Ecco come è cambiata l’emigrazione “made in Italy”. Il caso Belgio

Belgio

Il caso degli immigrati italiani in Belgio è esemplare. Dimostra, infatti, la necessità di una politica migratoria basata sulle pari opportunità e sul dialogo interculturale. Oltre a raccomandare una maggiore attenzione alle collettività italiane all’estero. In particolare agli italiani che ancora non hanno acquisito la cittadinanza del Paese in cui lavorano e risiedono. La stessa storia dell’emigrazione ricordato Gianluca Lodetti del Patronato Inas va valorizzata. Per coltivare le prospettive d’impegno futuro. Anche e soprattutto in senso geopolitico.

“Integrazione diffusa” in Belgio

L’emigrazione italiana in Belgio costituisce un esempio di “integrazione diffusa”. E’ dedicata ai nostri emigrati in Belgio, l’ultima ricerca curata da Franco Pittau. Per conto del Centro Studi Idos e della rivista “Dialoghi mediterranei”. Finalizzata a riflettere sugli italiani all’estero. Il Belgio è un Paese di 12 milioni di abitanti. Negli ultimi due decenni vi si sono trasferiti circa 50 mila italiani. Un flusso in proporzione paragonabile a quelli emigrati in Germania. In tutto, gli italiani in Belgio sono oggi più di 270 mila. Senza contare i belga-italiani, sempre più numerosi. In parte risiedono ancora nelle zone minerarie. Ma in misura consistente hanno scelto Bruxelles. Sede di strutture comunitarie. E di importanti realtà sociali. Imprenditoriali. Sindacali. E religiose.

Livello d’inserimento

Le analisi del fenomeno concordano sul buon livello d’inserimento e integrazione di questi e degli altri italiani. Che, nel corso della storia di emigrazione del nostro Paese, hanno scelto il Belgio come destinazione. E che qui sono riusciti a superare la fase dell’emarginazione lavorativa e molti altri ostacoli. Questa “integrazione diffusa” si esprime anche con alcuni casi eclatanti. Uno su tutti Elio Di Rupo. Figlio di emigranti abruzzesi, è stato primo ministro dal 2011 al 2014 e leader del Partito socialista belga. Un’affermazione “italiana” a così alto livello non trova riscontro in nessun altro Paese europeo.

Accordo di emigrazione “assistita”

Nel Dopoguerra il Belgio è stato il primo sbocco dei flussi migratori in partenza dall’Italia. E all’epoca l’inizio non sembrava promettente. I belgi avevano bisogno di braccia. E l’Italia aveva bisogno di carbone. Così, nel 1946 fu stipulato tra i due Stati il primo accordo di emigrazione “assistita”. Termine enfatico rispetto al trattamento riservato a chi partiva. Tutto fu “nero”. Il carbone che si estraeva. Le sistemazioni iniziali nelle baracche degli ex campi di prigionia. Il trattamento sindacale. L’ emarginazione linguistica e sociale. Nel 1956 si verificò il gravissimo incidente minerario a Marcinelle con 262 morti. Dei quali più della metà italiani. Da quella data l’Italia pose gradualmente termine all’emigrazione collettiva. Mentre il Belgio iniziò, prima sporadicamente e quindi più decisamente, a ripensare la sua politica migratoria.

Nuova fase

Fu lentamente superata l’ostilità che il Belgio aveva riservato agli emigranti italiani. Anche per via della loro provenienza da un Paese ex alleato e cobelligerante dei nazisti invasori. Prese avvio una nuova fase in cui cominciò ad essere riconosciuto il contributo positivo fornito dagli italiani all’industria carbonifera belga. E, successivamente, anche ad altri settori produttivi ed economici. Fino al loro protagonismo nella piccola e media impresa. All’inizio negli anni ’60, politici e opinione pubblica belgi si predisposero a un atteggiamento più inclusivo. Il Belgio si trovava ad affrontare complesse problematiche interne. Avendo a che fare con tre regioni autonome. Due comunità linguistiche e ben tre lingue nazionali. Ma ciò non impedì di farsi carico anche delle attese dei lavoratori immigrati. Considerati ormai parte integrante della società.

Politiche d’inclusione

Ciò avvenne mentre in Europa prevaleva ancora una bassa considerazione dell’immigrazione. Come un fenomeno meramente temporaneo e non strutturale. Anticipando di molti decenni le politiche d’inclusione di altri Paesi europei. Le aperture belghe furono poi rinforzate in un processo d’integrazione continentale. La Comunità economica europea fu costituita nel 1957 con la firma del Trattato di Roma. E consentì di dare inizio nel 1968 alla libera circolazione dei lavoratori. Mentre un regolamento del 1972 attuò il coordinamento delle leggi nazionali per la loro tutela previdenziale. Innovazioni straordinarie. Ancora oggi all’avanguardia in tutto il mondo.

Opportunità

L’atteggiamento più aperto nei confronti dei lavoratori immigrati portò a facilitare anche il processo di acquisizione della cittadinanza. Tra il 1985 e il 2000 furono 68.000 i casi di acquisizione di cittadinanza belga per gli italiani. E quindi ad allargare anche il diritto di voto. Le seconde generazioni si sono avvalse pienamente di queste opportunità. E, senza più sentirsi in difficoltà per la diversità della loro origine, si sono fatte protagoniste di un inserimento lavorativo sempre più egualitario. Non più solo minatori. Ma anche lavoratori qualificati. Impiegati. Imprenditori. Professionisti. E funzionari comunitari.

Prima collettività straniera

Secondo fonti italiane, sino al 1970 si sono recate in Belgio più di 250.000 persone. Si tratta di un numero, per diverse ragioni, da ritenere sottostimato. La punta più alta si è raggiunta nel 1958 con ben 46.000 espatri in un solo anno. Numeri che sono diminuiti successivamente. Ma che hanno portato gli italiani ad essere la prima collettività straniera in Belgio sino alla fine del secolo. Attualmente sono al terzo posto. È comprensibile chiedersi cosa ci si possa aspettare da questo investimento in capitale umano. Agli italiani, attualmente residenti in Belgio, si aggiunge un flusso continuo di intellettuali. Esperti. Professionisti. Manager. Giornalisti. Lobbisti. Stagisti. Studenti. Operatori sociali. Lo stesso Franco Pittau, curatore rapporto, proprio a Bruxelles iniziò il suo impegno da studioso di emigrazione.

Giacomo Galeazzi: