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Appello alla Azzolina: subito un patto educativo con le scuole paritarie

Scuola e ripartenza, fondamentale l'integrazione tra pubblico e privato. Con un denominatore comune: l'istruzione è un diritto di tutti

L’emergenza Covid-19 ha evidenziato la realtà di un sistema scolastico drammaticamente iniquo: 1.600.000 alunni (specialmente i più svantaggiati) non raggiunti dalla DaD; 300 mila allievi disabili isolati, con una conseguente regressione per alcuni irreversibile; diverse donne meno emancipate che hanno dovuto abbandonare il lavoro perdendo anni di pari opportunità; e il rischio di consegnare i ragazzi a Mafia e Camorra in molte aree del Centro-Sud.

Distruzione di capitale umano

L’allarme di queste ore, fra smentite e conferme, gaffes e ritrattazioni, è sempre più reale: il 14 settembre il Governo non riuscirà a far ripartire per tutti il diritto all’istruzione. Evidentemente ad essere in crisi è la stessa democrazia, poiché questo fondamentale diritto, garantito peraltro come gratuito e libero dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ripartirà solo per pochi privilegiati. All’apertura del Meeting di Rimini, di fronte al rischio reale di «una distruzione di capitale umano di proporzioni senza precedenti dagli anni del conflitto mondiale», Mario Draghi ha lanciato un appello: «Ai giovani bisogna dare di più: dopo la catastrofe della pandemia bisogna affrontare la fase difficile e disseminata di insidie della ricostruzione, che dovrà essere improntata alla flessibilità, al pragmatismo, ma anche alla trasparenza. E i giovani vanno messi al centro di ogni riflessione per rimettere in moto i loro percorsi formativi». Una proposta di buon senso che stride con il dramma in cui studenti, famiglie e docenti versano a causa di un clima di supponenza e di ideologia diffusa (figlie, a loro volta, di un baratro culturale e dell’approccio approssimativo alle questioni che regna sovrano).

Chi chiude e chi aspetta

Vani anche gli inviti del Presidente Mattarella, che invita alla collaborazione… Il diritto all’istruzione si avvia così a diventare un privilegio. Mancano gli ambienti (per il 15% di allievi non c’è la scuola), mancano i docenti (85 mila le cattedre vacanti) e molte scuole pubbliche paritarie, unici presidi di libertà in certe zone d’Italia, hanno dovuto chiudere (il sito www.noisiamoinvisibili.it ne ha censite 100). È evidente che per le classi sociali economicamente avvantaggiate il problema non sussiste: potranno pagare la baby-sitter e la homeschooling, ovvero frequentare la scuola statale raggiungendola in auto (la scarsità dei mezzi di trasporto colpisce i poveri che vivono nelle periferie); potranno permettersi la DaD godendo degli strumenti più evoluti e iscriversi alla scuola paritaria, confessionale o meno, che (con rette da 7.000 euro annui) ha combattuto la crisi. (Le scuole paritarie che hanno chiuso sono quelle che si sono indebitate per tenere rette di 2.500-3.000 euro annui nell’Infanzia, 3.500 nella Primaria e massimo 3.800 nei Licei, e che probabilmente di confessionale non avevano nulla).

Diritto da garantire

Il risultato? il povero avrà sempre meno strumenti di pensiero e, restando legato a una logica di assistenzialismo sociale, non riuscirà ad emanciparsi, mentre il ricco avrà sempre più la capacità di comprendere se stesso, gli altri e la storia, e potrà comandare. (Si badi bene, infatti: il diritto all’istruzione va garantito in quanto dà a tutti gli stessi strumenti per partecipare alla vita civica, per favorire la tolleranza, il rispetto, la pace tra i popoli. E per contribuire consapevolmente al miglioramento della società). Nel nostro Paese si profila dunque uno scenario assai cupo sul fronte scolastico, mentre nel resto d’Europa la scuola riparte grazie a un rapporto virtuoso tra pubblico e privato: perfino la laicissima Francia, infatti, trova che sia bene favorire il pluralismo educativo, tanto da ritenere normale il pagare i docenti della statale e della paritaria allo stesso modo.

Scuola e costo standard

In Italia, invece –nonostante la Ministra Azzolina abbia voluto chiarire, con una ormai celeberrima nota, che «le scuole paritarie fanno parte del Sistema Nazionale di Istruzione e non c’è pregiudizio alcuno nei loro confronti» – permane un’incongruenza evidente: se le paritarie fanno parte del medesimo sistema scolastico integrato, e quindi svolgono un servizio pubblico, perché le famiglie non sono libere di sceglierle, essendo costrette a pagare due volte (le tasse e la retta)? La logica e l’onestà intellettuale impongono alla Ministra di stipulare immediatamente patti educativi con le scuole paritarie. Essi potranno tradursi concretamente nelle seguenti opzioni: a) si sposti una classe (allievi e docenti) dalla statale alla paritaria vicina; e/o b) si destini a quel 15% di allievi delle statali che non potranno più frequentarle, una quota capitaria che abbia come tetto massimo il costo medio studente o il costo standard di sostenibilità per allievo.

Un patto educativo

È inoltre auspicabile che, nel breve periodo, di proceda con la stabilizzazione dei docenti precari che sono in classe da più di cinque anni senza la costosa e inutile procedura del concorsone e che, nel giro di due anni, si completi l’operazione introducendo i costi standard di sostenibilità per allievo (sui quali si veda lo studio elaborato con l’Istituto Bruno Leoni). Nella difficile situazione che il Paese sta attraversando, il Governo non può arrogarsi il diritto di indebitare il futuro dei figli negando loro anche gli strumenti per ripagarlo. Deve invece tener conto che i patti educativi stipulati tra scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie sono propedeutici ad un sistema scolastico integrato, equo, pluralista, di qualità.

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