Bosnia Erzegovina, le speranze e i contrasti alle porte d’Europa

La situazione attuale della Bosnia Erzegovina tra divisioni etniche e speranze europee spiegata a Interris.it da Silvio Ziliotto, tra i curatori del volume intitolato “Dayton, 1995 – La fine della guerra in Bosnia Erzegovina, l’inizio del nuovo caos”

Il ponte sulla Drina a Višegrad, in Bosnia-Erzegovina. Foto di Vera Mandic su Unsplash

La Bosnia Erzegovina, fino al 1992, ha fatto parte della Repubblica Federale di Jugoslavia. A seguito del referendum per la dichiarazione di indipendenza, la stessa è stata coinvolta nel conflitto allora esploso tra gli altri ex stati della Jugoslavia. Fino al 1995 è stata oggetto di furibondi scontri, rappresaglie e violazioni dei diritti umani, che hanno portato anche al coinvolgimento delle Nazioni Unite. Nel 1995, il Paese, a seguito degli Accordi di Dayton, è diventato indipendente ed ha assunto l’attuale assetto istituzionale. Interris.it, in merito all’odierna situazione nel Paese balcanico, ha intervistato Silvio Ziliotto, curatore insieme a Luca Leone, del libro intitolato “Dayton, 1995 – La fine della guerra in Bosnia Erzegovina, l’inizio del nuovo caos”.

Silvio Ziliotto e la copertina del testo da lui curato (@ Silvio Ziliotto)

L’intervista

Ziliotto, sono trascorsi molti anni dagli Accordi di Dayton. Com’è cambiato il contesto politico della Bosnia Erzegovina?

“Devo dire, con una certa amarezza, che non è cambiato quasi nulla dalla stipula degli Accordi di Dayton a oggi. C’è stata una cristallizzazione della divisione etnica e, soprattutto, lo sviluppo sempre più evoluto, di una consorteria clientelare, con anche delle ramificazioni di stampo criminale, molto pericolose. In altre parole, quando si tratta di compiere malaffari, la divisione etnica, scompare ma sussiste invece per mantenere la popolazione divisa in altri casi”.

Ad oggi, in Bosnia, si sta verificando una crescita dei movimenti nazionalistici interni. A cosa è dovuta?

“Creando delle polarizzazioni nella popolazione si dividono le differenti etnie presenti nel Paese, ovvero quella bosniaco – croata, la bosniaco serba e i bosgnacchi, di religione mussulmana. Tale condotta è esacerbata dal leader serbo Dodik ma, purtroppo, è seguita anche da altri, è finalizzata ad avere un maggior controllo delle risorse, dei partiti e, soprattutto, del territorio. C’è però una buona notizia: questo tipo di divisione etnica è più diffusa tra le persone reduci dalla guerra o tra coloro che hanno utilizzato quel conflitto per i loro fini personali. La nuova generazione di giovani invece, composta da coloro i quali sono nati dopo il 1995, è stanca di queste divisioni e, pertanto, chiede libertà di movimento per l’Europa, al fine di favorire il loro sviluppo, la crescita personale e culturale. Sono quindi sempre più avversi ad una politica che non riconoscono come utile alla loro crescita e ciò, di conseguenza, scatena anche una potenziale emigrazione dei giovani migliori, tra cui la manodopera specializzata perché, le scuole bosniache, formano ancora bene”.

Lei ha curato con Luca Leone il libro intitolato “Dayton, 1995 – La fine della guerra in Bosnia Erzegovina, l’inizio del nuovo caos”. Cos’è emerso dalla ricerca e dalle diverse testimonianze raccolte?

È emerso un atteggiamento molto critico verso l’attuale classe dirigente delle tre diverse etnie della Bosnia Erzegovina, ma anche un grande amore per il Paese unitario, quale terra di confronto e della convivenza pacifica tra le etnie diverse, in nome della ‘Gerusalemme d’Europa’, nome con cui era conosciuta Sarajevo per la presenza di quattro grandi Credo. Sono poi stati scritti alcuni saggi sul valore dell’ecumenismo e sull’importanza dell’incontro. L’analisi dell’azione politica è stata molto negativa però ci sono degli spiragli verso il futuro. Allo stesso tempo, lo status quo, è quello del 1995. Questo è l’elemento che attanaglia di più chi ha a cuore la Bosnia. Ci sono interventi di intellettuali importanti, come Silvio Ferrari e Gianluca Paciucci, la bellissima poesia dedicata alle madri di Srebrenica da parte dell’appena scomparso Abdulah Sidran”.

Foto di Oğuzhan EDMAN su Unsplash

Tra i pensieri riportati nel testo c’è quello del diplomatico americano Anthony Lake..

“Si. Premetto che, in questo libro, è emersa molta passione e smisurato affetto per la Bosnia Erzegovina, tra cui l’intervento di Anthony Lake, colui che si è occupato della ‘Shuttle Democracy’ per fare la cosiddetta ‘pax americana’. Egli ci ricorda che: ‘la diplomazia non è un gioco praticato su tavoli immaginari, le nazioni non sono pedine di una scacchiera, ma comunità di esseri umani e, senza comprendere le loro vite, è impossibile prendere decisioni congruenti e basate sulla realtà’. Quindi, colui che ha portato avanti la grande azione di convincimento delle potenze e dei leader affinché si sedessero a un tavolo a firmare la pace, sottolinea che, la diplomazia di quest’ultimi, non basta ma è necessario ricordarsi di aver a che fare con degli esseri viventi. Tutto ciò è molto significativo e importante, soprattutto in vista del trentesimo anniversario degli Accordi di Dayton che ricorrerà il prossimo anno”.