Artale: “Don Puglisi e la sua eredità: resistenza e speranza a Brancaccio”

A sinistra: il Centro di Accoglienza Padre Nostro. Nel riquadro piccolo in alto: Maurizio Artale. In basso a destra: murales dedicato al beato padre Puglisi. Foto: Ass. Centro Di Accoglienza Padre Nostro ETS

Il 15 settembre 2024 segna il 31° anniversario dell’assassinio di Don Pino Puglisi, il coraggioso sacerdote di Brancaccio, a Palermo, che ha sacrificato la sua vita per difendere i diritti dei più deboli e contrastare la mentalità mafiosa. Ucciso dalla mafia nel 1993, don Puglisi è stato proclamato beato da Papa Francesco per il suo esempio di resistenza civile e religiosa e per aver portato avanti una missione di giustizia sociale in un quartiere abbandonato dalle istituzioni e controllato dalla criminalità. Nel cuore di Brancaccio, due anni prima di morire, aveva fondato il Centro di Accoglienza Padre Nostro, un luogo che ancora oggi, grazie al lavoro di tante persone, rappresenta un faro di speranza e solidarietà.

Il Centro di Accoglienza Padre Nostro

A distanza di oltre tre decenni, il suo insegnamento vive nel lavoro quotidiano del Centro, che continua a supportare le famiglie, i giovani, i detenuti e le persone emarginate, sempre fedele al principio di stare vicino agli ultimi, come lo stesso don Puglisi aveva voluto. Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro, racconta a Interris.it come è nato il progetto e come, nonostante le difficoltà iniziali, l’opera di don Puglisi si sia radicata nel territorio, diventando un simbolo di rinascita e di lotta contro l’omertà. Artale condivide anche il lascito spirituale e umano di don Puglisi, la risposta della mafia e la trasformazione della comunità di Brancaccio nel corso degli anni, grazie al lavoro instancabile del Centro.

Intervista a Maurizio Artale, Presidente del Centro di Accoglienza Padre Nostro

Come è nato il Centro di Accoglienza Padre Nostro di Brancaccio?

“Il Centro di Accoglienza Padre Nostro è nato nel 1990 per iniziativa del Beato Giuseppe Puglisi, noto come Don Pino Puglisi. Il 29 settembre 1990 venne nominato parroco della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, in cui la criminalità organizzata esercitava il proprio controllo tramite i fratelli Graviano, legati a Totò Riina e Leoluca Bagarella: qui incominciò la lotta antimafia di padre Pino Puglisi. Quando arrivò nel quartiere di Palermo, trovò una situazione drammatica, con carenze essenziali come la mancanza di asili nido, scuole e servizi di base. Lui stesso diceva che era più facile elencare ciò che c’era a Brancaccio piuttosto che ciò che mancava. Perché mancava tutto! Anche la rete fognaria. In risposta a questa realtà di abbandono da parte delle Istituzioni, decise di fondare il Centro di Accoglienza Padre Nostro per dare sostegno alle persone più vulnerabili del quartiere, dove la mafia aveva un controllo forte. Lui scendeva in strada e ascoltava i bisogni reali della gente, cercando di trovare soluzioni concrete. Il suo impegno per aiutare i poveri e per migliorare le condizioni del quartiere lo rese una figura profetica, ma anche un obiettivo della mafia, che lo assassinò il 15 settembre 1993, giorno del suo 56esimo compleanno, perché era visto come una minaccia. Padre Puglisi infatti non si sottomise mai al potere mafioso nonostante le minacce e le intimidazioni. Per il suo coraggio, è stato beatificato da Papa Francesco il 25 maggio 2013: è la prima vittima di mafia riconosciuta come martire della Chiesa”.

Come reagì la mafia all’apertura del centro?

“La mafia vide con sospetto e ostilità l’operato di Padre Puglisi fin dall’inizio. Quando don Pino cercò di acquistare un locale per aprire il centro, inizialmente gli fu chiesto un prezzo (109 milioni di vecchie lire), ma poi, quando si resero conto che non avrebbe ceduto alle richieste della criminalità (che pretendeva che tutti chiedessero il permesso a loro prima di iniziare una qualsiasi attività) aumentarono il prezzo a 209 milioni, sperando di farlo desistere. Ma lui non si tirò indietro, dicendo: ‘Non avevo 109 milioni prima, non ne ho 209 adesso, la Provvidenza provvederà’. E infatti, nonostante le difficoltà economiche, Padre Puglisi riuscì comunque a ottenere i locali. E, dopo la sua uccisione, la comunità riuscì a saldare i debiti che aveva contratto con la banca per aprire il centro”.

Perché la mafia ha ucciso don Puglisi?

“La mafia considerava il suo operato una sfida, soprattutto perché offriva un’alternativa morale e concreta alla popolazione, sottraendo potere e credibilità alla criminalità organizzata che si poneva come unico interlocutore per la popolazione bisognosa. In assenza dello Stato, la Mafia prolifica e Brancaccio negli anni ’90 era quella ‘periferia’ dimenticata di cui parla oggi (per altre realtà) Papa Francesco. Don Puglisi si opponeva a tutto questo e si poneva come alternativa legale alla criminalità”.

Com’è cambiato il rapporto degli abitanti di Brancaccio con la mafia?

“Il cambiamento è tangibile. Oggi le persone si rivolgono al centro per chiedere aiuto, mentre prima avrebbero chiesto alla mafia. In passato, come detto, la mafia era il punto di riferimento per ottenere lavoro o risolvere problemi, ma Padre Puglisi insegnò che non bisogna chiedere per cortesia ciò che spetta per diritto. Il suo lavoro ha trasformato la mentalità della gente e, pur con difficoltà, le istituzioni hanno cominciato a essere più presenti. Abbiamo dimostrato che la presenza costante e il dialogo con le persone possono cambiare le cose, anche in un quartiere come Brancaccio”.

In che modo portate avanti l’eredità di Don Puglisi oggi?

“L’eredità di Don Puglisi è legata alla presenza costante nel territorio e all’attenzione agli ultimi. In questi 31 anni, il Centro di Accoglienza Padre Nostro ha realizzato molte iniziative: abbiamo aperto un centro antiviolenza, un centro polivalente sportivo, un asilo nido, case per mamme vittime di abusi e un centro per detenuti che permette loro di scontare la pena attraverso il reinserimento sociale. Offriamo anche servizi sanitari gratuiti e stiamo per aprire nuovi ambulatori di prossimità. La nostra attività si basa sul principio di Don Puglisi che diceva: ‘Se ognuno fa qualcosa, tanto si può fare’. Tutti noi oggi, 31 anni dopo il suo vile assassinio, continuiamo su questa strada per sostenere i più deboli e mantenere vivo il suo sogno”.

Milena Castigli: