Baskin: la palla a spicchi capace di includere

Il sano rammarico sportivo di aver visto sfumare all’ultima partita la vittoria del campionato fa capire quanto nel baskin, la pallacanestro inclusiva nata per far giocare insieme persone con disabilità e non, lo slancio agonistico è vissuto profondamente tanto quanto quello solidaristico. La Lupo Baskin di Pesaro infatti, che sperava di bissare la conquista del titolo come nella stagione precedente, nelle Finali Nazionali a Isola Vicentina si è piazzata seconda dietro il quintetto di Cremona.

Uno sport giovane e poco conosciuto, al di là degli “addetti ai lavori”, cioè le società sportive e le famiglie dei giocatori, che svolge però un grande compito e trasmette un messaggio importante: insegna a tutti i giocatori in campo a conoscere sé stessi, i propri limiti e le proprie capacità, in una dimensione in cui ci si prende cura dei propri compagni. E lo stesso regolamento del baskin è stato redatto all’insegna dell’inclusione responsabilizzante, infatti, prevede ruoli e spazi adatti alle caratteristiche di ciascun giocatore. “Formiamo grande famiglia, in cui circola una grande solidarietà. commovente e stupenda, che veicola valori importanti”, dice a Interris.it il fondatore e presidente di Lupo Baskin Pesaro Fabio Filippucci, “anche se il baskin resta uno sport poco conosciuto e per il quale ancora non si fa molto”.

Dalle scuole al campionato

A Pesaro l’avventura del baskin vive da un circa un decennio. Nel 2006, con la firma della società lombarda Associazione Baskin Onlus e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca del Protocollo d’intesa per la diffusione di questa attività nelle scuole italiane, questo sport inclusivo comincia a entrare negli istituti italiani e nel capoluogo di provincia marchigiano si pratica all’alberghiero e all’istituto agrario, grazie alla buona volontà dei professori di sostegno e di educazione fisica. Undici anni fa uno di questi, che curava il minibasket alla società sportiva Lupo, propose al presidente di dare vita a una squadra di baskin. Se gli inizi sono a ranghi ridotti data la poca diffusione di questo sport, col tempo i numeri, quindi la conoscenza e l’interesse, aumentano e i risultati positivi sul parquet non tardano ad arrivare. “All’inizio abbiamo avuto 5-10 ragazzi da queste due scuole, oggi siamo a oltre 40 tesseramenti e lo scorso anno abbiamo vinto le Finali Nazionali”, racconta Filippucci. “Da due anni siamo tra le prime tre squadre di baskin d’Italia, siamo stati riconosciuti dall’Ente italiano sport inclusivi e siamo associati al Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) e a quello Paralimpico”, prosegue, delineando quello che sembra un quadro privo di ombre. Invece qualche angolo meno illuminato c’è: “Per questo sport non si fa molto, per fortuna il Comune di Pesaro ci dà gratuitamente la palestra. Sugli spalti ci sono i parenti e gli amici dei giocatori, siamo una bella comunità molto solidale, ma mancano gli altri tifosi e non abbiamo degli sponsor”. Tutto si regge sulle spalle di un collettivo che ha un bagaglio di valori importante.

 

L’inclusione

“A questo sport può giocare chiunque, sia i normodotati che i diversamente abili, dai 14 anni fino in tarda età. Il valore principale è l’inclusione”, spiega a Interris.it  Andrea Deangelis, responsabile tecnico, allenatore del settore baskin della Società Lupo Basket Pesaro e organizzatore del torneo Lupo Baskin. “Metà circa dei nostri tesserati ha una qualche forma di disabilità” – continua – “non c’è però nessun pietismo, questo sport ha determinate regole per i disabili ma quello che i nostri giocatori imparano e maturano poi lo portano con sé nella loro vita quotidiana”.

Come si gioca

L’inclusione delle persone con disabilità è a 360 gradi, spiega Deangelis illustrando il regolamento. I campo sono schierati cinque giocatori con cinque ruoli. Il ruolo cinque è assegnato a quei giocatori normodotati che hanno una conoscenza delle basi della pallacanestro, il ruolo quattro può essere ricoperto sia da normodotati che da persone con disabilità che non conoscono tutti i fondamentali di questo sport, mentre il ruolo tre spetta  a quei ragazzi con disabilità che possono comunque correre, anche se sono hanno limitazioni all’uso del corpo del gioco. Infine, i ruoli due e uno, detti pivot, sono tendenzialmente persone in sedia a rotelle o che comunque non possono correre, e giocano in due semiaree laterali poste a metà campo dove si trovano due canestri aggiuntivi, a diverse altezze. Compito dei loro compagni è portargli la palla e all’occorrenza aiutarli nel tiro a canestro.

 

Sul campo come nella vita

Deangelis ripercorre con Interris.it questi undici anni da allenatore di baskin, un’esperienza che lo ha arricchito sia sotto il profilo sportivo che sotto quello umano. “Ho iniziato nel 2011 con un gruppo di ragazzi che aveva tra i 14 e 17 anni e lo ‘zoccolo duro’ ancora qui con me, a 25-28 anni. In questi anni ho visto giovani senza disabilità sviluppare un tale grado di maturità che alla fine non vedevano più le disabilità altrui come tali”, racconta l’allenatore, “mentre negli occhi dei ragazzi con disabilità ho visto che si sentivano accettati e uguali agli altri. Sono tutte cose che poi si portano si con sé nella vita”. Deangelis racconta come l’impegno e la determinazione sono stati molle positive per cercare di superare i propri limiti, ove possibile. “Agli esordi avevamo un ragazzo autistico non facile da tenere in campo, poi è talmente migliorato nell’attenzione e nell’impegno che è passato da pivot a ruolo tre. I ragazzi con disabilità vedono in questo sport una sfida: non vogliono il pietismo, vedono nell’agonismo un motivo per alzarsi la mattina”.

Lorenzo Cipolla: