Ha avuto tanti volti la crisi portata dal coronavirus. Un impatto devastante sull’economia globale, sulle famiglie, sul lavoro. Acuite crisi già esistenti, create di nuove, aperti squarci sull’apparente linearità della vita quotidiana, mostrando falle sostanziali in tanti aspetti della società. Ma c’è un dato particolarmente significativo. Il Covid ha fatto breccia in difficoltà preesistenti, seminando criticità laddove sussistevano già situazioni al limite. Niente di strano che, in qualche contesto, le crisi siano esplose, provocando l’inasprimento di veri e propri drammi sociali. Il lavoro minorile è solo uno di questi. E sorprende che, secondo quanto rilevato da un’indagine di Terre des Hommes Germania, a fare i conti con tale piaga, per quanto inaccettabile nel terzo decennio del Duemila, non siano solo i bambini del sud del mondo.
Bambini, non numeri
I numeri parlano piuttosto chiaramente: se prima della crisi erano 386 milioni i bambini che vivevano in condizioni di povertà estrema, con le scorie dell’emergenza coronavirus si rischia di aggiungerne altri 66 milioni. E questo in un quadro che, come spiega l’organizzazione, non permette di fornire dettagli statistici su quanti minori saranno costretti a mettersi al lavoro dopo il lockdown. Per ora si sa quanti lo hanno fatto prima: 152 milioni in tutto il mondo, 73 dei quali nelle forme peggiori (fra le quali anche la schiavitù e il lavoro illegale). Fa riflettere il dato che inquadra il 48% dei poveri a livello mondiale nei giovani di età inferiore ai 18 anni, nonostante costituiscano appena un terzo della popolazione mondiale.
Monitoraggio costante
Il punto, ancora una volta, resta la prevenzione. Come spiegato dal direttore generale di Terre des Hommes, Paolo Ferrara, “per milioni di bambini la crisi causata dal Covid-19 ha il volto della fame, dello sfruttamento e della fine di ogni speranza di opportunità educative. E’ fondamentale che i governi nazionali e la comunità internazionale diano priorità ai bisogni dei bambini delle fasce di popolazione più svantaggiate nei loro programmi di aiuto per la pandemia di Covid-19″. Il che, naturalmente, prevede un piano integrato di tutela che vada a coinvolgere ogni aspetto della vita del minore, da quello familiare a quello scolastico. Su quest’ultimo aspetto, resta fondamentale monitorare il reinserimento dei ragazzi figli di famiglie in difficoltà per fare in modo che la loro condizione non li spinga a lasciare la scuola (considerando anche che fra i ragazzi in maggiore difficoltà, sono addirittura 263 milioni coloro che hanno lasciato il percorso scolastico o che non lo hanno nemmeno iniziato).
Senza tutele
Va da sé che al fine di garantire la tutela dei minori, i governi siano chiamati a un monitoraggio maggiore nei settori del lavoro informale, dove maggiormente si delinea l’emergenza. Senza dimenticare che, dietro i freddi numeri, navigano storie di vita (anche se molto giovane) e di famiglie che, in troppi casi, non riescono a fornire ai propri figli quelle tutele che la loro età dovrebbe vedersi garantite. Terre des Hommes queste storie le conosce e affida alla loro voce la panoramica reale sul dramma vissuto dai minori di tutto il mondo costretti a fare i conti con il lavoro minorile. Shackman è uno di loro, anche se un bambino non lo è più. A 18 anni, nel suo Zimbabwe, vede “molti bambini, anche molto piccoli, che vendono qualcosa per strada ora: verdure, alcune cipolle. Portano piccoli cestini in testa e offrono i loro beni Devono stare molto attenti, perché la polizia insegue tutti per strada, compresi i bambini”. Minori che, racconta, “non hanno nessun posto dove andare, la scuola non può aiutare”.
Storie drammatiche
Anche Tim viene dallo Zimbabwe. Lui di anni ne ha 17, e ha dato a TdH la sua testimonianza sul blocco vissuto nel Paese africano: “Non mi dispiace essere a casa in sé. Ma ciò che mi spaventa è che mia nonna non mangia quasi più. Stiamo finendo il cibo e i soldi… Come posso sperare in un futuro migliore quando nemmeno il prossimo pasto è sicuro? Devo andare a prendere l’acqua ogni giorno, ci vogliono quasi sei ore”. Una vita senza internet, senza telefono, senza la possibilità di acquistare un libro. Come Ravi, 12enne indiano, che è addirittura un operaio edile. Anche durante il blocco. Non avrebbe potuto farlo. E le loro storie non sono altro che uno spaccato sul dramma vissuto da milioni di ragazzi nel mondo. Un quadro desolante che l’emergenza coronavirus rischia di aggravare in modo sensibile. Scongiurare il pericolo, come sempre, è una possibilità nelle nostre mani.