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Bambini che nessuno vuole: l’intervista a Marco Griffini

L'intervista di Interris.it a Marco Griffini, presidente Ai. Bi., sul dramma dei bambini adottabili che non trovano una famiglia

Nel mondo ci sono dei bambini adottabili che non trovano una famiglia. Eppure la legge 184/1983 stabilisce che tutti i minori hanno il diritto di crescere e di essere educati in un ambiente familiare. Si tratta di un problema che Marco Griffini, Presidente dell’Ai.Bi Amici dei Bambini, conosce molto bene e che definisce come un fenomeno culturale che permea indistintamente l’adozione nazionale e internazionale. Interris.it lo ha intervistato.

Presidente, chi sono questi bambini?

“Io li definisco ‘bambini abbandonati’ perché nonostante siano dichiarati adottabili nessuno li vuole. Molti di loro sono bambini con problemi di salute, a volte anche handicap gravi, oppure semplicemente ragazzini che hanno superato i dodici anni e la maggior parte delle famiglie preferisce adottare bambini più piccoli. Io li considero ‘abbandonati’ perché c’è qualcuno che decide per loro e che li priva ad avere una famiglia”.

L’abbandono è dunque un’emergenza?

“E’ una vera e propria piaga sociale, come lo è la denutrizione e la guerra, ma non viene considerata tale perché di abbandono non si muore. La legge 149 del 2001 prevede una banca dati contenente il numero esatto di questi bambini, ma ad oggi non è così. Nel 2009 l’Onu ha redatto un rapporto in cui emerge che se dovessimo dare una famiglia ai soli bambini dell’Africa i cui genitori sono morti di Aids ci sarebbe bisogno di dodici milioni di coppie di genitori”.

Cosa accade una volta compiuti i 18 anni?

“Questi ragazzi escono dalle strutture in cui hanno vissuto fino a quel giorno e si ritrovano senza un punto di riferimento e senza una casa. La maggior parte di loro non ce la fa ed inizia a delinquere o nel caso delle ragazze cadono nella diabolica trappola della prostituzione. Abbiamo condotto tre ricerche, rispettivamente in Russia, in Brasile e in Marocco e i dati emersi sono drammatici. Nei primi due casi l’80% e nel terzo il 90% questi ragazzi non riescono ad inserirsi nella società e alcuni di loro arrivano a compiere gesti estremi come il suicidio”.

Di chi è la colpa?

“Le rispondo con un altra domanda. Di chi è figlio il ragazzo abbandonato? É figlio nostro e della società che ha creato una categoria ‘bambini abbandonati’, come fossero degli oggetti di un inventario. L’adozione è un percorso tortuoso perché il sistema lo ha reso tale. Abbiamo bisogno di avere delle liste con dei numeri precisi e allo stesso tempo bisogna accompagnare le coppie adottive ad aprire il proprio cuore a questi ‘esclusi’ perché tutti i bambini sono degni di essere figli. Invece, nel 2023, nell’era digitale, in un’epoca in cui ci riempie la bocca parlando di ‘inclusione’ si preferisce lasciare i bambini dove sono”.

Cosa state facendo voi di Ai.BI.?

“Vogliamo arrivare ad ottenere il riconoscimento dello status giuridico del minore fuori famiglia e il diritto al risarcimento per il danno che questo minore ha subito rimanendo in una struttura fino ai diciotto anni. Inoltre, stiamo lottando perché la legge riconosca e preveda un avvocato del minore in quanto ad oggi il minore è l’unico soggetto a non avere diritto ad essere difeso da un legale”.

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