Benedetto XVI: sarà il tempo a confermare la sua fama di santità

Non si va in paradiso con l’alta velocità” ha affermato il cardinale Walter Kasper in un’intervista al quotidiano Repubblica (l’8 gennaio 2023) rispondendo alla domanda del giornalista sulla plausibilità di una canonizzazione lampo del papa tedesco. “Non sono d’accordo con questo”, ha risposto il cardinale. “Il diritto canonico dice che si devono aspettare almeno cinque anni dalla morte prima di aprire un tale processo e questa è un’indicazione molto prudente e saggia. Non si va in cielo col treno ad alta velocità”. Così ha affermato il cardinale tedesco, teologo di fama mondiale, molto legato a papa Francesco e considerato esponente di punta del pensiero progressista. Il diritto canonico parla chiaramente e, salvo clamorose eccezioni, la Chiesa è solita attendere con prudenza che le commissioni incaricate dei processi portino a termine gli studi e che la Congregazione per le Cause dei Santi confermi e sancisca la santità dei candidati. Secondo la normativa vigente, “Per iniziare una Causa occorre che passino almeno 5 anni dalla morte del candidato. Ciò per consentire maggior equilibrio ed obiettività nella valutazione del caso e per far decantare le emozioni del momento. Tra la gente deve essere chiara la convinzione circa la sua santità (fama sanctitas) e circa l’efficacia della sua intercessione presso il Signore (fama signorum)”. A suscitare la questione di un possibile iter abbreviato per papa Benedetto XVI è stato un cartello esposto (disattendendo le disposizioni del Vaticano ripetute al microfono che vietavano bandiere e striscioni) durante i funerali del pontefice emerito con la scritta “Santo Subito”.

8 aprile 2005: “Santo Subito”

Il ricordo va immancabilmente all’8 aprile del 2005, giorno in cui centinaia di migliaia di fedeli accorsero a San Pietro per assistere alla messa esequiale di papa Giovanni Paolo II. In quella occasione il grido “Santo Subito!” si elevò come un coro unanime diventando in poco tempo uno slogan che da quel giorno entrò a far parte del lessico comune italiano per indicare una persona la cui bontà e benevolenza è evidente a tutti. Dopo i funerali di Giovanni Paolo II e l’elezione di Joseph Ratzinger, il nuovo papa concesse una speciale dispensa aprendo il processo di beatificazione ad un anno dalla morte del suo predecessore, dando così credito, avendo effettuato le opportune valutazioni, alla volontà espressa dal popolo dei fedeli. Così ha precisato a riguardo la Congregazione per le cause in una nota del 14 gennaio 2011: “Com’è noto, la Causa, per Dispensa Pontificia, iniziò prima che fossero trascorsi i cinque anni dalla morte del Servo di Dio, richiesti dalla Normativa vigente. Tale provvedimento fu sollecitato dall’imponente fama di santità, goduta dal Papa Giovanni Paolo II in vita, in morte e dopo morteVox populi, vox Dei, affermavano i latini. E la Chiesa, lungo la sua storia, ha assunto e applicato questa regola non scritta di accogliere l’acclamazione popolare come un indizio della divina volontà. L’acclamazione popolare fu infatti il modo in cui Ambrosio fu eletto vescovo di Milano prima ancora che fosse ordinato sacerdote e il modo in cui molti uomini e donne furono “spinti” verso gli altari subito dopo la loro morte, come ad esempio sant’Antonio da Padova e san Pietro da Verona, entrambi canonizzati a meno di un anno dalla morte. Anche per madre Teresa di Calcutta una speciale deroga di papa Giovanni Paolo II permise di aprire il processo di canonizzazione a soli due anni dalla morte. Tuttavia è necessario sempre riflettere e valutare caso per caso, considerando la situazione particolare, il momento storico e la vicenda particolare del fedele defunto per capire se ci siano i presupposti per una accelerazione dell’iter abituale stabilito dal diritto in nome di quella che è una delle condizioni necessarie per avviare il processo, ossia la fama di santità in mezzo al popolo di Dio. È infatti risaputo che la fama di santità è la conditio sine qua non per avviare la procedura canonica della causa di beatificazione e canonizzazione. Come ricorda la stessa Congregazione per la Causa dei Santi: “La Causa di beatificazione e canonizzazione riguarda un fedele cattolico che in vita, in morte e dopo morte ha goduto fama di santità o di martirio o di offerta della vita. Per l’inizio di una Causa di beatificazione è quindi sempre necessaria la ‘fama di santità’ della persona, ovvero l’opinione comune della gente secondo cui la sua vita è stata integra, ricca di virtù cristiane. Questa fama deve durare e può ingrandirsi. Quelli che hanno conosciuto la persona parlano dell’esemplarità della sua vita, della sua influenza positiva, della sua fecondità apostolica, della sua morte edificante”.

Il “caso” straordinario di Karol Wojtyla

Qui è necessario rilevare alcune divergenze tra il caso di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI anche per non cadere in un automatismo, o consuetudine, per cui ad ogni morte del Pontefice si proponga – quasi fosse dovuto – una rapida canonizzazione. Una critica che è stata presentata da molti al di fuori della Chiesa. Chi scrive è certo – di quella certezza che offre la fede, capace di suggerire nel cuore dei fedeli la bellezza, la bontà e la verità che provengono da Dio – della santità dell’uomo Joseph Ratzinger. Tuttavia le circostanze particolari non permettono di identificare il suo caso con quello di papa Wojtyla. Innanzitutto il papa polacco (primo straniero dopo quattro secoli) governò la Chiesa per ben 27 anni; lo fece con autorità e carisma e con grande capacità di governo, un pontificato lunghissimo che segnò la vita di una generazione di fedeli, che influì in maniera determinante su alcuni eventi politici e che lasciò un’enorme eredità magisteriale (centinaia di documenti tra cui ben 14 encicliche); Wojtyla ha dominato la scena internazionale per un trentennio, viaggiando per tutto il globo, percorrendo circa 1.200.000 Km (31 volte il giro del mondo, tre volte la distanza tra la Terra e la Luna) (qui per una sintesi delle statistiche del pontificato). Prima l’attentato in piazza San Pietro e poi la lunga malattia aprirono una breccia nel cuore dei fedeli di tutto il mondo che, soprattutto negli ultimi anni, si strinsero affettivamente attorno alla sua figura. Un affetto che contagiò anche il cuore di persone fuori dalla Chiesa. Papa Wojtyla era “Il papa”, una leggenda vivente la cui morte (benché annunciata) fu uno shock per il mondo intero che si ritrovò improvvisamente senza un punto di riferimento spirituale. “Santo subito” fu dunque un moto spontaneo di affetto e devozione che non poteva non levarsi da quella piazza in lacrime. “Santo Subito” fu l’ultimo bacio di gratitudine lasciato dai fedeli al loro pastore.

Joseph Ratzinger, il più stretto collaboratore di Wojtyla, raccolse la richiesta del popolo assieme alla pesante eredità del suo “amato predecessore”. Il suo percorso teologico lo portò ad essere universalmente riconosciuto come il più grande e influente teologo del secolo (anche a causa del ruolo ricoperto: prima come perito conciliare, poi come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e infine come Sommo Pontefice). Molti, anche tra i cardinali, considerano il papa tedesco destinato ad aggiungersi alla lista dei Dottori della Chiesa. Come ha affermato recentemente il cardinale Gerhard Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2012 al 2017 in una recente intervista rilasciata a Il Timone: “Per me papa Benedetto è quasi un sant’Agostino redivivo, a prescindere da un eventuale processo di canonizzazione è già di fatto Dottore della Chiesa”. Per quanto riguarda la sua santità di vita, subito dopo la sua morte sono emerse testimonianze di vescovi, cardinali, professori e amici che lo hanno conosciuto da vicino: tutti sono unanimi nel sottolineare le qualità umane e le virtù cristiane di Joseph Ratzinger: la sua umiltà, la sua mitezza, la sua empatia, il suo totale servizio alla Chiesa e – soprattutto – il suo amore a Dio, la sua preoccupazione per il mondo che lo sta dimenticando e per una Chiesa che rischia di dimenticarlo per diventare sempre più “umana”.

Benedetto XVI: motivi di prudenza

Tuttavia la particolarissima vicenda del pontificato di Benedetto XVI, interrotto bruscamente con la sua rinuncia annunciata l’11 febbraio 2013, fa si che si renda necessario rispettare i tempi previsti prima dell’apertura ufficiale del processo di beatificazione. In primis, come abbiamo già affermato, per fugare ogni sospetto di un automatismo autocelebrativo per cui la Chiesa incorona col più grande onore, quello della santità, ogni suo Pontefice quasi in modo automatico (in pochi anni sono stati canonizzati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II nel 2014, e beatificato Giovanni Paolo I, nel 2022). Questo sarebbe un motivo di prudenza, non dettato dalla volontà di inchinarsi al mondo e di cedere alla critiche dei detrattori della Chiesa ma dalla volontà di preservare la serietà e l’accuratezza del processo di un pontefice incompreso e osteggiato e criticato da gran parte del mondo laico; non solo perché accusato di copertura sul tema di abusi sessuali (accusa inconcepibile visto che fu lui ad iniziare l’opera di trasparenza e “tolleranza zero” contro questo crimine) ma anche contro il suo pensiero; basti pensare al triste episodio in cui, a causa delle smodate proteste, Benedetto XVI dovette rinunciare alla visita all’Università La Sapienza di Roma o agli attacchi ricevuti dopo la Lectio di Ratisbona per aver parlato (in maniera indiretta) della violenza nell’Islam.

Db Milano 03/06/2012 – VII Incontro Mondiale delle Famiglie / foto Daniele Buffa/Image
nella foto: Papa Benedetto XVI

Se il primo motivo di prudenza guarda verso l’esterno, un secondo motivo riguarda la situazione interna della Chiesa. Dopo la rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di papa Francesco, molti hanno visto i due papi come antagonisti schierandosi per l’uno o per l’altro. Tutto questo nonostante i diretti interessati abbiano mostrato di mantenere buoni rapporti, nutrendo reciproco rispetto e affetto. Tuttavia sia dall’una che dall’altra parte non sono mancate le polemiche e le tensioni. Alcuni membri del clero e giornalisti hanno accusato il papa Emerito di intromissione per aver continuato a ricevere visite e – soprattutto – per i suoi (di per sé pochissimi) interventi pubblici, come ad esempio i famosi “Appunti” sul celibato durante il meeting sugli abusi sessuali nella Chiesa o il libro pubblicato assieme al card. Robert Sarah. Dopo la morte di Benedetto alcune dichiarazioni dei suoi più stretti collaboratori hanno contribuito ad aumentare la tensione. In questo contesto non è immaginabile considerare un iter abbreviato per l’apertura della causa di canonizzazione senza provocare ulteriori strappi e senza che la questione diventi causa di fazioni tra correnti opposte.

È per questo che nel caso di Benedetto XVI sarà il tempo a confermare la sua fama di santità, a far emergere con chiarezza l’importanza della sua produzione teologica nella ricerca della verità, il suo servizio alla Chiesa vissuto in grado eroico come pastore e maestro e come intercessore nei suoi anni di silenzio nel monastero Mater Ecclesiae.

Raccogliere la sfida: il posto di Dio nel mondo

Sarà dunque nostro compito mantenere vivo il ricordo di Benedetto XVI, non solo attraverso la devozione e la preghiera personale e comunitaria, ma anche con l’accoglienza attiva del suo messaggio, attraverso l’approfondimento e la meditazione dei suoi scritti teologici, liturgici, pastorali e omiletici, così come dei suoi discorsi al mondo della cultura e della politica, affinché non restino lettera morta per ascoltatori distratti e smemorati. Assumere le proposte che papa Benedetto ci ha lasciato è un nostro compito, ma anche un onore, se si vuole raccogliere la sfida di far presente Dio una società che lo ha volutamente dimenticato, per contrastare il vicolo cieco del relativismo dogmatico contro cui Benedetto XVI ha più volte messo in guardia, invitando anche chi non crede a vivere veluti si Deus daretur, “come se Dio esistesse” – si creda o no in Lui –. Una scommessa coraggiosa che l’allora cardinale Ratzinger lanciò a tutti coloro che non credono nel suo magistrale discorso pronunciato a Subiaco nel 2005, poco prima della sua elezione al Soglio di Pietro. Una proposta capace di trasformare il mondo e di rovesciare il progetto illuminista di una fratellanza umana vissuta “facendo completamente a meno di Dio”. A noi cristiani credenti il compito di incarnare quella “minoranza creativa” che (come ha affermato Ratzinger in un discorso sull’Europa pronunciato a Berlino nel 2000 e a Roma nel 2004) può contribuire a cambiare il destino della società occidentale affinché “riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità”. Quel piccolo resto fedele che Ratzinger profetizzò nel 1969 rispondendo a una domanda sul futuro della Chiesa: “[La Chiesa] Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica. [Gli uomini] Scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto”.

È questa la sfida principale per alla quale siamo chiamati: far presente Dio nella società, tra gli uomini che lo cerca senza saperlo. “Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. (…) Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”. (Conferenza tenuta la sera di venerdì 1° aprile 2005 a Subiaco, al Monastero di Santa Scolastica)

Miguel Cuartero Samperi: