La Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo è l’unico ospedale del Sud Italia che per gestire le condizioni di fragilità dell’anziano ha attivato la degenza ad alta intensità di cura che non è altro che la combinazione tra l’approccio intensivistico classico e il metodo multidimensionale geriatrico. Questo nuovo sistema permette di curare i pazienti ad elevata complessità che necessitano di uno stretto monitoraggio clinico-strumentale, di un trattamento con ventilazione artificiale o di un supporto emodinamico con farmaci vasoattivi.
La degenza
Questa nuova realtà è gestita da personale medico della geriatria e da uno staff infermieristico composto da professionisti provenienti dalle aree geriatriche e di rianimazione. É dotata di 10 posti letto monitorizzati e di ventilatori ospedalieri di alta fascia per la ventilazione artificiale invasiva e non invasiva, nonché di supporti per il sostegno dell’emodinamica.
L’intervista
La maggior parte dei pazienti che si affaccia al pronto soccorso sono anziani e presentano una coomorbidità di patologie che presuppone un intervento mirato e che consideri le problematiche in corso. La degenza è un momento importante del ricovero perché si tratta di un intervento di urgenza che deve sanare una situazione acuta prima che il paziente venga assegnato a un altro reparto.
Il prof. Antonio Greco, direttore della geriatria della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, ha spiegato ad Interris.it i vantaggi di questo tipo di degenza.
Dr. Greco, perché si è resa necessaria l’introduzione di una degenza ad alta intensità di cura?
“La transizione epidemiologica successiva al crollo della natalità e all’aumento considerevole dell’aspettativa di vita ha fatto sì che due terzi delle persone che si rivolgono in condizioni di emergenza ad un ospedale per acuti siano compresi in una fascia di età anziana. Per questo motivo è necessaria una nuova modalità di assistenza-accoglienza che combini un approccio intensivistico classico, reso possibile dalla stretta collaborazione tra il dipartimento di scienze mediche, le due unità di anestesia- rianimazione e la cardioanestesia, con un metodo consolidato per la gestione della fragilità”.
Che cosa ha di diverso questo tipo di degenza rispetto a quella tradizionale?
“L’aspetto più innovativo che viene realizzato all’interno della nuova unità è proprio l’impiego di una valutazione in grado di individuare e trattare in maniera precoce le grandi sindromi geriatriche del paziente critico, quali il delirio e la sarcopenia, ed individuare i rischi potenziali di un trattamento quasi sempre poli farmacologico. Si deve considerare che l’anziano è un paziente difficile da trattare e spesso il non buon esito della cura non è dovuta alla bravura del medico, ma alla condizione funzionale a cui l’anziano si assesta. Questa degenza con dei geriatri altamente formati riesce a calibrare i vari interventi e dare al paziente la migliore condizione possibile”.
La valutazione multidimensionale geriatrica può migliorare la cura del paziente?
“La fragilità rappresenta per l’anziano il miglior predittore di esito sfavorevole e rappresenta una sorta di vulnerabilità a superare qualsiasi evento stressante sia di tipo biologico che psicologico. Nel corso degli anni la valutazione multidimensionale geriatrica si è dimostrata il miglior metodo per esaminare la vulnerabilità e ha la capacità di ridurre la mortalità del paziente anziano in qualsiasi ‘setting’ assistenziale”.
Qual è la sfida più delicata che ogni giorno voi medici geriatri dovete affrontare?
“Quella di cercare di capire quanto alzare l’intensità di cura. Noi abbiamo molte armi in mano, ma spesso alcune di queste potrebbero non essere appropriate perché l’esito finale potrebbe essere dettato da altre patologie in corso e da complicanze che si presentano durante l’iter. Il paziente è la cosa più preziosa che abbiamo e va tutelato fino in fondo, per questo prima di decidere l’intensità di cura da adottare ci confrontiamo a lungo con i suoi familiari”.