Una luce per illuminare il buio comunicativo di chi ha una sordità associata ad altre patologie o di chi, pur essendo udente, presenta problemi comunicativi, e garantirgli l’accessibilità non solo alle tante cose che nella nostra quotidianità diamo per scontate, ma anche nei contesti più delicati come i tribunali e le carceri. E’ la missione della Fondazione “La Casa delle Luci”, attiva da cinque anni, dove si accompagnano le persone sorde, ma non solo, con gravi disabilità comunicative a raggiungere il maggior grado possibile di autonomia nella propria vita, importante anche per quelle situazioni in cui verrà a mancare l’aiuto, l’assistenza, il supporto della famiglia. Se l’autonomia è il fine, il mezzo è la comunicazione multimodale, metodologia che utilizza l’oralità, la scrittura, i simboli e la lingua dei segni italiana (LIS). Interris.it ha intervistato il direttore Davide Bernardi, interprete LIS e formatore, in occasione della Giornata internazionale delle lingue dei segni.
Nella “Casa”
“Ho iniziato a studiare la lingua dei segni nel 1995 per poter comunicare con una sorella adottiva il cui quadro clinico comprendeva anche la sordità”, racconta spiegando com’è iniziato il percorso di vita e professionale che l’ha portato fin qui. “Sono stato assistente alla comunicazione nella scuola, seguivo i bambini sordi e quelli con problemi comunicativi, poi sono diventato interprete nel 2009 e da lì mi sono dedicato a garantire l’accessibilità a queste persone andando a lavorare anche nei tribunali e nelle carceri”. Nelle strutture della Casa fondata a Roma da due genitori, Andrea ed Emanuela Silvestri, con una sede ad Albano Laziale e una a Milano, oggi Bernardi vede incontrarsi educatori, operatori – “alcuni di essi sono persone sorde, rappresentano un modello di vita per i più giovani che possono identificarsi con qualcuno che ha vissuto cose simili alle loro e ce l’ha fatta”, aggiunge – e ragazzi e adulti con disabilità comunicative gravi, profili misti che includono pluridisabilità associate così come ragazzi udenti con difficoltà a esprimersi. A Roma la Fondazione segue un gruppo di giovani e adulti, a Milano dopo un anno di attività ci sono 17 unità tra gruppo dei più piccoli e uno dei “grandi”, dall’adolescenza fino ai 21 anni. Lo scopo è di garantire a queste persone e alle loro famiglie il diritto a una vita dignitosa e a conquistare autonomia, anche in vista del momento in cui resteranno prive del sostegno dei loro parenti. Di solito ci si immagina l’autonomia come la capacità di fare certe cose da soli, per esempio vestirsi, mentre “noi ci impegniamo per dargli la possibilità di comunicare quello che sentono e che vivono, di poter chiedere quello che vogliono loro, come tutti gli altri”, chiarisce Bernardi. “I nostri ragazzi emanano una luce e noi cerchiamo di vederla, di rispettare i loro tempi e dargli modo di esprimersi, così che possano farlo anche a casa e un domani quando andranno a vivere con un gruppo di amici, senza adeguarsi ai parametri con cui la società tende a ‘definire’ la disabilità”, spiega così la filosofia del progetto. Un passepartout per provare ad aprire le loro differenti porte, spiega ancora il direttore, è la comunicazione multimodale. “E’ un approccio logopedico multiplo sperimentato in prima persona dalla nostra presidente Luisa Gibellini, storica logopedista e pioniera del bilinguismo in Italia, che integra la parola scritta, i simboli e la LIS. Ha trovato una soluzione per dei ragazzi che altrimenti non avrebbero modo di sviluppare una comunicazione soddisfacente”.
Un percorso a tappe colorate
Il nuovo arrivato è bianco, chi invece è pronto al distacco da casa è blu. Il percorso verso l’autonomia qui non è a tappe forzate, bensì colorate. “Le persone che arrivano, ancora in famiglia, e cominciano il progetto educativo sono ‘bianchi’, poi gli viene assegnato un colore in base alle competenze e alle potenzialità residue, a salire fino al blu”, illustra Bernardi. “E’ un percorso che si fa in tre: noi, la famiglia e la persona, non un utente ma il protagonista di questo processo”. Tra le iniziative ci sono i “laboratori LISguistici”, dove gli operatori svolgono attività linguistiche, artistiche, di drammatizzazione e di racconto utilizzando anche la LIS, i “Giorni diversi”, dei fine settimana lunghi che vanno dal venerdì alla domenica nella sede di Albano, “dove decidono in autonomia cosa mangiare, cosa comprare, e imparano a gestire una casa, sempre con l’assistenza degli educatori”, dice il direttore, e “Soggiorni diversi”, esperienze fuori casa più lunghe, tra cui ad esempio una settimana in una fattoria sociale a Orvieto, su cui poi i gruppi si confrontano. Per il secondo anno consecutivo hanno partecipato anche alla campagna di solidarietà Progetto Nave Italia della Fondazione Tender To Nave Italia ETS. Cinque giorni di navigazione a bordo del brigantino più grande del mondo in attività, fianco a fianco con l’equipaggio di marinai militari. La prima traversata, lo scorso anno, era stata da Milazzo a Gaeta, la seconda da Cagliari a Olbia. “Tra tutti loro c’è stata vera alchimia e i nostri ci hanno dimostrato di sapere accettare le sfide e vincerle”, sottolinea Bernardi.
L’Italia e la LIS
“La lingua dei segni è una lingua spontanea, con la sua grammatica, la sua sintassi, le sue regole, al pari delle lingue parlate, ma il nostro Paese è stato l’ultimo in Europa, due anni fa, a riconoscerla”, conclude il direttore de “La Casa delle Luci”, “qualcosa sta cambiando, in alcune scuole viene insegnata, per esempio in Puglia, ma c’è ancora molto da fare”.