Bangladesh, microcredito in pericolo. Il caso Yunus

Sinodo

Foto di Martijn Vonk su Unsplash

Microcredito a rischio. Il popolare premio Nobel della pace Muhammad Yunus denuncia una “presa di controllo con la forza” delle sue aziende, poche settimane dopo la sua condanna in un processo che è stato definito politico. “Alcune persone venute da fuori hanno preso il controllo degli edifici con la forza. Tentano di accaparrarsi la direzione di aziende in virtù delle proprie regole. Abbiamo grossi problemi. E’ un vero disastro”, ha dichiarato ai media Yunus, soprannominato “il banchiere dei poveri“. Dopo che questi non meglio identificati “individui esterni” hanno fatto irruzione nel palazzo dove hanno sede le sue società. E, dopo aver preso il controllo degli uffici, i dipendenti si sono visti negare l’accesso. Inoltre gli agenti di polizia si sono rifiutati di registrare la denuncia, assicurando che “non c’è alcun problema” nell’occupazione dei locali delle aziende. Fonti presenti in loco hanno segnalato la presenza di sostenitori del partito al potere, la Lega Awami, che avrebbero negato l’accesso ai lavoratori. Oltre ad aver annunciato l’arrivo di nuovi direttori e vertici di diverse aziende.

Foto di Ehteshamul Haque Adit su Unsplash

Indigenza

L’83enne Yunus, la cui banca pioniera nel microcredito ha salvato dalla povertà milioni di persone, è in rotta con il primo ministro, Sheikh Hasina, che lo ha accusato di “succhiare il sangue” dei poveri. In realtà nel 1976 Yunus decise di mettere la scienza economica al servizio della lotta alla povertà, inventando il microcredito. Fondò la Grameen Bank, prima banca al mondo ad effettuare prestiti ai più poveri tra i poveri, non basandosi sulla solvibilità, ma sulla fiducia. Scrive l’economista nella sua autobiografia: “La mia esperienza in seno a Grameen mi ha infuso una fede incrollabile nella creatività umana. Ciò mi ha portato a pensare che l’uomo non sia nato per patire le miserie della fame e dell’indigenza. Se oggi soffre, e ha sofferto in passato, è perché noi distogliamo gli occhi dal problema. Ho maturato la certezza, solida e profonda, che, se davvero lo vogliamo, possiamo realizzare un mondo senza povertà. Questa mia convinzione non discende da un pio desiderio, ma dalle prove concrete che ho raccolto nell’esperienza di lavoro con la Banca Grameen“.

Foto: UNHCR/Andrew McConnell

Popolarità

La popolarità dell’economista, premio Nobel per la pace nel 2006, lo rende da anni un potenziale rivale dello storico primo ministro. Un braccio di ferro politico che ha avuto delle ripercussioni sul piano legale. Il mese scorso Yunus e tre dirigenti di una delle sue aziende, la Grameen Telecom, sono stati condannati a sei mesi per violazione del diritto del lavoro. E per non aver istituito un fondo di previdenza, facendo scattare le critiche dei difensori dei diritti umani. I quattro imputati, che hanno presentato ricorso e restano liberi su cauzione, respingono queste accuse. Yunus deve inoltre affrontare più di un centinaio di altre accuse relative a presunte violazioni del diritto del lavoro e accuse di corruzione. Lo scorso agosto, 160 personalità internazionali, tra cui l’ex presidente americano Barack Obama e l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, hanno pubblicato una lettera aperta congiunta in cui denunciavano le “continue molestie legali”. Di cui è vittima il pioniere del microcredito. I firmatari, tra cui più di un centinaio di premi Nobel, hanno affermato di temere per “la sua sicurezza e la sua libertà“. I critici accusano i tribunali del Bangladesh di approvare le decisioni del governo di Hasina, che è diventato sempre più assertivo nella repressione dell’opposizione politica. Hasina ha iniziato il suo quinto mandato a gennaio, dopo le elezioni boicottate dall’opposizione, diventando il premier più longevo.

Foto: UNHCR/Kamrul Hasan

Sos microcredito

Dario Paladini racconta per la diocesi di Milano la storia di un docente di economia del Bangladesh che, sconvolto dal vedere le condizione di miseria in cui vivono molti suoi connazionali, decide di tornare studente. Analizza i meccanismi della miseria in un piccolo villaggio e scopre che la povertà si può combattere con un misero prestito di 27 dollari. “Muhammad Yunus non voleva diventare un banchiere- spiega Paladini-. Prima di dar vita alla Grameen Bank era un brillante docente di economia all’Università di Chittagong, principale porto del Bangladesh. Nato in quella stessa città nel 1940 da un padre orafo e da una madre casalinga, era riuscito, grazie allo sforzo dei suoi genitori, a laurearsi, a studiare in America. E a diventare uno dei docenti dell’Università di Chittagong più rispettati. Una vita di successo, che però cambia nel 1974. Quando il Bangladesh è investito da una terribile carestia che uccide milioni di poveri contadini“. Anche Chittagong è invasa da migliaia di contadini che fuggono dalle campagne nella speranza di trovare in città qualcosa da mangiare. “Anche volendo – ha scritto Yunus nella sua autobiografia – era impossibile non vedere gli affamati. Erano ovunque, distesi a terra silenziosi e tranquilli. Non protestavano, non chiedevano, non condannavano noi che mangiavamo buon cibo nelle nostre case. Mentre essi giacevano quieti presso le nostre soglie”.

Foto © AcF

Emergenza economica

Il brillante docente di economia entra in crisi di fronte a questo spettacolo di sofferenza e morte. “Provavo sempre una sorta di ebbrezza quando spiegavo ai miei studenti che le teorie economiche erano in grado di fornire risposte a problemi economici di ogni tipo. Ero rapito dalla bellezza e dall’eleganza di quelle teorie. Ora cominciavo ad avvertire un senso di vuoto. A cosa servivano tutte quelle belle teorie se la gente moriva di fame sotto i portici e lungo i marciapiedi?”, si chiese. “Nella vita di Yunus avviene una vera e propria svolta. Decide di impegnarsi a studiare l’economia di un villaggio di contadini– ricostruisce Dario Paladini-. Vuole capire perché queste persone che lavorano tutto il giorno non riescono a guadagnare a sufficienza per sopravvivere. ‘Decisi quindi che sarei tornato a fare lo studente’. La sua nuova aula fu Jobra, un villaggio non molto distante dall’Università, nel quale molte donne riuscivano a stento a guadagnarsi pochi centesimi al giorno fabbricando piccoli mobili in bambù“. Scoprì che queste donne erano costrette a comprare il bambù dallo stesso commerciante che poi avrebbe rivenduto i mobiletti. Il margine di guadagno era misero. Pochi centesimi di dollaro. “Si trattava innegabilmente di una forma di schiavitù. Il mercante le pagava solo poco più del prezzo del costo del materiale giusto per non farle morire di fame”, osservò Yunus. Quello che mancava a queste donne era un piccolo capitale iniziale per poter comprare il bambù. E poter poi così rivendere il prodotto non allo stesso commerciante che gli forniva la materia prima, ma direttamente sul mercato ricavando un margine di profitto maggiore.

Lavoro nei campi in Bangladesh. Foto di Md. Mehedi Hasan su Unsplash

Carenza d’aiuto

Nel villaggio di Jobra c’erano 42 famiglie che vivevano in questa condizione. Sommando tutte le piccole cifre di cui avrebbero avuto bisogno queste famiglie, Yunus scoprì che il totale era di soli 27 dollari. “Non è possibile, esclamai. Quarantadue famiglie ridotte alla fame e tutto per una cifra di ventisette dollari!”, rievoca l’economista. Le conclusioni che egli trasse dall’analisi furono la consapevolezza che la povertà non fosse dovuta all’ignoranza o alla pigrizia delle persone, bensì dalle carenze d’aiuto da parte delle strutture finanziare del paese. “All’inizio Yunus si rivolse anche al tradizionale sistema bancario- sottolinea Paladini-. Andava nelle banche ed esponeva il problema: è possibile prestare una piccola cifra alle famiglie povere perché possano avviare un’attività economica che produca loro reddito sufficiente per sopravvivere? Le risposte erano sempre le stesse. La banca concede prestiti se il cliente può offrire garanzie. Inoltre, la concessione di un prestito ha dei costi per la banca e nel caso di cifre di pochi dollari sarebbero state più le spese di istruzione della pratica del prestito stesso”.

 

Giacomo Galeazzi: