Oggi don Oreste Benzi, l’infaticabile apostolo della carità in via di beatificazione, avrebbe compiuto 95 anni. Racconta a Interris.it l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Giancarlo Perego: “Ho avuto la fortuna di conoscere don Oreste negli anni di ministero alla Caritas e alla Fondazione Migrantes. Don Benzi faceva costantemente riferimento al’ diritto ad avere una famiglia‘ per ogni persona. Un diritto riaffermato dalla costituzione conciliare Gaudium et spes (n. 26)”. Da qui, osserva l’arcivescovo, “don Benzi sentiva forte la necessaria esigibilità di questo diritto alla famiglia negato a tanti bambini. Ma anche a persone diversamente abili o anziane o sole, che doveva vedere ancora, in forme rinnovate (più di casa e di comunità che di istituzione) l’impegno della Chiesa”.
Il valore della famiglia
Prosegue l’arcivescovo Perego intervistato da Interris.it: “Questa consapevolezza giuridica e sociale di don Benzi si legava anche alla consapevolezza ecclesiale che la famiglia è ‘come una Chiesa domestica’. Questa espressione, cara anche a don Oreste, ‘come una Chiesa domestica” in riferimento alla famiglia viene dal Concilio Vaticano II, nella costituzione Lumen gentium”. Secondo l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio è interessante che “il Concilio parlando del popolo di Dio, del sacerdozio battesimale consideri la famiglia soggetto fondamentale di questa visione nuova di Chiesa e di sacerdozio. E ciò a partire propri dagli aspetti concreti della vita familiare. E cioè la vita coniugale, l’educazione dei figli, l’impegno nella società civile”. Perciò, sottolinea monsignor Perego, “in questo stile di vita ecclesiale familiare i genitori diventano ‘i primi annunciatori della fede‘ e i primi a curare la vocazione dei figli”.
Priorità
Sostiene l’arcivescovo: “Questa priorità dell’annuncio del Vangelo e della cura delle vocazioni della famiglia forse in questi anni è andata in secondo piano. Come si chiede più strutture sostitutive della famiglia sul piano sociale ed educativo, così spesso si sollecitano più strumenti di sostegno a e sostituzione del compito di evangelizzazione della famiglia“. Sottolinea monsignor Perego: “Il cardinale Biffi ripeteva spesso che le strutture non possono sostituire la natura. E nello specifico, il compito educativo naturale della famiglia. Forse dobbiamo recuperare questa consapevolezza della soggettività della famiglia. Ribadita anche dai Pontefici dopo il Concilio fino a papa Francesco e anche dalla Chiesa Italiana in diversi documenti”. L’arcivescovo di Ferrara-Comacchio pensa “alla necessità, ad esempio, di ritornare a valorizzare il catechismo dei bambini, come strumento per i genitori cristiani per una prima educazione alla fede dei figli”.
Carità familiare
Il presule si riferisce anche a “una ministerialità liturgica dei genitori, come strumento educativo importante per accostare i figli alla celebrazione eucaristica e dei sacramenti”. Un riferimento alle “scelte di una carità familiare che apre la famiglia all’accoglienza. Forse sul piano sociale ed economico, per dare più cittadinanza alla famiglia, penso sia importante il sostegno alle battaglie del Forum della famiglia e del mondo associativo familiare“. Al centro dell’attenzione, secondo monsignor Perego, devono esserci “il sostegno di scelte di genitorialità sul piano contrattuale, l’assegno unico dei figli. E forme di compartecipazione alla scuola, purtroppo abbandonate dopo i Decreti delegati degli anni ’70″.Quali situazioni di fragilità la pandemia ha fatto emergere?
“L’emergenza sanitaria ha rivelato non solo che il mondo è malato, come ripete papa Francesco, ma anche la possibilità di guarirlo con uno stile di vita personale, familiare, sociale diverso. Nella pandemia il creato ha respirato, e abbiamo compreso che è importante far riposare la terra e non violentarla con consumi esagerati, con uno sfruttamento insostenibile, con un’economia ingiusta”.Cosa ci insegna l’emergenza Covid?
“Nel messaggio per la Giornata mondiale della Terra, che compie quest’anno i 50 anni il Papa coniuga proprio questo verbo ‘riposare’ in ordine alla terra, che significa uno stile di vita sobrio, semplice, sostenibile, che pensa alle generazioni future. Un verbo unito ad altri quattro che costituiscono insieme una sorta di ‘lessico ecologico cristiano’. Il secondo verbo è ‘ricordare’: ricordare che la terra è la casa di Dio, è come un sacramento della sua presenza, di cui l’uomo è custode e non padrone e che tutto è in relazione (Laudato si 92). Il terzo verbo è ‘ritornare’: ritornare a costruire legami e ad ascoltare insieme le sofferenze della terra , ferita dalla disintegrazione delle biodiversità, dai cambiamenti climatici. Il quarto verbo è ‘riparare’: difronte ai gravi danni a questa casa comune che è la terra, siamo chiamati come popolo di Dio a ristabilire relazioni giuste, alla condivisione, a denunciare un debito estero dei paesi più poveri aggravato da un ‘colonialismo ecologico’ che uccide la terra. Sfruttandola, depredando le risorse naturali, inquinando l’ambiente, privando della terra coloro che la abitano da sempre”.A cosa si riferisce in particolare?
“Penso alla denuncia del recente Sinodo dell’Amazzonia. Oggi, in un mondo globale, come Chiesa diventa ancora importante coniugare evangelizzazione e promozione umana, come ha ribadito Papa benedetto nell’enciclica Caritas in veritate e Papa Francesco nell’esortazione Evangelii Gaudium”.I giovani sono i più disorientati in questa situazione?
“Non è spento, anzi è in crescita il desiderio di Dio e di un’esperienza religiosa giovanile. Lo dimostrano tanti segni. La storia delle Giornate mondiali della Gioventù. La crescita di alcuni mondi giovanili associativi (penso all’Azione Cattolica e all’Agesci, ma anche ad alcuni movimenti). Le indagini statistiche sulla condizione e sulla religiosità giovanile curate da Paola Bignardi e dalla fondazione Toniolo. Forse il problema è coltivare questo desiderio unendo la preghiera e il servizio, l’amicizia, un linguaggio e una relazione franca, esperienze di condivisione, formazione cristiana. L’esperienza degli obiettori di coscienza, condivisa anche dalla papa Giovanni XXIII, in Italia e all’estero è importante in tal senso”.
Quali sono i riferimenti evangelici ai quali è più utile restare ancorati?
“Il racconto evangelico dell’infanzia di Gesù e della famiglia di Nazareth (che ci hanno regalato gli evangelisti Luca e Matteo) è l’immagine più plastica di una famiglia. Giuseppe e Maria che ‘adottano’ in certo qual modo il Figlio di Dio, dono dell’amore del Padre per l’umanità. Giuseppe e Maria accolgono una vita che gli è data, la curano, la educano anche religiosamente, la lasciano libera nelle sue scelte da adulto. Accettando anche il rifiuto (come in una pagina evangelica). Ma mai abbandonando il Figlio Gesù fino sul Calvario e sotto la Croce. L’immagine della famiglia di Nazareth ci ricorda che la vita non è creata da noi, ma donata e che tutto ciò che diventa rifiuto e violenza alla vita, tutto ciò che limita la libertà, è violenza all’uomo e a Dio”.