Le api, si sa, sono delle affidabilissime “sentinelle ambientali” e degli impollinatori fondamentali per la ricchezza della biodiversità. A causa dell’inquinamento e della perdita di diversità biologica dovuta all’agricoltura intensiva però questi preziosi insetti sociali stanno diminuendo, con un grosso danno per l’ambiente e per noi che lo (co)abitiamo. Ma proprio in una delle aree europee considerate a maggior impatto ambientale nel 2020 è partito un progetto di sensibilizzazione della cittadinanza sull’importanza di questi animali, accanto a uno studio sperimentale sull’attività delle api in relazione ai metalli pesanti i cui risultati possano fornire la base per costruire un modello predittivo sull’inquinamento ambientale. L’iniziativa, dalla durata di due anni, si chiama “ImpollinAzione urbana – Api, fiori e cittadini per una città biodiversa”, si tiene nel territorio di Lodi e consiste in incontri e attività di apicoltura per “diffondere più api possibili, che aumentano l’impollinazione favorendo la biodiversità, e per far capire ai cittadini i ritmi della natura, la fioritura nelle varie stagioni, i comportamenti delle api”, spiega Enrico Castelvecchio della cooperativa sociale Il Pellicano, capofila del progetto a cui partecipano anche il Movimento Lotta Fame nel Mondo, la facoltà di Medicina veterinaria, che ha sede a Lodi, dell’Università degli studi di Milano, che conduce la ricerca sull’impatto dei metalli pesanti sulle api, mentre altri due soggetti sono Parco Adda Sud e il Comune di Lodi. Un’unione, questa tra il Terzo settore, le amministrazioni locali e l’università, che fa la forza e che ha ricevuto un finanziamento di circa la metà del valore del progetto grazie alla partecipazione al bando “Emblematici Provinciali 2019” della Fondazione Cariplo attraverso la sua Fondazione Comunitaria della Provincia di Lodi. E da cui potranno “sbocciare” nuovi apicoltori, oltre che cittadini con maggiore conoscenza e consapevolezza di ciò che fa bene all’ambiente e cosa no. “Tutto è connesso, ambiente e società si tengono insieme, non dobbiamo dimenticarci della natura”, afferma il project manager di Piano di Zona Gian Marco Locatelli. “L’apicoltura urbana è importante sia perché non è scontato che questi animali trovino più nutrimento in campagna piuttosto che in città – illustra ancora Locatelli – sia perché così i cittadini potranno replicarla e diffonderla altrove”.
Apicoltura urbana
La formazione e l’accompagnamento alla la gestione delle arnie è in capo al Pellicano, cooperativa la cui mission principale è il recupero di persone con problemi legati alle dipendenze. Già da qualche anno l’associazione si dedica alla terra e alla natura. “Abbiamo due ettari di terreno dedicati all’agricoltura sociale”, riprende Castelvecchio, “poi dall’orto siamo passati agli animali, fino ad arrivare all’ apicoltura. Oggi abbiamo 22 arnie razionali presso la nostra sede e altre di tipo top bar, cioè più ‘naturali’”. Da lì al progetto di apicoltura urbana il passo è conseguente. Dopo un primo periodo fatto di incontri e di uscite in apiario, chi ha mostrato ulteriore interesse per quest’attività è affiancato per un anno e mezzo nell’installazione e nella gestione delle sei arnie top bar che si trovano a sanfereOrto, nel quartiere semiperiferico San Fereolo a Lodi – spazio nato nel 2017, dato in concessione dall’amministrazione lodigiana per dieci anni e gestito da un’Associazione temporanea di scopo di cui fanno parte una serie di realtà afferenti alla Rete di Agricoltura Sociale lodigiana coordinata dall’Ufficio di Piano dell’Ambito di Lodi – e delle altre quattro a Cascina Rossate, a Rossate di Lavagna, concessa da Parco Adda Sud, il parco fluviale regionale. “Cerchiamo di trasmettere oltre alle competenze di gestione di un’arnia, anche la volontà di diffonderle sul territorio”, continua Castelvecchio, “più api significa maggiore impollinazione, fondamentale per la biodiversità. Inoltre, oltre alla cura delle arnie, tra le persone che partecipano nascono incontri e interazioni”. Al primo corso di apicoltura hanno partecipato in 74, 21 dei quali hanno proseguito l’accompagnamento a Lodi e altri nove a Lavagna.
Api, piante e lavoro
Le attività che sono partite nel maggio 2020, con l’inserimento delle api con regina nell’arnia top bar vuota – “un momento delicato, perché la famiglia di api deve ancora accettare la regina” spiega Castelvecchio – e sono proseguite per fino all’inverno con visite settimanali dei corsisti, divisi in gruppi di massimo quattro persone, agli apiari di Lodi e di Lavagna. In quelle occasioni ci si assicurava che gli insetti costruissero bene i loro favi (i raggruppamenti di celle esagonali dove depositar le larve della covata, miele e polline) e a luglio si eseguivano i trattamenti contra la varroa, un acaro parassita. Un altro obiettivo del progetto è la piantumazione di alberi nettiferi come la lavanda, l’acacia, la robinia, i cespugli di rose, lamponi e mirtilli. Così api possono avere a disposizione fioriture continue. Ambiente, incontro, ma anche inclusione e lavoro. “Da alcuni anni abbiamo una falegnameria che realizza anche arnie razionali, così abbiamo attivato una borsa di lavoro a un utente della nostra comunità che era arrivato nella fase di reinserimento”, racconta Castelvecchio. “I nostri programmi di recupero durano da uno a tre anni, con un tirocinio lavorativo da sei mesi, retribuito con 600 euro mensili. In questo modo diamo una base economica alla persona quanto rientra nella società”.
Gli incontri
La comunicazione del progetto sui canali social e la gestione di sanfereOrto è in capo a Movimento Lotta alla Fame nel mondo. L’associazione, tra le sue molto attività come si evince anche dal nome, da circa una quindicina d’anni svolge porta nelle scuole temi come il consumo consapevole dell’acqua. Per quanto riguarda “Impollinazione Urbana”, nell’anno scolastico 2020/2021 a causa della pandemia si sono dovute affrontare nuove difficoltà e sono incontrate quattro classi della scuola primaria e si sono tenuti sei laboratori nell’area aperta di sanfereOrto. Queste attività hanno coinvolto 120 bambini e ragazzi tra i 7 e i 14 anni. Per l’anno scolastico in corso sono iscritte invece 34 classi – per un totale di circa 700 beneficiari – di cui tre dell’infanzia, 27 delle elementari e quattro delle medie.
Lo studio
Un insetto tanto prezioso per l’intero ecosistema è però in pericolo già da diverso tempo, in tutto il mondo. Il declino di questi “indicatori ambientali naturali” dipende sia da patologie che causano la morte prematura delle api che da un impoverimento della biodiversità, dovuta all’intensificazione agricola, come anche dall’impatto negativo di contaminanti ambientali quali i metalli pesanti, caratterizzati da tossicità latente e che entrano nei cicli biologici anche grazie alle attività dell’uomo quali la fertilizzazione e l’utilizzo dei fungicidi in campo agricolo. “Studi sperimentali mostrano come le api adulte possano servire come rilevatori temporali e spaziali delle concentrazioni ambientali di un’ampia gamma di metalli pesanti presenti in tutti i compartimenti ambientali, quali vegetazione, suolo, aria e acqua”, spiega a Interris.it la professoressa Annamaria Costa, responsabile scientifico della prova sperimentale portata avanti nel progetto “ImpollinAzione Urbana” dai ricercatori del dipartimento di Medicina Veterinaria e Scienze Animali della Statale di Milano. “Negli ultimi anni, alcuni ricercatori hanno determinato come il selenio possa influire negativamente sulla capacità della colonia di crescere nel tempo, come altri metalli siano in grado di aumentare la mortalità delle api più giovani e di indebolire il sistema immunitario delle api in genere”. Questi insetti infatti raccolgono acqua, nettare, polline e vari particolati all’interno di un’area di circa tre chilometri dall’alveare, entrando continuamente in contatto con il metallo durante la ricerca di nettare e polline da piante dove era stato precedentemente accumulato. Il territorio lodigiano in questione si presenta così: uno studio di Legambiente del 2019 riporta un pesante inquinamento atmosferico per le polveri sottili in ben 55 capoluoghi di provincia in Lombardia, per cause legate a traffico, riscaldamento, attività industriale e pratiche agricole. “La provincia di Lodi è un esempio di combinazione di inquinanti provenienti da diversi settori, tanto da essere annoverato tra le aree europee a più alto impatto ambientale”, prosegue Costa, chiarendo che “questo è in parte il prodotto di un’agricoltura basata sulla monocoltura intensiva dominata dai cereali e in particolare dal mais. Un ulteriore effetto negativo è la diminuzione della biodiversità, indispensabile per la sopravvivenza degli impollinatori”.
“Al di là degli studi sulle api come bioindicatori, gli effetti tossicologici dei contaminanti ambientali a livello di colonia e gli effetti sullo stato di salute delle api sono stati scarsamente caratterizzati e nessuna ricerca ha studiato l’effetto dei metalli pesanti sulla risposta immunitaria delle api. In particolare, ci sono pochi dati disponibili sulla potenziale relazione negativa tra i contaminanti e lo stato di salute di una colonia in termini di malattie e infestazione da acari”, continua la dottoressa, che poi spiega come si svolge la ricerca.“Si basa sulla combinazione del monitoraggio dell’attività delle api e sullo studio, in parallelo, degli inquinanti ambientali sulle api e nell’atmosfera in cui vivono”. Le informazioni raccolte sono analizzate poi dal team del dottor Giorgio Fedrizzi all’Istituto Zooprofilattico di Bologna, e potranno “costruire la base per un modello predittivo sull’inquinamento ambientale”. Per quanto riguarda invece l’analisi dei metalli atmosferici, questa viene “condotta tramite l’utilizzo di sacchetti di muschio – frutto della collaborazione con il dottor Pierluigi Cortis dell’Università di Cagliari – come indicatori ambientali da comparare alle api”, aggiunge Costa. Le api e il muschio i nostro alleati contro l’inquinamento.