Lucia Bevilacqua, 65 anni e il marito Salvatore Pilato 64 anni, sono stati insigniti lo scorso 20 marzo dal presidente Sergio Mattarella quali Ufficiali dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana “per il loro impegno volto ad offrire opportunità di lavoro e di inclusione sociale a persone diversamente abili”.
Lucia e Salvatore gestiscono infatti la cooperativa La Melagrana di Prosecco, in provincia di Trieste, che si occupa di fornire ai ragazzi diversamente abili competenze idonee per un inserimento nel mondo del lavoro e percorsi di formazione professionale di persone in condizione di svantaggio sociale.
L’intervista a Salvatore Pilato de La Melagrana
Quando è nata cooperativa La Melagrana e perché?
“La cooperativa è nata nel 2003 da un’idea di mia moglie. Io e Lucia siamo due fisioterapisti; abbiamo operato per diversi anni nell’azienda sanitaria locale e presso l’ospedale pediatrico di Trieste. Avevamo in cuore da tempo di aiutare i ragazzi diversamente abili a entrare nel mondo del lavoro. Entrambi avevamo competenze pregresse nella ristorazione. Così abbiamo cominciato a lavorare con giovani con delle disabilità, a fargli la formazione e inserirli in un ristorante che abbiamo fatto partire oltre 20 anni fa insieme alla cooperativa”.
Come funzionava in pratica il progetto?
“L’idea fu quella di organizzarci con l’azienda sanitaria locale che ci indicava dei ragazzi nella nostra zona con le potenzialità per poter lavorare e costruire un progetto di vita autonomo. La formazione l’avremmo svolta noi all’interno del nostro ristorante e della nostra cooperativa per poi inserirli in ambiti lavorativi inclusivi. Siamo andati avanti così per molti anni, fino a quando, 5 anni fa, c’è stata un’ulteriore svolta…”
Cosa è accaduto 5 anni fa?
“In modo inaspettato, abbiamo incontrato alcuni giovani che seguivano dei ragazzi autistici. Da quel momento abbiamo verticalizzato il nostro intervento su ragazzi provenienti dallo spettro autistico mettendo a punto un’attività di formazione e impostato il lavoro del nostro bar, caffetteria e ristorante mirati alle capacità e alle esigenze dei ragazzi autistici. E’ così nata AUTstanding, un luogo dove la produzione e il lavoro con i clienti è completamente gestito da questi ragazzi con autismo, con il supporto di due altri dipendenti ‘neurotipici'”.
Come è lavorare insieme a dei ragazzi diversamente abili?
“Molto arricchente. Sono ragazzi con uno zaino sulle spalle un pochettino più pesante della media, che hanno dunque una fragilità psicologica tale che – se inseriti nelle normali società che fanno ristorazione – potrebbero non farcela. Ma qui si è creata un’atmosfera meravigliosa. Loro sono sempre sorridenti, sempre accoglienti, e tutto quello che fanno, lo fanno con grandissimo entusiasmo! E poi sono particolarmente simpatici. Una cosa che ci dà un piacere enorme è quando li sentiamo fare dei progetti fino alla pensione, pur avendo solo 26-27 anni! Perché significa che si trovano bene al lavoro da volerci restare a lungo”.
Quanti ragazzi avete aiutato in tutti questi anni?
“Da 2003 ad oggi abbiano seguito nella formazione e nell’inserimento lavorativo almeno 200 ragazzi. In questo momento ne lavorano 8. Ma anche chi non lavora più qui, ha avuto un suo ‘lieto fine’: nel senso che la maggior parte di loro ora lavora presso altri locali o ristoranti; qualcuno sta facendo anche altro; altri stanno cercando cose nuove. Tutti hanno capito una cosa fondamentale…”
Cosa hanno capito di così importante?
“L’esperienza fatta con noi gli ha permesso di capire che anche loro sono in grado di lavorare, avere una loro proceduralità e un proprio metodo. Questo dà loro dignità perché in genere i soggetti autistici, così come le persone diversamente abili, sono spesso tenute al di fuori del contesto sociale”.
Perché dice che i diversamente abili sono ‘tenuti fuori dal contesto sociale’?
“Perché normalmente non li si considera come elementi da poter inserire nel mondo lavorativo ed essere dunque produttivi, pur nelle varie peculiarità che vanno rispettate. La caffetteria è stata chiamata AUTstanding sia perché richiama il termine inglese ‘outstanding’ che significa ‘eccezionale’, sia perché all’interno ci lavorano in modo autonomo ragazzi con autismo. AUTstanding quindi richiama l’idea non solo di ‘persone eccezionali’ ma anche di persone in grado di ‘stare in piedi da sole’, di essere autonome, nonostante l’autismo”.
Sono autonomi anche fuori dal luogo di lavoro?
“Sì. Facendo un’adeguata formazione e dando i giusti supporti, questi ragazzi riescono anche ad avere una progettualità di vita. Recentemente abbiamo preso contatto con alcune associazioni presenti sul territorio per avviare i ragazzi che lavorano da noi all’autonomia abitativa. In buona sostanza, questi ragazzi che lavorano a noi sono assunti a tempo indeterminato, hanno la loro paga, un giorno vivranno da soli: hanno così riacquisito la loro dignità sociale”.
Vuole raccontarci un episodio in cui i ragazzi si sono sentiti importanti?
“Sì. C’è stato un ragazzo che, il primo giorno che ha cominciato a lavorare da noi, è andato a prendere una comanda al tavolo. Una volta presa, gli ho detto che con i clienti era stato veramente bravo. Lui mi ha risposto: ‘Lo so che sono stato bravo, la cliente mi ha detto grazie. Di solito sono sempre io che dico grazie agli atri, mai il contrario’. Aveva compreso, con quel grazie ricevuto, di avere una funzione sociale e di essere stato apprezzato per quello che faceva. E non di essere un ‘pacco’ trasferito da un centro diurno all’altro per cercare di superare la giornata! I ragazzi che acquisiscono autonomia lavorativa passano dall’essere dei sopravvissuti a persone che vivono la quotidianità attivamente, lavorando. Il tutto, inserito in un ulteriore progetto di autonomia abitativa, dà una prospettiva di serenità alle famiglie, normalmente preoccupate di cosa capiterà ai loro figli quando i genitori non ci saranno più. Così invece si prospetta la possibilità per questi ragazzi di avere una vita autonoma e dignitosa pagata con il proprio impegno”.
Quali sono gli obiettivi e le speranze per il futuro?
“Il nostro obiettivo è che il nostro know how, i progetti e dunque i risultati portati avanti con la cooperativa La Melagrana, possano essere replicati da altre associazioni e dunque possano espandersi sul territorio nazionale. La speranza è che migliori la coordinazione tra le varie realtà del territorio. E che ci sia maggiore impegno da parte delle Istituzioni. Questo Governo, agrazie al monosterto Locatellli, sta andando nella giusta direzione: sta già facendo molto. Ma c’è ancora molto altro da fare. Sarebbe un arrichhimento non solo per i ragazzi e per le loro famiglie, ma per tutta la società. E un grande risparmio per lo Stato”.
In che senso?
“Oggi un ragazzo disabile costa alle casse dello Stato, per i vari servizi di cui necessita, intorno ai 30.000 euro all’anno. Ma una volta reso operativo – quando questo è possibile, ovviamente – diventa un soggetto produttivo: crea qualcosa, dà il suo contributo, paga le tasse cioè si passa da una passività all’interno della società a un ruolo attivo. Infine, dare la possibilità a chi fino adesso non l’ha avuta di esprimere con dignità le proprie potenzialità, aiuta tutti ad essere persone migliori”.