In Italia ci sono 25 bambini dai 0 ai 3 anni che vivono la detenzione con le proprie madri in carcere. Nel 2011 con la legge 62 sono stati introdotti gli l’I.C.A.M. (Istituti a Custodia Attenuata), gestiti dallo stato e le case famiglia protette, patrocinate invece da enti privati. Purtroppo però, non tutti i bambini stanno beneficiando di questa
legge. Noi di Interris.it ne abbiamo parlato con Giovanna Longo, Presidente di A
Roma, Insieme-Leda Colombini ODV, associazione costituita nel 1991 per volere di
Leda Colombini, donna forte che per prima ha avuto il coraggio di varcare il carcere
di Rebibbia per promuovere attività di svago con i bambini delle detenute.
Giovanna, chi sono questi bambini in carcere?
“Sono delle creature senza colpa che vivono dietro le sbarre del penitenziario
femminile. Agli occhi della società si tratta di un numero molto esiguo, ma per noi
sono troppi e per loro dobbiamo lottare. Ad oggi i bambini reclusi a Rebibbia sono
due neonati ed è davvero agghiacciante pensare che i primi fotogrammi che
riusciranno a vedere saranno le sbarre, mentre i primi suoni saranno il rumore delle
chiavi tra le mani delle guardie carcerarie”.
Che differenza c’è tra gli I.C.A.M e le case famiglia protette?
“In Italia gli I.C.A.M. sono quello di San Vittore a Milano, della Giudecca a Venezia,
di Lauro in provincia di Avellino, di Torino e di Cagliari. Il personale carcerario non è
in divisa, ma questo non basta per far vivere i bambini in un ambiente adeguato alle
loro esigenze. Loro hanno bisogno di camminare all’aria aperta, di respirare la libertà
e di instaurare un rapporto forte con le madri che a loro volta devono sentirsi
responsabilizzate. La loro attuale condizione detentiva infatti, essendo mediata dalle
molte figure professionali che lavorano all’interno di questi istituti, impedisce una
relazione genitoriale. Per questo noi chiediamo l’apertura di altre case famiglia che
andrebbero a sommarsi alle due ad oggi presenti a Roma e a Milano.”
Come vivono i bambini nelle case famiglia?
“In un contesto più simile alla normale quotidianità. Qui le misure restrittive e le
regole della detenzione si applicano solo alle donne e, qualora il magistrato lo ritenga
opportuno, le madri possono uscire per accompagnare i figli a scuola e al parco. La
donna gestisce il suo tempo e i suoi spazi con il figlio ed inizia un percorso di
reinserimento nella società. Il bambino a sua volta ha la possibilità di relazionarsi con
persone esterne e vivono con più serenità la detenzione della madre”.
Giovanna ha parlato di I.C.A.M. e di case famiglia protette, ma perché ci sono
ancora bambini in carcere?
“Le motivazioni possono essere molte, come la pena lunga della madre o
semplicemente perché non ci sono abbastanza case famiglia per poterli accogliere. La
legge Siani, approvata in parlamento durante la scorsa legislazione chiede che
“nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”, che è anche il motto della nostraassociazione. Mancava solo il via libera definitivo dal Senato, ma lo scorso 8 marzo
Fratelli D’Italia ha chiesto delle modifiche al testo, rallentando l’iter”.
Che cambiamento viene richiesto?
“Fratelli d’Italia vorrebbe modificare due passaggi sulla condizione penale delle
madri. Era già previsto che per reati di ‘eccezionale rilevanza’ la custodia fosse
assegnata agli I.C.A.M. anziché alle case famiglia protette. FdI ora chiede che a
incidere sulla valutazione dei giudici siano anche le situazioni di recidiva. Se le
modifiche vengono accettate, si potrebbe sospendere o revocare del tutto la
responsabilità genitoriale, cioè separare i figli dalle madri detenute. Questo
abolirebbe il principio su cui si fonda la legge in vigore, la 62/2011 cioè quello di
tutela e valorizzazione del rapporto tra genitori detenuti e figli molto piccoli”.