Pil in ulteriore calo nel secondo trimestre ma con dati riferiti al periodo peggiore del lockdown. Un’economia ancora alle prese con l’incertezza pandemica e un quadro complessivo che parla di una situazione occupazionale altrettanto in bilico. L’estate che volge al termine presenta una condizione economica ancora alle prese con le scorie delle chiusure dei mesi scorsi e con un’ottica di restyling che passerà da investimenti in sostenibilità e digitale. A Interris.it l’analisi dell’economista Leonardo Becchetti, ordinario presso l’Università di Roma Tor Vergata.
Professor Becchetti, negli ultimi giorni l’Istat ha presentato dati importanti sull’andamento dell’economia italiana. Accanto a una revisione al ribasso del calo del Pil nel secondo trimestre, è stata però evidenziata un’inversione di tendenza sul livello occupazionale. Qual è la situazione?
“Finora abbiamo fatto meglio anche di Spagna e Francia. In realtà noi ora vediamo i dati del secondo trimestre, i peggiori perché colpiti in pieno dal lockdown, aprile, maggio e giugno. Dopo c’è stato un rimbalzo significativo ma tutto dipenderà anche dal fatto se ci sarà o meno la seconda ondata. Ora si è preoccupati per questo perché, se ci sarà, l’ultimo trimestre dell’anno – ottobre, novembre e dicembre – non sarebbe facile. Per ora le attività sono tutte riaperte, anche se alcune stanno soffrendo in modo strutturale e altre, come quelle degli eventi, non stanno ripartendo. Situazione condivisa in parte dal turismo nelle città d’arte. Quello balneare è andato bene, in alcuni posti anche meglio dello scorso anno. Quello relativo alle città d’arte, invece, non sta camminando. Dipenderà tutto da quello che porterà l’autunno. E c’è un altro aspetto…”
Ovvero?
“C’è un tema anche di ristrutturazione fra settori: chiaramente c’è stata una spinta fortissima verso il lavoro a distanza. E questo cambierà la situazione anche per il panorama delle città su un piano immobiliare. C’è una fuga dal centro e una tendenza a far ripartire le seconde case, che a questo punto diventano strategiche se si può lavorare a distanza”.
A proposito del lavoro a distanza, parliamo di una possibilità alla lunga sostenibile o c’è il rischio di un deficit nelle relazioni interpersonali?
“Il lavoro a distanza, se fatto in maniera intelligente, aumenta la produttività e la capacità di conciliare il rapporto lavoro-vita delle persone. E’ sicuramente una rivoluzione positiva. Però bisogna arrivare a regime fuori dalla pandemia, una situazione in cui una parte, magari il 30 o 40% del lavoro si fa in presenza, perché sono sempre importanti gli incontri fra le persone, e il resto a distanza. Chiaramente la produttività del lavoro a distanza dipenderà dall’accesso alla banda larga per tutti. Il problema della disuguaglianza digitale deve assolutamente essere colmato e ci vuole un investimento forte da questo punto di vista”.
Una variabile che, ora come ora, sembra decisiva…
“Ora sembra esserci un’intenzione molto forte di investire in questa direzione. Lo abbiamo visto anche con il discorso della rete unica”.
A marzo si ipotizzava uno scenario diverso dopo l’estate. L’analisi economica ha fatto i conti con una fase pandemica più incisiva di quanto ci si sarebbe aspettato qualche mese fa…
“Si temeva una seconda ondata ma la si attendeva più avanti. E’ stata una sorpresa questa recrudescenza anticipata. Quindi questo mette un punto interrogativo su quello che sarà l’autunno. Si sperava che con l’estate la capacità di frenare la pandemia sarebbe stata maggiore. Invece purtroppo è andata così solo fino a fine luglio. Magari le aggregazioni non più controllate dei ragazzi e tutto quello che abbiamo visto potrebbero aver contribuito a far ripartire i contagi”.
Con i fondi europei in ballo, Sure e Mes prima ancora del Recovery Fund, si aprono scenari di investimento nei quali rientra anche il lavoro a distanza?
“I 208 miliardi del Recovery Fund, Next generation EU devono avere tutti il taglio del green e del digitale. Quindi lo smartworking va benissimo perché darebbe un impatto positivo alla sostenibilità ambientale e, naturalmente, anche al digitale. L’importante è che l’Italia sappia presentare buoni progetti per poter accedere a questi finanziamenti. Al momento ci sono già più 500 progetti presentati e ora è il momento di una selezione, per poi presentarli a metà ottobre”.