttora c’è molta paura di andare in ospedale, di sottoporsi ad un eventuale intervento. Noi lo vediamo come associazione, le donne ci telefonano per chiedere se sia prudente o meno recarsi nelle strutture ospedaliere. Noi le sproniamo perché l’accesso avviene dietro il risultato di un tampone negativo. Questo mette al sicuro sia i pazienti che il personale sanitario”.
Ritardare lo screening è potenzialmente molto pericoloso perché si corre il rischio di arrivare in ritardo ad un’eventuale diagnosi…
“Sì, ma bisogna dire che non basta recarsi ogni due anni a fare la mammografia. Non è solo la diagnosi precoce che salva la vita, ma ha un ruolo molto importante. Questi quattro mesi di lockdown è stata abbastanza critica. La fetta di popolazione che spontaneamente o chiamata si recava a fare gli esami di prevenzione è mancata. E’ un dato molto importante”.
Come Associazione, come aiutate le donne che si rivolgono a voi?
“Noi nasciamo come associazione che assistevano le donne che soffrivano di linfedema, quando in seguito allo ‘svuotamento ascellare’ il mancato ritorno linfatico faceva venire questo grosso braccio. Esigenza che è andata un po’ scomparendo perché gli interventi che vengono fatti al giorno d’oggi sono molto più conservativi e lo svuotamento ascellare è sempre meno indicato in campo senologico. Conseguentemente, la nostra assistenza è passata da quella di tipo fisico a quella di tipo psicologico, un affiancamento della paziente fino alla normalità. Nei comitati in tutta Italia, ognuno ha una propria dimensione a seconda delle esigenze territoriali, ma forse siamo una delle più grandi associazione di donne operate al seno e ci occupiamo di stare loro vicino modificandoci a seconda delle loro necessità”.
Per una completa guarigione, quanto è importante accettare questa malattia e l’eventuale operazione?
“E’ essenziale, tutto passa attraverso l’accettazione. E’ fondamentale per poter affrontare tutto il periodo di cura. La consapevolezza della malattia porta a combatterla senza evitarla e senza nasconderla. A volte le pazienti che si mostrano più forti sono in realtà quelle più fragili, perchè, come abbiamo detto la guarigione passa attraverso l’accettazione che è una fase dolorosa, emotiva e fisica. Questi passaggi per noi sono fondamentali. Da medici riusciamo a vedere quanto una paziente è in difficoltà con l’accettazione e possiamo attivare i nostri psicologi che si mettono a fianco della nostra paziente per aiutarla ad affrontare questo percorso. Come medici non abbiamo molto tempo per stare accanto ai pazienti, ma non lo dico in tono polemico. Dove non arrivano le istituzioni, subentra il terzo settore che sono le associazioni come la nostra”.