In Italia oggi ci sono cinque anziani per ogni bambino, un numero cresciuto più di cinque volte rispetto al 1951, ossia l’anno in cui è stato effettuato il primo censimento della Repubblica. In particolare, negli ultimi cinque decenni l’invecchiamento della popolazione italiana è stato uno dei più rapidi tra i Paesi maggiormente sviluppati e si stima che nel 2050 la quota di ultra65enni ammonterà al 35,9% della popolazione totale, con un’attesa di vita media pari a 82,5 anni. Da un lato, l’aumento della longevità, rappresenta una conquista in termini di progressi della medicina e delle relative condizioni di vita, ma dall’altro lato, rende urgente la necessità di garantire un’assistenza di qualità, soprattutto attraverso la presenza di un numero congruo di assistenti familiari.
Le assistenti familiari in Italia
Secondo gli ultimi dati pubblicati, negli ultimi dieci anni, il numero di assistenti familiari in Italia è passato da 310 a 438mila unità di cui le donne straniere rappresentano la componente più numerosa con il 67,5% ma, le donne italiane che svolgono questa professione, secondo le statistiche, sono passate da 36 mila a 106 mila e oggi rappresentano il 24,3% del totale. Ciò premesso, la professione dell’assistente familiare, considerato l’incremento della popolazione anziana, è soggetta a diversi cambiamenti ed evoluzioni che hanno la necessità di essere analizzati. Per questo motivo, Acli Colf e Iref, ovvero l’Istituto di Ricerche Educative e Formative, stanno mettendo in campo una progettualità con valenza nazionale per fotografare la situazione delle assistenti familiari nel paese nonché fornire nuovi strumenti e spunti per migliorare la condizione degli assistenti familiari. Interris.it, in merito a questa progettualità di sviluppo sociale, ha intervistato la dott.ssa Cecilia Ficcadenti, ricercatrice di Iref che, laureata in Scienze Sociali Applicate, svolge analisi e ricerche sul tema del welfare con particolare attenzione alla dimensione locale.
L’intervista
Come nasce e che obiettivi ha il progetto di ricerca sociale sviluppato da Iref in sinergia con Acli Colf?
“Il progetto nasce su richiesta di Acli Colf con l’intento di rimettere al centro l’azione associativa, valorizzare i territori e vedere cosa si fa all’interno di questi in relazione al sostegno alle famiglie e alle assistenti familiari. In qualità di ricercatori, indagare e dialogare nei vari territori, ascoltare i lavoratori e le famiglie, è molto importante per capire quali sono le potenzialità e le presenze di Acli Colf nei vari luoghi, nonchè i bisogni dei lavoratori domestici e delle famiglie. Ho notato che vengono svolte molte attività, in maniera differenziata da un territorio all’altro, diversi rapporti di lavoro e prese in carico, ma spesso non inserite all’interno di una presa. Quindi, la nostra idea, attraverso delle interviste qualitative svolte in qualità di Iref, è di arrivare a poter formulare una proposta di servizio, trovare la quadra rispetto ai servizi che già vengono svolti, in modo da attuarli in una forma più strutturata e offrire così ad altri territori la possibilità di utilizzarli.”
Quali sono le peculiarità emerse dai territori che avete preso in analisi?
“Innanzitutto, si è evidenziata una grandissima attenzione alla formazione. L’altra caratteristica emersa, siccome le lavoratrici domestiche spesso sono donne, migranti e, di conseguenza, spesso sole, è la grande attenzione riservata al tessuto sociale di queste persone. Il lavoro di cura è estremamente impegnativo e rischia di essere anche molto isolante in quanto, molte volte, si arriva in Italia da soli e si vive con la persona che si deve assistere. Credo che, Acli Colf, come associazione, possa dare un supporto in tal senso. L’altra caratteristica peculiare è il senso di fiducia. I vari servizi si esplicano con i diversi sostegni amministrativi ma esso viene utilizzato grazie alla fiducia instaurata con le persone. In questo caso, le famiglie, si chiamano datori di lavoro, ma sono delle famiglie che si sono ritrovate in difficoltà, a dover contrattualizzare l’assistenza di un proprio familiare in un momento delicato e la fiducia assume una valenza fondamentale.”
Come si connota l’azione di Iref per la costruzione di quello che si può definire un welfare innovativo?
“Sicuramente è una questione di ampio respiro che deve ingaggiare più centri di produzione scientifica, elaborazione politica e culturale. Penso che, fare ricerca nel Terzo Settore, significhi fare rete tra diverse realtà. Collaborare con diverse realtà su uno specifico tema può, in qualche modo, entrare nel dibattito pubblico. La chiave è costituita dal fatto di lavorare con diverse professionalità e in rete con le altre organizzazioni.”