#Barcollomanonmollo: la quarantena di un bimbo che ce la sta mettendo tutta

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La quarantena obbligata legata alla pandemia da coronavirus è un disagio per tutti e giorno dopo giorno comincia a diventare sempre più pesante. Il tempo in casa scorre lentamente, bisogna ripensare le proprie giornate soprattutto quando in casa ci sono dei bambini da intrattenere e se uno di quei bambini ha delle disabilità come si fa?

Interris.it ha incontrato Domenico Caruso, il presidente dell’Associazione “Più Unici che Rari” onlus, un’associazione nazionale che nasce nel 2015 con lo scopo di promuovere la ricerca scientifica e ogni iniziativa volta a migliorare la conoscenza, la diagnosi e l’individuazione delle terapie idonee al trattamento ed alla cura della sindrome di Alexander. Un tema a cuore del Santo Padre che in più occasioni ha abbracciato questi bambini per donare loro una carezza. Domenico, però, oltre a presiedere quest’associazione è anche e soprattutto il papà di Nicolò, un bambino di sei anni affetto da questa maledetta malattia neuro-degenerativa. Domenico ha raccontato alla redazione l’esperienza della sua famiglia nell’affrontare questo periodo con le dovute limitazioni.

La sindrome di Alexander è una malattia non facile da affrontare, soprattutto in un periodo come questo, in cui tutti i centri medici sono chiusi. Quanto pesa questa quarantena per i bambini affetti da questa patologia?
“Pesa in modo eguale per tutti i bambini affetti da disabilità e non solo per quelli con sindrome di Alexander. Nicolò gioca con la sorellina, guarda la tv, fa le sue merende, sorride, è dolcissimo e ama le coccole ma gli manca la quotidianità. Quella manca a tutta la famiglia, manca la possibilità di andare a scuola, manca il sostegno dei medici, le terapie, la possibilità per i nostri figli di avere contatti e di essere coccolati dagli altri bambini. Non è facile – racconta Domenico -, ma non è neanche impossibile, bisogna giocare di fantasia. Apprezzare un piccolo sorriso e godere anche di brevi ma intensi momenti di gioia, perché i bambini con questa malattia facilmente si stancano”.

Di cosa avrebbero bisogno in questo momento che invece non possono avere?
“I bambini con la sindrome di Alexander avrebbero bisogno di tanto, delle loro cure mediche, dei loro fisioterapisti, delle loro maestre e dei loro amici. Però noi – continua Caruso – pur non avendo accettato alcuna tipologia di aiuto per prudenza e scelta personale, ci riteniamo una famiglia molto fortunata perché tutti i medici e paramedici si sono offerti sin da subito di poterci venire incontro con delle visite singole in ospedale oppure con delle visite a domicilio. Siamo stati noi, che appunto, abbiamo deciso liberamente di evitare di avere ogni tipologia di contatto con l’esterno per proteggere Nicolò. Purtroppo, lui avendo già delle patologie, risulta un soggetto a rischio, un po’ come lo possono essere le persone anziane”.

L’associazione sindrome “Più unici che rari” ogni anno in occasione del Natale e della Pasqua raccoglie sempre bei fondi per varie attività: quali sono le principali e qual è il vostro prossimo obiettivo?
“I nostri fondi normalmente vanno sempre per la ricerca ma in questo momento di grande emergenza per il nostro Paese, l’Associazione Italiana Sindrome di Alexander – Più Unici che rari Onlus, ha sentito il dovere di sostenere in maniera concreta chi sta lottando sul campo. Così in data 26 marzo 2020 – aggiunge – il Consiglio direttivo ha deliberato la donazione di 15.000€ a sostegno della lotta contro il Coronavirus a favore dei seguenti presidi ospedalieri:

5.000€ a favore dell’Ospedale dell’Immacolata di Sapri

5.000€ a favore dell’ospedale Papa XXIII di Bergamo

5.000€ a favore dell’Ospedale San Matteo di Pavia

Un atto dovuto in questo momento di difficoltà per l’intero Paese a favore di territori che da sempre sostengono la nostra causa. Si tratta di un piccolo contributo ma fatto con il cuore da parte di chi, come noi, non ha mai perso la speranza di vincere contro la malattia.

Cosa vi lascerà questo Coronavirus?
“Ci sarebbero tante cose da dire, principalmente mi viene da dire che ricorderemo l’impossibilità di vivere la nostra vita e di poter progettare il futuro in libertà ma allo stesso tempo ci insegna anche ad amare ancora di più la vita. Troppo spesso – conclude – ci lamentiamo del superfluo, non si capisce l’importanza di un singolo momento, sia esso anche un semplice abbraccio o un’uscita in pizzeria. Ecco, immaginate che per noi il pranzo al ristorante, andare al parco giochi, sono già cose fuori dal comune fatte con grande sacrificio. Quindi quello che gli altri tanto reclamano a noi manca spesso perché già tante cose non possiamo farle, per questo, infondo, non è cambiato tantissimo. Vorrei solo che, a volte, le persone capissero questo, per lamentarsi meno”

Rossella Avella: