Non c’è progresso senza assistenza sanitaria. L’Italia è 16° per Pil e spese pro capite sul sistema sanitario. Lo studio di Lenstore ha analizzato le abitudini di spesa dei consumatori di 24 paesi. L’Italia si classifica 16° nello studio. Registrando una percentuale del 6,8% di spesa Pil in assistenza sanitaria. Gli Stati Uniti hanno la più alta percentuale di Pil speso (9,2%) in assistenza sanitaria. Norvegia e Danimarca si classificano in seconda e terza posizione. Tra i paesi che spendono la percentuale più alta di prodotto interno lordo in assistenza sanitaria. Con una spesa dell’8,2%. In Cile, solo il 4,4% del Pil viene speso in assistenza sanitaria. Ungheria e Polonia riportano percentuali basse. Pari al 4,6%.
Allarme assistenza
Per approfondire come la pandemia possa mutare le politiche sanitarie In Terris ha intervistato il professor Roberto Cauda. Direttore dell’Unità operativa complessa di Malattie Infettive del Policlinico Gemelli di Roma. Ordinario di Malattie Infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Revisore dei parametri Covid del governo. Consigliere scientifico dell’Agenzia europea del farmaco (Ema). “Dovremmo far tesoro della lezione impartita da questa pandemia- osserva l’infettivologo-. Ciò per avere maggior rispetto dell’ambiente. Da cui possono derivare nuove emergenze sanitarie. Per considerarci parte di un mondo in cui la propria salute non può prescindere da quella degli altri. Per impiegare al meglio tutte le competenze informatiche acquisite. Ad esempio nella didattica a distanza. Nella telemedicina. Nello smartworking. Per riconoscere il valore della scienza come unico baluardo. Nei confronti di eventuali future emergenze. Siamo tenuti a far tesoro di questa lezione imparata a durissimo prezzo. Così potremo, come dice papa Francesco, uscire migliorati da questa pandemia”.
Professor Cauda cosa insegna la pandemia al Ssn?
“Innanzi tutto a rafforzare la medicina territoriale. E a potenziare la risposta a repentini campi di scenari epidemiologici. Non è la prima volta, nella storia della medicina, che una pandemia si sviluppa attraverso diverse ondate. Quella a noi più vicina, e di cui
resta ancora viva la memoria, è l’influenza spagnola. Iniziata durante la prima guerra mondiale con l’arrivo delle truppe americane in Francia. Ha avuto una prima ondata non particolarmente grave tra il 1917 e il 1918. E una seconda ondata che ha mietuto milioni e milioni di vittime in tutto il mondo nel 1919. Per poi terminare nel 1920”.
“La conclusione della pandemia influenzale spagnola è avvenuta quando
la popolazione mondiale ha raggiunto, a seguito del contagio, l’immunità protettiva. Che ne ha ridotto la gravità (la letalità della spagnola è stata sei volte superiore a quella di Covid-19). Anche se il virus ha continuato a circolare, in modo meno grave, fi no al 1956. Anno di comparsa della pandemia asiatica. Anche per Covid-19 è innegabile che ci siano delle peculiari differenze (non solo dal punto di vista medico). Tra la prima e le ondate successive”.
“La presenza di varianti, definite Voc (Variants of concern), è un aspetto di novità. Che si è palesato in modo evidente dopo la prima ondata. E che è intrinseco alla diffusione- replicazione del virus. Infatti è una ben nota legge biologica quella secondo cui
un virus, replicandosi, commette una serie di ‘errori’. Queste ‘mutazioni’ il più delle volte vengono perse. E solo raramente si mantengono. Conferendo al virus mutato un vantaggio biologico. Ciò gli consente di soppiantare il virus precedentemente circolante. Le varianti sono tanto più numerose quanto più numerosi sono i contagi. E possono condizionare significativamente la diffusione del virus. E anche la capacità di contenimento epidemiologico. La variante ancestrale di Wuhan era sicuramente meno trasmissibile rispetto alle varianti successive. E questo può spiegare l’efficacia raggiunta in tempi relativamente brevi del pur rigoroso lockdown messo in atto
dalle autorità cinesi. Le varianti destano preoccupazione per la maggiore trasmissibilità (ormai ben dimostrata).
“La presenza dei vaccini è l’elemento di maggiore novità che differenzia le ondate successive dalla prima. E’ evidente l’impatto in termini di contenimento dell’infezione/malattia. La scienza ha potuto rendere disponibili i vaccini in tempi
straordinariamente brevi. Ciò grazie alle tecnologie sviluppate negli ultimi anni. Si tratta di vaccini efficaci e sicuri. Ottenuti utilizzando tecnologie non disponibili in passato. I vaccini tradizionali (cinesi e indiani) sono costituiti da virus inattivato intero. Sono, quindi, imili a quello dell’influenza. Vi sono, poi, vaccini a Rna (Pfi zer, Moderna). A Dna che utilizzano come vettore l’adenovirus (AstraZeneca, Sputnik, Johnson
& Johnson). E proteici (Novavax). Vanno riconosciuti gli sforzi messi in atto dalla comunità scientifica e dall’industria. Per rendere disponibile un’ampia selezione di vaccini la cui efficacia e sicurezza sono garantite da rigorose sperimentazioni. E dall’attenta verifica degli organismi di controllo internazionali e nazionali (Fda, Ema, Aifa). Segnalo semmai un rischio”.
“E’ fuori da ogni razionalità scientifico il dibattito sulla possibile maggiore efficacia
di un vaccino rispetto a un altro. Quasi si trattasse di una competizione sportiva (oggi la gente parla più di vaccini che di calcio!). Va ribadito con forza che non esistono (per rimanere in ambito sportivo) vaccini di serie A e di serie B. E su questo aspetto la comunicazione dovrebbe essere particolarmente attenta. In modo da rassicurare l’opinione pubblica sull’efficacia di tutti i vaccini disponibili. Come segnalato più
volte autorevolmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Oltreché sulla loro sicurezza. La quasi totalità della popolazione ha accettato positivamente e in larga misura la vaccinazione. Comprendendo come questa sia l’unico mezzo a disposizione per poter riprendere una vita normale. La dannosa influenza dei ‘no vax’ è stata rumorosa ma largamente minoritaria. Rispetto alla consapevolezza che solo la vaccinazione può essere risolutiva per conferire la protezione”.
“La comunicazione avrebbe dovuto essere rivolta in maniera più decisa a far comprendere i vantaggi della vaccinazione in termini di sanità pubblica. Richiamando l’attenzione sui benefici che una vasta popolazione avrebbe ricevuto. A fronte di un bassissimo rischio per il singolo individuo. In altre parole, il concetto di ‘tailored medicine’. La ‘medicina di precisione’, infatti, rappresenta un’innegabile acquisizione
di questi ultimi anni in molti campi della medicina. E non è applicabile in corso di pandemia, quando ci viene richiesto di ragionare su grandi numeri e non sui singoli individui. La presenza delle varianti è strettamente connessa con l’efficacia
dei vaccini. Se oggi le varianti circolanti non destano particolare preoccupazione, il motivo è uno. I vaccini attualmente disponibili, pur con qualche differenza, sono in grado di proteggere dall’infezione e dalla malattia da esse causata”.