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Bambini e coronavirus: le 10 risposte dell’esperto alle paure delle mamme

L'intervista al dott. Andrea Campana, primario del reparto di Pediatria Multispecialistica del Bambin Gesù, sui reali rischi per la salute di neonati, bambini e ragazzi in caso di infezione

Ha fatto scalpore la notizia di un neonato deceduto recentemente in Illinois (Usa) forse a causa del coronavirus. Non si hanno notizie certe sullo stato di salute del piccolo prima dell’infezione o se avesse già altre patologie: le autorità sanitarie locali hanno avviato delle indagini che porteranno a delle risposte nei prossimi giorni. Indipendentemente da ciò, la morte di un neonato in tempi di pandemia spaventa non solo per la tragicità del fatto in sé, ma perché apre a nuovi timori: anche i bambini rischiano di ammalarsi e morire di covid-19 come purtroppo sta accadendo agli adulti? Per fare chiarezza e per bloccare sul nascere inutili allarmismi, In Terris ha intervistato un esperto, il dott. Andrea Campana, primario del reparto di Pediatria Multispecialistica del Bambin Gesù, sede di Palidoro, e attualmente responsabile dei reparti adibiti ai bambini positivi al covid-19.

Dottor Campana, come è stato riorganizzato il Bambin Gesù in seguito alla pandemia di coronavirus?
“L’ospedale si è riorganizzato per tempo, agli inizi di marzo, studiando i dati delle altre province del Nord, già duramente colpite, quali Bergamo e Brescia. E’ stata adibita ai casi covid-19 (positivi e sospetti) la sede di Palidoro perché facilmente raggiungibile. L’obiettivo è quello di salvaguardare i tanti pazienti fragili che abbiamo qui e nelle altre tre sedi. Per far questo, abbiamo riorganizzato due reparti per i casi “covid”: quelli di pediatria multispecialistica e multidisciplinare, reparti già predisposti ad intervenire in caso di emergenze. Abbiamo trasformato le camere doppie in stanze singole: un reparto covid-19 da otto posti letto a fronte dei 17 presenti prima, al fine di assicurare una sistemazione adeguata sia al bambino, sia al genitore che lo assiste; e, al piano superiore, un reparto con 11 posti letto per i bambini sospetti, in attesa della risposta del tampone faringeo e – in certi casi – di ulteriori analisi. Per fortuna, in genere i bambini sospetti non hanno tamponi positivi, vale a dire che non hanno il coronavirus ma altre patologie, come l’influenza stagionale”.

Quanti casi di minori trattate?
“Noi seguiamo i bambini fino a 18 anni, in alcuni casi di gravi disabilità anche molto oltre la maggiore età per dare continuità assistenziale. Ad oggi abbiamo avuto in totale 10 casi di covid-19 tra i minori. Nelle ultime ore, abbiamo visitato nove bambini: 3 bimbi sotto l’anno di età (il più piccolo ha 10 mesi), 1 sotto i 6 anni, due fra i 7 e i 14 anni e tre tra i 14 anni e 17 anni. Di questi, 6 sono stati ricoverati e tre dimessi. Un bimbo di 2 anni è stato ricoverato stanotte, portando il totale a 7. Sono molto diversi tra loro nell’espressione della malattia: nessuno comunque è grave”.

E’ vero che i bambini hanno meno possibilità degli adulti di contagiarsi?
“Non lo sappiamo con certezza, perché non sappiamo il numero esatto di bambini e adulti asintomatici presenti in Italia. Però è certamente vero che i bambini manifestano sintomi molto più lievi rispetto agli adulti. Molti, hanno poco più di un raffreddore o di una leggera febbre e non vengono conteggiati. Infatti, tutti i bimbi che noi seguiamo hanno fatto il tampone (e dunque sono stati scoperti) perché avevano avuto contatti con degli adulti positivi. Solo i due ragazzi ricoverati più grandi hanno avuto una sintomatologia respiratoria che ha permesso una diagnosi sulla base dei sintomi di partenza. Tutti gli altri, erano sostanzialmente asintomatici”.

Perché i bambini sono meno sintomatici degli adulti e contraggono forme più lievi del virus?
“Nei prossimi mesi avremo risposte scientifiche più accurate, con l’avanzare degli studi clinici. Alla base, c’è sicuramente l’immunità innata del bambino che è particolarmente sviluppata perché molto stimolata dalle molte infezioni dei primi anni di vita. Ma ciò che preserva il bambino è l’assenza di comorbilità – la coesistenza di più patologie diverse – e l’assenza di comportamenti che possono facilitare le infezioni virali, comportamenti sbagliati (quali il fumo, il sovrappeso, l’alcool etc) che gli adulti spesso hanno. Il fumo, in particolare, determina un abbattimento dei meccanismi di difesa delle vie respiratorie.

I bambini asmatici sono maggiormente a rischio degli altri?
“No. Abbiamo avuto tanti bambini ricoverati tra i sospetti positivi, me nessuno lo era davvero. Dei dieci che abbiamo ricoverato, nessuno aveva l’asma o è attualmente a rischio di complicazioni. Fortunatamente, siamo ben lontani dalle notizie drammatiche che sentiamo in televisione che riguardano per lo più anziani con patologie pregresse”.

I bambini possono essere contagiosi anche quando sono asintomatici?
“Sicuramente sì ed è giusto evidenziare questa possibilità non tanto per loro ma per proteggere gli anziani che sono molto più esposti al virus. Però l’evidenza al momento è che sono gli adulti ad infettare i bambini e non viceversa. Per esempio, i bambini che abbiamo in cura hanno tutti almeno un genitore positivo spesso perché fa un lavoro a rischio contagio (il medico, l’infermiere, l’operatore di comunità…) e che ha trasmesso il virus ai minori. In due casi, addirittura, abbiamo ricoverato il figlio positivo con la madre negativa che è restata in stanza col minore e, alla dimissione per guarigione del piccolo, la madre è risultata ancora negativa; questo ci fa capire che la trasmissione da bambino ad adulto è poco frequente”.

Esistono dei “falsi negativi” nei tamponi dei bambini?
“Sì esistono. Ma il tampone si accompagna ad una sintomatologia che è la cosa più importante. Se la sintomatologia è fortemente suggestiva ma il tampone è negativo, noi trattiamo il paziente come se fosse positivo. Il tampone potrebbe positivizzarsi in un secondo momento: sono la presenza o meno dei sintomi a fare la differenza”.

Come curate i bambini che hanno contratto il coronavirus?
“Prima di tutto: tranquillizziamo i genitori che sono generalmente terrorizzati. Per i bambini che presentano un quadro polmonare (la netta minoranza per fortuna) si tratta di fare una terapia antibatterica se c’è una polmonite dimostrata; l’antivirale se necessario; si usano gli antinfiammatori, somministrazione di fluido e gli antipiretici in caso di febbre alta. Non si è mai arrivati all’uso degli antiretrovirali (che si usano con gli adulti) perché non ci sono mai stati casi così gravi. La sintomatologia nei bambini, lo ripetiamo, è generalmente molto lieve. Gli antibiotici vengono usati solo per combattere la sintomatologia associata, quale una sovrainfezione batterica”.

In quali casi è necessario il ricovero?
“Abbiamo all’esterno una tenda pre-triage della Protezione Civile con un medico ed una infermiera che, all’arrivo, valutano lo stato di salute del bambino. Questo per evitare delle commistioni con altri bambini che arrivano in ospedale per altre problematiche e che sono particolarmente fragili. Nel pre-triage vanno solo bimbi con febbre, problemi respiratori, o sintomi influenzali. Lì, il piccolo viene valutato: se sta bene, viene fatto solo il tampone e viene rimandato al proprio domicilio con le indicazioni per l’isolamento fiduciario domiciliare dove verrà osservato dai genitori su indicazione dei medici. Il bambino che arriva con una sintomatologia che richiede prudenzialmente il ricovero – febbre persistente, forte disidratazione, quadro respiratorio che richiede una radiografia al torace – lo teniamo ricoverato e lo monitoriamo costantemente in attesa della risposta del tampone. Se è positivo, lo trasferiamo dal reparto sospetti a quello covid-19 dove resterà fino alla negativizzazione dei tamponi e la guarigione”.

Una volta guariti – con l’ultimo tampone negativo – i bambini possono tornare alla loro vita normale?
“Sì, restrizioni da quarantena permettendo, possono tornare ad avere una vita sociale normale”.

E’ possibile una ricaduta?
“Al momento non abbiamo evidenze in questo senso. Anzi; l’infezione contratta sembrerebbe essere immunizzante. Lo sapremo tra qualche settimana basandoci sui dati dei casi italiani. Abbiamo più casi positivi della Cina stessa: la nostra esperienza aiuterà certamente la comprensione della malattia nel resto del mondo”.

E’ deceduto un neonato in Illinois nei giorni scorsi. C’è da preoccuparsi?
“Decisamente no. Nel caso specifico, ci sono troppe varianti per commentare l’episodio, pur drammatico. In generale, il virus non porta maggiori complicazioni al neonato che è un essere super protetto rispetto all’adulto. Inoltre, non c’è trasmissione verticale (ereditaria e congenita) e non c’è neppure trasmissione attraverso il latte materno. E’ solo importante dire alle mamme che allattano di usare i dispositivi di protezione per evitare una possibile trasmissione per contatto. Però, ad oggi, né il neonato né il bambino più grande corre rischi maggiori rispetto all’adulto se si prende il coronavirus; vale invece il discorso inverso: per l’adulto l’infezione può portare anche a conseguenze gravi, specie se correlato all’età avanzata e ad altre patologie importanti”.

Qual è la percentuale di mortalità da coronavirus nei bambini?
“Zero. Non abbiamo tassi di mortalità di bambini in età pediatrica”.

Come è cambiato il vostro lavoro con l’emergenza?
“E’ cambiato drammaticamente su due fronti: il primo è che cerchiamo di limitare l’accesso nelle stanze. Il secondo è che abbiamo una equipe dedicata: pochi medici selezionati per pochi pazienti. E’ molto diverso dall’attività consueta del Bambin Gesù dove ricoveravamo tantissimi bambini e avevamo una relazione diretta con loro. Questa lontananza anche fisica per un pediatra è un po’ avvilente perché la visita prima era fatta di empatia, contatto fisico, gioco…attraverso i quali facciamo sorridere il bambino ricoverato. Adesso, tutto questo è quasi azzerato perché abbiamo dei dispositivi di protezione che ci permettono di comunicare solo con gli occhi e la voce. E attraverso i genitori. In questo periodo io devo occuparmi dell’organizzazione straordinaria ma spero di poter tornare a fare il pediatra il prima possibile, perché è un lavoro bellissimo”.

Molti ospedali lamentano una carenza d’organico…
“Qui no, l’organizzazione della dirigenza è stata ottima. C’è stato un potenziamento di organico per poter dedicare una parte dell’ospedale solo ai pazienti covid-19. Sono il primario di un gruppo di giovani fantastici, pediatri preparati ad intervenire in qualsiasi evenienza che collaborano con degli specialisti di settore quali infettivologi e broncopneumologi. Sono molto dispiaciuto per quello che stanno vivendo i miei colleghi del Centro Nord che stanno veramente facendo dei gesti eroici, rischiando anche la propria salute. Inoltre, io sono bresciano perciò ho comunque timore per la salute dei miei cari che vivono a Brescia”.

Come vive un medico una pandemia?
“E’ una esperienza molto particolare. Vivere una pandemia nella vita di un medico è una cosa rarissima. Impariamo dai nostri errori di percezione quando tutto stava iniziando, impariamo a modificare i nostri comportamenti quotidiani, ma soprattutto quest’emergenza globale ci insegna ad essere super solidali tra di noi. In questo, abbiamo una grande guida: Papa Francesco. L’immagine del Pontefice che prega da solo per l’umanità in Piazza san Pietro è qualcosa che tocca corde profonde a tutti noi e che ci ricorda quali siano i valori importanti della nostra professione e delle nostra vita”.

Un messaggio finale ai genitori e, nello specifico, alle mamme in super apprensione (come la scrivente)?
“Sì: genitori, state tranquilli! Avete già tante angosce per quel che riguarda la salute dei parenti e dei genitori anziani; almeno per i bambini potete stare tranquilli anche se fate dei lavori che vi mettono a rischio di conatagio. Noi ci siamo. Il Bambin Gesù ha istituito una serie di call center che permettono di dare risposte senza muoversi da casa. Nel portale internet dell’ospedale ci sono anche le “pillole” redatte dall’Istituto del bambino e dell’adolescente che danno buoni consigli a genitori e figli. L’unica raccomandazione che mi sento di dare ai genitori è questa: se vostro figlio non sta bene e presenta sintomi, non tardate a portare il bambino dal pediatra per paura del coronavirus, altrimenti rischiate di fare dei danni maggiori”.

Il dott. Andrea Campana

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