Fare informazione, raccontare i fatti per come si sono svolti e divulgare idee e opinioni nella loro pluralità è un elemento fondamentale e vitale di ogni democrazia. Tanto che la nostra Costituzione all’articolo 21 recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Quello del giornalista è un mestiere che, come dichiara nell’intervista che segue il giornalista antimafia e vicedirettore di Agi Paolo Borrometi, “può aiutare a risolvere le cose che non vanno” nella nostra società.
Un mestiere con una grande responsabilità morale e civile, purtroppo esposto a diversi rischi come minacce, aggressioni, fino all’omicidio. In Italia sono circa una ventina i cronisti sotto scorta, sono centinaia gli atti intimidatori venuti alla luce sia sul web che nelle strade, nel nostro Paese. Senza dimenticare tutti quelli che hanno perso la vita mentre facevano il proprio dovere, come Giancarlo Siani, Andrea Rocchelli, Walter Tobagi, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Mauro Rostagno, Giuseppe Fava, Giuseppe Spampinato.
La situazione in Italia
Nel nostro Paese, come evidenziato dall’Osservatorio Ossigeno l’informazione, le minacce, gli atti intimidatori e gli abusi nei confronti del giornalisti rimangono impuniti nel 96,7% dei casi (2019), una percentuale in lieve calo rispetto al periodo 2011-2017.
Sempre secondo Ossigeno, al 7 marzo 2021, sono 69 le operatrici dell’informazione minacciate, prevalentemente con post denigratori sui social, offese e insulti sessisti.
Per quanto riguarda il fenomeno nel suo complesso, l’osservatorio ha inoltre registrato che nel 2020 sono aumentati sia il numero di giornalisti colpiti da minacce e atti intimidatori, 495 rispetto ai 472 dell’anno prima, che e la percentuale di giornaliste vittime di attacchi (+3%). Ossigeno ha sottoposto a verifica 366 episodi, per verificare la fondatezza, e ciò che ne è emerso è che a tipologia più diffusa sono stati gli avvertimenti (56%), seguiti dalle aggressioni (20%), poi l’abuso di denunce e azioni legali (15%), i danneggiamenti (8%) e gli episodi di ostacolato accesso all’informazione (1%).
In base ai dati del Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti del giornalisti, presieduto dal Ministero dell’Interno, che si occupa di monitorare, analizzare e fornire informazioni sul fenomeno, gli atti intimidatori aumentano. Nel 2019 infatti si è registrato un +19% dei casi sull’anno precedente, saliti all’87%. Tendenza purtroppo confermata nel 2020, con 163 casi e anche nel primo semestre del 2021, con +11% rispetto allo stesso periodo del 2020. Infatti già nei primi sei mesi dell’anno in corso sono stati registrati 110 casi, come illustrato, al convegno della scorsa estata, organizzato dall’Ordine dei giornalisti e dalla direzione centrale della Polizia criminale “Gli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti: una minaccia alla libertà di espressione”, dal prefetto Vittorio Rizzi, presidente dell’Organismo di supporto al Centro di coordinamento per le attività di monitoraggio, analisi e scambio permanente di informazioni sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti.
Gli attacchi, secondo il Comitato, al 2020, provengono per circa il 20% dalla criminalità organizzata. Crescono le minacce sul web, da circa un quarto del totale nel 2018 e 2019 al 44% registrato nel 2020, probabilmente per via anche del lockdown e delle limitazioni connesse al periodo pandemico. Negli ultimi tempi, ha acquistato rilievo il fenomeno degli atti intimidatori durante le proteste “no green pass”.
La situazione nel mondo
Nell’ultimo decennio, in media è stato ucciso un giornalista ogni quattro giorni, secondo il rapporto Unesco Safety of Journalists and the Danger of Impunity. Tra il 2006 e 2020 a livello mondiale si sono registrate oltre 1.200 uccisioni di giornalisti, che in quasi nove casi su dieci sono rimaste irrisolte sotto il profilo giudiziario, riporta l’Osservatorio Unesco dei giornalisti uccisi. Un sottile raggio di luce emerge dagli dati disponibili del Threats that Silence: Trends in the Safety of Journalists dell’Unesco World Trends Report Insights, in cui si evidenza una diminuzione delle uccisione del 20% nel 2016-2020 rispetto al quinquennio precedente (2011-2015). Migliora lievemente il tasso d’impunità, all’87% contro l’88%, ma aumentano le minacce contro i mezzi d’informazione.
Una buona notizia è stata l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2021 a due giornalisti, la reporter filippina naturalizzata statunitense Maria Ressa cofondatrice del sito d’informazione Rappler e voce critica dell’operato del presidente Rodrigo Duterte, e il direttore del quotidiano indipendente russo Novaja Gazeta Dmtrij Muratov. “Un segnale straordinario che fa comprendere ai cittadini quanto il ruolo del giornalisti sia fondamentale per la società”, ha commentato Borrometi.
L’intervista
Per sottolineare l’importanza del ruolo svolto dagli operatori dell’informazione, l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha proclamato il 2 novembre Giornata internazionale per mettere fine all’impunità dei crimini contro i giornalisti, scegliendo questa data per commemorare l’assassinio di due giornalisti francesi uccisi in Mali quello stesso giorno del 2013. Sul tema, Interris.it ha intervistato il vicedirettore di Agi Paolo Borrometi, da anni sotto scorta in seguito alle minacce ricevute della criminalità organizzata.
Uno sguardo “dal di dentro”. Un problema diffuso per i giornalisti nel nostro Paese sono le querele temerarie, di cosa si tratta?
“Sono querele che nel 70% dei casi si risolvono in un nulla di fatto ma chi le subisce, soprattutto quelle civili, vive con addosso una costante preoccupazione. Il nostro è un ruolo sociale delicatissimo e non ci può essere un abbassamento della qualità del nostro lavoro. E’ un problema drammatico e più volte il legislatore ha promesso agli organismi di categoria di intervenire con una legge, senza dimenticare che ce ne sono già diverse, ferme nelle rispettive commissioni. Una norma sulle querele sarebbe un segnale di attenzione del ruolo del giornalista”.
Di chi sono “bersaglio” i giornalisti?
“Il nostro è un ruolo che ci espone a molteplici critiche e noi, finché si tratta di critiche, abbiamo il dovere di accettarle. Purtroppo da un po’ di tempo a questo parte si assiste a una sorta di ‘tiro al piccione’ che va dal piccolo potente di turno al politico che non accetta le domande. Fino agli episodi che abbiamo visto negli ultimi mesi in alcune manifestazioni che avevano come obiettivo il ‘tiro al giornalista’. La mole di persone che vede nel ruolo del giornalista non tanto il nemico quanto l’obiettivo da abbattere ci espone ancora di più. Ecco perché il legislatore ci dovrebbe tutelare in maniera ancora più attenta”.
Adesso le minacce e intimidazioni viaggiano anche nel mondo social?
“Il numero di minacciati sui social è enorme. Spesso si considerano l’intimidazione, l’insulto, la minacce sui social – sempre crescenti di giorno in giorno – come qualcosa di accettabile perché ‘di pancia’. Spesso invece le organizzazioni criminali utilizzano i social proprio per questo livello di impunità proprio come nuova arma. Per incutere timore non solo al giornalista, ma anche a chi legge il giornalista. Certo, queste vanno divise e soppesate per ciascun caso, ma rappresentano un campanello d’allarme drammatico”.
Secondo i dati di Ossigeno, al 2019, il 96,7% degli atti intimidatori e non solo contro i giornalisti restano impuniti. Come commenti questa percentuale?
“C’è la sensazione, che è molto peggio dell’impunità stessa, che oggi minacciare un giornalista sia qualcosa che sta nelle ‘regole del gioco’. Il messaggio che passa è che ‘io lo posso fare, tanto non avrò nessuna responsabilità per quello che sto facendo’ e questo può comportare un aumento delle intimidazioni. Questo discorso si può allargare alle parole d’odio che corrono sulla rete, ecco perché noi come Articolo21 alcuni anni fa, insieme ad altre associazioni, abbiamo lanciato al Carta di Assisi per un linguaggio che non contenga le parole dell’odio, che sono alla base dei problemi che viviamo ogni giorno”.
Sei un giornalista che da diversi anni vive sotto scorta. Ci vuoi raccontare com’è, questa condizione?
“In questo momento ho in corso 49 processi per minacce e aggressioni, verbali e fisiche, e sono nell’ottavo anno di vita sotto scorta. Questo è un Paese strano in cui si dice che la scorta è un privilegio: ma sono le autorità che ti assegnano la tutela, proprio in ragione della gravità delle minacce che si subisce il giornalista, l’imprenditore o il sacerdote. Vivere sotto scorta è una sorta di prigione per difendere la propria tua libertà: si perde la quotidianità. Ma perdendo una parte della mia libertà fisica ho tutelato una libertà più importante, quella contenuta nell’articolo 21 della Costituzione, e la di fare il mio dovere. Io sognavo di fare il giornalista e lo continuo a fare nonostante la paura che vivo ogni giorno”.
Quest’anno il Premio Nobel per la Pace è stato conferito a due giornalisti, Maria Ressa e Dmtrij Muratov. Che messaggio trasmette, questo riconoscimento?
“E’ un segnale straordinario che fa comprendere ai cittadini quanto il ruolo del giornalisti sia fondamentale per la società. Ho accolto con grande entusiasmo questo importante riconoscimento, perché penso sia fatto per tutelare la libertà di ognuno di noi. Ricordiamoci che un giornalista che perde la possibilità di scrivere è sia una voce che si spegne che un pizzico di libertà di ognuno di noi che viene meno”.
Cosa diresti a un giovane che vuole diventare un giornalista?
“Gli dire di crederci, di provarci, di non arrendersi alle prime difficoltà e di perseguire questa missione sapendo che avrà una grande responsabilità e la possibilità di incidere sulla nostra società. Il giornalismo fatto bene può aiutare a risolvere le cose che non vanno”.