L’arte come terapia per chi soffre di problemi mentali: il progetto “Io non sono fuori”

Foto gentilmente concesse da dal gruppo emeis

Si chiama “Io non sono fuori” il progetto che vede come protagonisti i pazienti della Casa di Cura Villa di Salute del gruppo emeis, a Trofarello, in provincia di Torino, insieme con lo staff di psicologi, tecnici di riabilitazione psichiatrica, psichiatri, infermieri professionali ed OSS della struttura. Inclusione, collaborazione, dare voce a chi troppo spesso rimane ai margini della società: sono questi i valori che muovono il progetto che prende il via ufficialmente in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale. Interris.it, per raccontare questa iniziativa volta a combattere lo stigma che ancora oggi esiste quando si parla di malati mentali, ha intervistato la dottoressa Barbara Alessio, direttrice del colletivo “Dacqua”.

L’intervista

Dottoressa, come nasce il progetto artistico “Io non sono fuori”?

“La ringraziamo di questa domanda che ci dà modo di contestualizzare meglio questa iniziativa. In realtà il progetto nasce dall’esigenza di formalizzare meglio, articolare e fare conoscere quello che è già un metodo di lavoro all’interno della nostra Casa di Cura. Sono Responsabile della Riabilitazione dal 2001, mi sono molto dedicata alla mia formazione clinica ma anche a far crescere un gruppo di lavoro particolarmente dedicato all’attività gruppale e alle terapie espressive, un’equipe riabilitativa composta da psicologhe psicoterapeute, psicologo, terapiste della riabilitazione e fisioterapisti. L’attività clinica è organizzata in equipe, dove lo scambio è molto fitto con tutte le altre figure sanitarie. Ai pazienti si offre una terapia farmacologica e un ventaglio ampio di attività psicoterapeutiche e psicoeducative, individuali e di gruppo. Abbiamo dato grande impulso all’uso delle diverse arti e dei mezzi espressivi in senso terapeutico, tutti gruppi che incentivano la creatività e che ci hanno lentamente indotto a mischiarci tra noi operatori, collaborare, influenzarci reciprocamente innovando costantemente. E la risposta dei pazienti è sempre stata molto positiva, con positive ricadute in termini di miglioramento e di riacquisizione di un buon equilibrio psichico”.

Foto gentilmente concesse da dal gruppo emeis

Negli anni passati, avevate già fatto esperienze simili?

“Nel 2018 avevamo portato avanti dei gruppi che hanno creato materiali, installazioni, testi e piccole piece teatrali fino ad una rappresentazione in forma di spettacolo interna alla clinica, realizzata da pazienti e dal personale, offerta ai parenti. Fu molto emozionante e coinvolgente. Dopo un po’ di anni e di esperienze abbiamo voluto dare respiro a quel format e aprirci all’esterno, con alcune consapevolezze maggiori in merito al valore espressivo di ciò che i pazienti producono e generosamente ci consegnano durante le attività riabilitative e psicoterapeutiche. La dott.ssa Anna Bellicanta, il nostro primario e direttore sanitario, e i medici, ci hanno accreditato fiducia e stima. Per circa un anno insieme alla Dott.ssa Bellicanta, molto attenta al lavoro della riabilitazione psichiatrica, ci siamo confrontate sul disegno del progetto, sulle finalità, sulla fattibilità”.

Come è composto il suo gruppo di lavoro?

“Il mio gruppo di lavoro è composto da persone giovani, molto motivate e altamente formate, con tanta esperienza e con la voglia di innovare e lavorare bene per i pazienti. Più ne parlavamo e più ci sembrava importante. Poi abbiamo esposto il progetto al Direttore Amministrativo, il Sig. Leone Davide, e alla direzione emeis, che ci ha appoggiato e ci sta supportando in ogni modo”.

Foto gentilmente concesse da dal gruppo emeis

Ancora oggi, le persone affette da problemi di salute mentale sono spesso emarginate e relegate ai margini della società. Come l’arte può aiutare nel combattere stigma e pregiudizi?

“L’arte utilizza un linguaggio universale ed è in grado di veicolare profondissimi messaggi, intimi ma umanamente condivisibili, che riescono a renderci tutti compartecipi di quello che è in realtà il medesimo viaggio, ovvero la traiettoria esistenziale, la parabola della nostra vita. I contenuti espressi non hanno bisogno di tante spiegazioni: senza giudizio, in primis senza il giudizio dell'”artista”, vengono alla luce vissuti, emozioni, immagini, desideri, angosce in forme semplici, poetiche, articolate che mostrano quanto siamo tutti ricchi di un’esperienza che è da valorizzare e che ci accomuna. Alcune patologie mentali compromettono alcune funzioni cognitive o, allontanando lentamente la persona dai contesti sociali a causa delle ricadute o delle difficoltà, la immobilizzano in un orizzonte limitato. Diventa così sempre più difficile esprimersi: il linguaggio artistico può non usare le parole, dà valore ad ogni esecuzione, spinge a liberarsi (nel duplice senso di sciogliere dei lacci inibitori e di dare impulso a ciò che era rimasto inutilizzato). Rende protagonisti”.

I pazienti della Casa di Cura Villa di salute del gruppo emeis sono parte attiva del progetto: come questo contribuisce al loro benessere psicofisico?

“Spesso ci capita attraverso i social, anche da parte di attivisti e attiviste per i diritti in cui crediamo, di cogliere critiche al sistema sanitario che si occupa della salute mentale. Vogliamo mostrare invece chi sono i pazienti e che cosa si fa nei luoghi di cura. Il dolore mentale è trasversale e universale: e se si sta male si può chiedere aiuto. Ho già spiegato come ancora oggi la malattia mentale generi esclusione e immobilismo, per diversi motivi. Il nostro progetto desidera mostrare il lavoro di tutti, senza distinzioni di ruolo, età, etnia. Tutti artisti: questo rende la persona responsabile e protagonista. Gli dà voce, valore, visibilità. Lo stimola a farsi partecipe, costringe a parlarsi, mediare: a comunicare, quindi a mettere in comune. E’ un cambio di postura esistenziale: da allettata, limitata, passiva la persona comincia a sentire il piacere di ascoltarsi e poi portare il proprio contributo. Noi operatori abbiamo il compito di presidiare e sostenere questo atto di fiducia verso se stessi e i propri contenuti interiori e poi dobbiamo aiutare il gruppo a valorizzare ognuno, rispettandone la cifra originale. L’iniziativa non ha solo fini riabilitativi e terapeutici, che sono propri di ogni attività espressiva, ma ha come obiettivo quello dell’inclusione sociale”.

Foto gentilmente concesse da dal gruppo emeis

Come hanno accolto la proposta di partecipare alla formazione di un collettivo?

“Sono stati dapprima curiosi e ora entusiasti. Comprendono il senso: il lavoro nei gruppi ovviamente non è cambiato, dicevamo che si tratta del nostro metodo ordinario di lavoro! Ma adesso documentiamo il lavoro e sappiamo che alcuni contenuti diventeranno pubblici. Il primo messaggio dunque è quello che ciò che stiamo facendo riveste un valore non solo soggettivo, per loro e per noi, ma oggettivo, che interessa altri e interpella altri. Soprattutto, questa iniziativa riesce a coinvolgere i soggetti più giovani e “difficili”, che generalmente snobbano i gruppi terapeutici: il senso del collettivo invece fa parte della loro cultura di riferimento e i linguaggi che utilizziamo, fra cui il rap e la street-art, sono quelli che frequentano e conoscono bene, dunque si sentono sé stessi. Nei gruppi non c’è giudizio e indaghiamo insieme la ricchezza della loro personalità, in termini emotivi, cognitivi e spirituali. I pazienti co-strutturano le attività anche se le consegne dei lavori e la regia delle sessioni rimangono nostra responsabilità”.

Il progetto apre alla partecipazione di persone esterne alla struttura, come associazioni e istituzioni del territorio: cosa i pazienti e quanti entreranno a far parte di questa esperienza potranno donare gli uni agli altri?

“L’arte è una fecondazione reciproca: l’idea di collettivo vuole onorare e dare rilievo a questo: nessun contenuto appartiene al singolo, è frutto della mente del gruppo, di quel clima, dei contagi emotivi ed intellettuali, degli incontri e degli scontri. interagire con enti, istituzioni e associazioni aiuta i pazienti a riappropriarsi del territorio, di una cittadinanza più piena. Dà loro voce. Ci fa muovere e per la Medicina Tradizionale Cinese il movimento è salute mentre la malattia è stasi e ristagno. Incrociare le narrazioni, sentirsi parte di una comunità più grande, è sicuramente una bella sensazione. Poi ci sono gli artisti che collaboreranno con noi, in tutte le arti che usiamo: fotografia, danza, teatro, cinema, musica, tessitura, argilla, scultura, pittura, narrazione. Ecco perchè il progetto si chiama ‘Io non sono fuori’: vogliamo stare dentro, il più possibile dentro gli spazi e i contesti dove si fanno insieme delle cose secondo i valori in cui crediamo. E fare entrare la vita di tutti e di tutti i giorni dentro la struttura. Non lavoriamo solo sull’adattamento ma ci interessa far uscire allo scoperto e amplificare la vitalità e la poesia delle esperienze esistenziali di persone che a causa della patologia vivono al chiuso, non sono interpellate, non hanno una voce nella dimensione pubblica. Ecco: ci interessa sostenere quella voce e farla ascoltare anche lontano da qui.

Foto gentilmente concesse da dal gruppo emeis

Vuole fare una sua conclusione?

“Vorrei concludere dicendo che il nome del collettivo artistico legato al progetto è ‘Dacqua’: lo abbiamo scelto a partire dalla sgrammaticatura, perchè la precisione stilistica non è il nostro obiettivo e l’errore e quella parte umana che siamo chiamati ad integrare, tutti, non solo i pazienti. L’acqua non ha una forma propria ma assume quella del contenitore: i setting delle attività sono quindi gli spazi/tempo all’interno dei quali la fluidità delle espressioni di pazienti e operatori può essere osservata e raccolta. L’acqua è simbolo di vita e dell’inconscio primario, delle emozioni, del nutrimento e del legame affettivo e concreto. E’ un elemento semplice, che accomuna i viventi, dunque circolare al creato, appare poco importante e comune ma è essenziale; ha caratteristiche paradossali perché è emolliente, solvente e tensiva. Nel nostro simbolo ci sono due anfore che si travasano una nell’altra: senza soluzione di continuità. E’ il travaso delle esperienze nei Setting di lavoro, nei gruppi, l’influenza e l’arricchimento reciproco. Che nel progetto sarà amplificato dalla partecipazione di artisti e persone interessate che vorranno collaborare con noi come volontari, facendo arte con noi, insegnando e imparando. Quello vogliamo onorare e testimoniare”.

Manuela Petrini: