Secondo le ultime statistiche disponibili, le persone senza fissa dimora nella città di Milano sono oltre 2.600. Tra le associazioni e realtà del Terzo Settore che si occupano della loro salvaguardia e tutela, dal 1998, opera Ronda della Carità e Solidarietà.
Le azioni di Ronda della Carità
Ronda della Carità e della Solidarietà agisce per aiutare e difendere le persone senza fissa dimora attraverso due azioni distinte ma complementari. La prima è l’azione di supporto svolta attraverso le unità mobili di supporto le quali, attraverso una pregnante opera di ascolto correlata alla distribuzione di vestiario e pasti caldi, soddisfano le necessità emergenziali e primarie di coloro che non hanno una casa. Oltra a ciò, per coloro che hanno superato questa fase più difficile, attraverso un centro diurno, l’associazione agisce per attuare un percorso di reinserimento sociale e lavorativo delle stesse. Interris.it, in merito a questa esperienza di inclusione e riscatto attuata nel centro diurno “Punto Ronda”, ha intervistato Magda Baietta, Presidente e fondatrice del gruppo la quale, dal 1992, si occupa di soccorso e aiuto alle persone in difficoltà e Davide Pisu, educatore professionale nonché coordinatore del centro diurno, impegnato in prima persona nei servizi educativi su strada.
L’intervista
Come nasce il centro diurno “Punto Ronda”? Quali obiettivi si pone?
“Il nostro centro diurno è nato otto anni fa. Un nostro benefattore ci ha dato in comodato d’uso uno spazio molto bello e ampio a Lambrate, vicino a Casoretto. Dopo aver aperto questo centro diurno ci siamo fatti delle domande, ossia quale tipo di centro volessimo aprire. Noi, essendo nati e provenendo da un’esperienza di unità mobile e quindi sempre in prima linea sulla strada, al momento l’idea era quella di aprire una struttura tipo drop in, nella quale le persone potessero entrare. Però, ragionandoci, in base alla conformazione del luogo, che è ubicato in un cortile interno nelle vicinanze di alcuni palazzi, fare un centro diurno aperto a tutti sarebbe diventato un problema. In più, confrontandoci sul territorio, ci siamo resi conto che non c’era la necessità di un drop in, ma si riscontrava di più il bisogno di prendere in carico le persone e fare compiere loro un percorso all’uscita dalla grave emarginazione. L’obiettivo è quello di rimettere le stesse nel mondo reale della vita, essere dei cittadini attivi e, di conseguenza, dare loro delle vere possibilità. La costituzione del centro diurno è stata una cosa ragionata, con un piccolo numero di persone ma seguite in un certo modo. Venticinque è il numero massimo di persone ospitate, ma con un presidio molto alto. In genere ci sono venti posti e venticinque in pieno inverno perché, solitamente, davamo la disponibilità di cinque posti al comune di Milano, nell’ambito del piano freddo, per accogliere queste persone durante il giorno. Coloro che vengono ospitati qui, hanno già fatto la prima parte di accoglienza. Noi, come unità mobile, li abbiamo incontrati per strada, mandati al centro diurno, siamo riusciti a fare dare loro una residenza e farli prendere in carico da un’assistente sociale. In seguito, sarà poi lo stesso assistente sociale o i servizi che lo seguono, a decidere se, la persona in questione, è adatta o meno al nostro centro diurno, in quanto dipende dalla gravità della situazione e dalla disponibilità di capacità residue da poter mettere in gioco. Abbiamo puntato molto su questo, piccoli numeri ma seguiti in un certo modo”.
Quali sono le attività che svolgete all’interno del vostro centro diurno? Qual è la filosofia che ne sta alla base?
“Al centro diurno lavoriamo su una progettazione individualizzata per ogni persona. L’idea dello stesso è di fare un primo mese di accoglienza in cui conosciamo la persona e cerchiamo di inquadrare, oltre alle fragilità sociali e di altro tipo, le potenzialità. Pertanto, la nostra idea è di lavorare sul potenziamento delle capacità della persona, agendo per ognuna su tutte le possibilità di uscita. Se valutiamo, ad esempio, che la stessa deve essere prima potenziata nelle soft skills, ossia le capacità sociali, lavoriamo sia all’interno del gruppo che in maniera individualizzata. Il gruppo è composto da due educatori, un’assistente sociale e una psicologa che segue alcuni casi. Quindi, in una prima parte, operiamo sulla dimensione delle competenze di base, la capacità di rispettare un orario, presentarsi puliti e lavarsi le proprie cose. Dopodiché, quando la persona comunque è entrata in una fase di relazione con gli educatori, i volontari e gli altri ospiti, iniziamo invece un potenziamento delle parti professionalizzanti. Identifichiamo le competenze precedenti della persona, cioè che cosa ha fatto nella vita. Iniziamo anche a ragionare sulle possibilità di collocamenti lavorativi in base a ciò che ha fatto e, al massimo, ci occupiamo di trovare sul territorio una risorsa formativa o lavorativa sulla quale la stessa si possa rimettere in gioco. L’idea è appunto quella di conoscere la persona e fare un percorso insieme alla stessa, all’equipe e ai servizi, con i quali lavoriamo molto in rete. Ad esempio, coloro che vengono qui, sono stati valutati da un servizio che già li conosceva, come un centro d’ascolto, un servizio sociale o una unità mobile, che ha visto delle potenzialità nella persona. Ciò che noi chiediamo, nel nostro centro diurno, è che la persona sia pronta a rimettersi in gioco. Non abbiamo un percorso standard, su alcuni lavoriamo su una parte formativa, perché magari non hanno competenze spendibili, mentre su altri andiamo a rimettere in campo le potenzialità che già la persona possiede”.
Quali sono i vostri auspici per il futuro? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra azione di reinserimento sociale e lavorativo?
“Sicuramente ci sono due parti molto importanti. La prima è l’affiancamento di queste persone a dei volontari che abbiamo capacità di trasmettere competenze. Ad esempio, molte persone che giungono qui, hanno una capacità informatica pari a zero, pertanto, il fatto di avere dei volontari che siano in grado di insegnare l’utilizzo delle nuove tecnologie e dei devices in maniera funzionale è molto importante. Ci capita molto spesso di avere dei giovani ragazzi universitari che, insieme all’equipe, fanno questa trasmissione di competenze. È quindi molto importante avere delle persone che ci aiutino perché, molto spesso, questo funziona nel rapporto uno a uno. Bisogna avere una persona al fianco per alcune ore la settimana, la quale aiuta ad acquisire tali competenze. L’altro aspetto è che, la nostra associazione, ha scelto di avere un presidio educativo importante e, di conseguenza, un costo rilevante che noi sosteniamo, è quello del personale educativo che rappresenta il costo forte della nostra struttura. L’appello è quello di pensare alle persone che stanno vivendo una situazione di grave emarginazione come a qualcuno da aiutare a livello di accompagnamento sociale. Molto spesso ci arrivano le donazioni per le coperte, le quali sicuramente sono importanti, ma molto difficilmente ci arrivano delle donazioni per i percorsi educativi. Questo perché, nell’immaginario collettivo, la persona che vive in strada, ha necessità di beni materiali e non di possibilità. Ciò che cerchiamo di fare qui al centro diurno, è dare alla persona la possibilità di uscire da questa situazione e tornare ad essere un cittadino. Teniamo moltissimo al fatto di ridare dignità alla persona perché, il senzatetto, è una persona come noi, la quale purtroppo, per vari motivi, sono giunti a tale situazione. Vanno seguiti, presi per mano e accompagnati, per dare loro delle possibilità, opportunità e alternative. Dare dei beni di prima necessità, fine a sé stessi, senza un ragionamento dietro non ha senso. Lo stesso, deve essere un mezzo di relazione per poter poi fare gli altri passi. Conoscere la persona, instaurare un rapporto e andare più in là. Il sentirsi amati e accettati fa la differenza. Riconoscere la persona ed avere rispetto è fondamentale. La dignità della stessa è la cosa più importante”.