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Bosnia, il lavoro che costruisce l’emancipazione

L'azione di Iscos Lombardia per favorire forme di imprenditorialità femminile nelle aree rurali bosniache raccontata a Interris.it da Marta Valota, direttrice di Iscos Lombardia

La Bosnia-Erzegovina è stata al centro della guerra che, all’inizio degli anni ’90 del ‘900, ha lambito i territori della ex Jugoslavia. In particolare, dopo il referendum del 1° marzo 1992, che sanciva l’indipendenza della Bosnia dalla Federazione. Il 5 aprile dello stesso anno, i bosniaci, si sono dichiarati indipendenti, nonostante il boicottaggio e la posizione contraria dei serbi. Tale evento ha trascinato anche la Bosnia nella crudele guerra che ha portato alla dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia. Un violento conflitto civile ha quindi lambito quest’area, causando vittime civili e distruzioni, le cui conseguenze si ripercuotono ancora oggi sulle aree rurali e sulle persone più deboli, come le donne rimaste vedove dopo la guerra e le persone con disabilità. Interris.it, in merito alla attuale situazione in Bosnia e all’opera di sostegno all’imprenditoria femminile nelle aree rurali del Paese, ha intervistato Marta Valota, direttrice di Iscos Lombardia.

A sx le attività progettuali realizzate, a destra Marta Valota (a sx @ Iscos Lombardia a dx @ Marta Valota)

L’intervista

Valota, in che modo è iniziata e si sta sviluppando la vostra opera di sostegno all’imprenditoria femminile in Bosnia?

“Iscos e la Bosnia hanno un filo diretto e attivo già dal 1991. Quando è iniziato il conflitto nella ex Jugoslavia, noi insieme a Cisl Lombardia e a una moltitudine di realtà del Terzo Settore, abbiamo fatto parte della ‘Carovana della pace’ nella quale, insieme al mondo dell’associazionismo, ci eravamo recati a ridosso di quei confini per chiedere che, la guerra, non scoppiasse. Purtroppo, invece, non è andata così. Nell’epoca post-bellica, Iscos ha iniziato la sua attività vera e propria di cooperazione internazionale in Bosnia attraverso le attività di ricostruzione. Essendo un ente promosso dalla Cisl, insieme ad altre categorie sindacali, come ad esempio i metalmeccanici e gli edili, abbiamo attivato i primi progetti di ricostruzione materiale degli edifici, a cui se ne sono aggiunti altri che puntavano alla riconversione civile delle aziende militari. Il focus principale delle nostre attività è quello di rendere dignitosa la vita delle persone attraverso il lavoro, creando delle attività in un territorio devastato dal conflitto. Arrivando ai giorni nostri e continuando i dialoghi con la società civile in loco, in particolare con delle associazioni totalmente al femminile, Yadar e Uz Nera nel 2019, abbiamo deciso di costruire un progetto di cooperazione, il quale punta al rafforzamento e alla creazione di opportunità di lavoro per le donne nei contesti rurali”.

Quali sono le caratteristiche delle aree rurali bosniache? Come agite in quelle zone?

“La Bosnia, specialmente in campagna, sembra un Paese fantasma quindi, chi può permetterselo, abbandona le proprie terre e migra verso la Germania o l’Austria. I luoghi rurali, quindi, sono abitati perlopiù da donne che, dal ’91, a causa del conflitto, sono rimaste senza mariti e figli e devono impegnarsi per andare avanti. Da qui è nata l’idea di attivare dei corsi di formazione, i quali coinvolgono 65 donne, affinché possano accrescere le loro competenze artigianali e agricole molto legate al territorio. Sono nate delle microimprese legate ai manufatti tessili e alle saponette. Inoltre, pochi giorni fa, sono riuscite ad acquistare una piccola pressa per spremere frutta nonché verdura e, la signora Amra, una donna sola con un figlio con disabilità, che ha il sogno di fondare un suo marchio per la produzione di marmellate e succhi di frutta, riuscirà ad arruolare altre donne per ampliare il raggio d’azione nei mercati locali e nelle città un po’ più grandi, con l’obiettivo di diventare autonome. Occorre però ricordare che, nella costituzione bosniaca, la questione di genere non è evidenziata e, alle donne, non vengono parimenti riconosciuti i loro diritti”.

In che modo, il vostro progetto, ha incentivato la pace e il rispetto dei diritti umani nei confronti delle donne?

“Il lavoro è uno strumento di emancipazione, attraverso il quale si può vivere dignitosamente e rispettando le competenze e i bisogni di ognuno. I nostri progetti danno un incentivo affinché, anche le donne, possano avere un’opportunità che, allo stato attuale, non riescono a trovare. Attraverso la cooperazione internazionale di Iscos, si dà una fiammella di speranza e un incentivo economico iniziale. Non è qualcosa che sostituisce l’iniziativa locale e l’intraprendenza locale, ma aiuta e da uno stimolo affinché, le donne, attraverso il proprio lavoro, possano sviluppare la loro idea di impresa e, di conseguenza, rendersi autonome. Questi progetti, da un lato, danno la formazione necessaria e, dall’altro, l’accesso al mondo del lavoro pertanto, attraverso ciò, si arriva a contesti di pace, serenità e giustizia”.

Quali sono i vostri auspici per il futuro in merito allo sviluppo del progetto? In che modo, chi lo desidera, può aiutare le attività progettuali in Bosnia?

“Stiamo lavorando alla possibilità di creare degli spazi in cui, bambini e ragazzi, possano stare durante la giornata, mentre le loro madri sono al lavoro. Vogliamo supportare le donne nell’ambito della conciliazione vita – lavoro, specialmente nel settore agricolo, coadiuvandole nell’organizzazione del loro tempo. Chi desidera aiutare la nostra azione può visitare il nostro sito www.iscoslombardia.eu, dove sono riportate tutte le modalità possibili per farlo e si può destinare il 5 x 1000 indicando il nostro Codice Fiscale. Inoltre, coinvolgiamo i nostri sostenitori, chiedendo loro di partecipare alla vita dell’ente e, in determinati periodi dell’anno, organizziamo in Bosnia dei viaggi della memoria, con un itinerario che lambisce anche le nostre associazioni partner in Bosnia, si possono visitare i luoghi dei nostri interventi e, soprattutto, conoscere dal vivo le persone coinvolte”.

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