Anuptafobia: di cosa si tratta, rischi e conseguenze

La società ipercompetitiva, fondata sul successo esteriore straccia identità personale e relazioni sociali: esserne un adepto comporta paure, solitudine e sfiducia nel prossimo

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L’anuptafobia consiste nella paura di rimanere “single”, oggi amplificata universalmente dai social, che attanaglia uomini e donne, certi di non trovare il partner sentimentale con cui finalizzare la propria esistenza. Trae origine dal termine latino “nupta” (sposa) a cui si antepone il prefisso privativo “a” e il lemma greco “phóbos” (paura).

In precedenza, tale fobia era conosciuta come “sindrome di Bridget Jones”, dal nome del personaggio (prima del romanzo “Il diario di Bridget Jones” di Helen Fielding, poi della relativa trasposizione cinematografica) che simboleggia la ricerca ostinata, vissuta come tormento, di una compagnia sentimentale. La paura della (sicura) solitudine, irrazionale, infondata ed esagerata, condiziona la vita di chi ne soffre. I sintomi della fobia sono quelli di carattere cardiorespiratorio (a es. tachicardia), gastrointestinali (a es. dolori allo stomaco), depressivi e di ansia.

Un tempo, la condizione, non volontaria, di rimanere scapoli o zitelle era vissuta con dolore, sia a livello personale sia sociale. L’amplificazione “social” dei nostri tempi esaspera tale mancanza e la pone come una chiave di insuccesso/successo a livello di immagine. Storie d’amore scandite sui social, attimo per attimo, pubblicizzate all’infinito, appaiate al trinomio amore/successo/felicità, rendono più “sole” le persone che, di fatto, seppur momentaneamente, lo sono. La vittima rimane, quindi, ancora più schiacciata dal peso di ciò che reputa un insuccesso personale, un’incapacità individuale.

La particolarità del mondo contemporaneo è che il disagio è avvertito in maniera molto evidente, nonostante la condizione di single sia più diffusa rispetto al passato. Per alcuni rimane una scelta, un approccio flessibile ai rapporti sentimentali, per altri costituisce una sofferenza personale e una “diversità” sociale mal digerita.

La società contemporanea tende a polarizzare anche le scelte di vita a livello relazionale e sentimentale: alcune persone decidono di rimanere single, altre, invece, subiscono tale condizione, spesso con grave disagio. Queste ultime sono ossessionate dall’ipotesi di rimaner da sole; si pongono diversi interrogativi sino a sviluppare sensi di colpa e a vivere isolati dal mondo.

La vita di coppia è considerata, dall’anuptafobico, come il conformarsi alle aspettative sociali e il raggiungimento del giusto grado di sicurezza e di realizzazione personale. La ricerca del partner, vissuta in maniera ossessiva, può concretizzarsi in un’unione frettolosa e, nel tempo, non rispondente alla giusta affettività, ai desideri personali e alle esigenze di protezione.

Durante il discorso dell’11 settembre 2011, nell’incontro con i giovani fidanzati, Benedetto XVI, precisò “Manca il vino della festa anche a una cultura che tende a prescindere da chiari criteri morali: nel disorientamento, ciascuno è spinto a muoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo perimetro del presente. La frammentazione del tessuto comunitario si riflette in un relativismo che intacca i valori essenziali; la consonanza di sensazioni, di stati d’animo e di emozioni sembra più importante della condivisione di un progetto di vita. Anche le scelte di fondo allora diventano fragili, esposte a una perenne revocabilità, che spesso viene ritenuta espressione di libertà, mentre ne segnala piuttosto la carenza. Appartiene a una cultura priva del vino della festa anche l’apparente esaltazione del corpo, che in realtà banalizza la sessualità e tende a farla vivere al di fuori di un contesto di comunione di vita e d’amore. […] Per essere autentico, anche l’amore richiede un cammino di maturazione: a partire dall’attrazione iniziale e dal ‘sentirsi bene’ con l’altro, educatevi a ‘volere bene’ all’altro, a ‘volere il bene’ dell’altro. L’amore vive di gratuità, di sacrificio di sé, di perdono e di rispetto dell’altro. ‘Bruciare le tappe finisce per ‘bruciare’ l’amore, che invece ha bisogno di rispettare i tempi e la gradualità nelle espressioni”.

La professoressa Maria Cristina Gori, medico chirurgo e neurologa, è l’autrice dell’e-book, di “Paesi Edizioni”, realizzato nel luglio del 2023, dal titolo “Anuptafobia” (sottotitolo “La paura di rimanere soli”). Il testo, scritto per gli esperti e il comune lettore, descrive la fobia e indica i possibili rimedi.

L’Istat, nel Rapporto annuale 2024, presentato il 15 maggio scorso, visibile al link https://www.istat.it/it/files/2024/05/Rapporto-Annuale-2024.pdf, ha rilevato, fra i numerosi dati, quanto segue “Si sono progressivamente diffuse nuove modalità di formazione della famiglia. Coppie non coniugate, famiglie ricostituite, single non vedovi e monogenitori non vedovi rappresentano nel 2023 oltre un terzo del totale delle famiglie (contro poco più del 20 per cento nel 2002-2003). Si tratta, nel complesso, di oltre 18 milioni e mezzo di individui, corrispondenti a quasi un terzo della popolazione, una quota più che doppia rispetto a venti anni fa. Sono soprattutto i bambini e i ragazzi fino ai 24 anni, che sempre più spesso vivono con genitori non coniugati o con madri single, a essere interessati dalle trasformazioni dei modelli familiari. Tra gli adulti tra i 25 e i 64 anni è raddoppiata la quota di quanti vivono senza partner ed è più che raddoppiata quella di quanti vivono con un partner senza essere coniugati, o in famiglie sposate in cui almeno uno dei due coniugi proviene da un precedente matrimonio. Anche le persone anziane sono state investite da nuovi modi di fare famiglia: sono aumentati quelli che vivono da soli a partire dai 65 anni non soltanto come conseguenza della vedovanza e – tra i 65 e i 74 anni – sono raddoppiati quanti sperimentano forme non tradizionali di unione (libere unioni e famiglie ricostituite)”.

I social, nonostante creino occasioni di conoscenza e confronto, possono costituire un pericolo. Nell’epoca, infatti, dell’immagine e della felicità da mostrare a tutti, la solitudine e la tristezza non hanno molto posto e, soprattutto, possono rendere “diverso” chi non si conforma. Tale adattamento, a volte, porta a relazioni brevi, a “tempo determinato”, pur di mostrare di non restare soli.

La pressione sociale è deleteria e può indurre ad accettare relazioni sentimentali non rodate pur di evitare l’esclusione e la solitudine. La necessità di dover trovare un amore a tutti i costi può determinare anche una “programmazione” di vita orientata esclusivamente a tale obiettivo. Per tale motivo, ogni occasione di incontro è concepita (potenzialmente “svilita”) solo in maniera funzionale, diretta alla conoscenza dell’eventuale partner.

La fobia riproduce la sensazione di esser “sfortunati”, dimenticati dal mondo e vittime di una società spietata in cui il sentimento non trova giusta legittimazione; la deriva poggia verso una diminuzione dell’autostima. L’anuptafobia oscilla da una condizione iniziale in cui, stretti dal terrore, sono poste in moto tutte le strategie possibili pur di giungere al traguardo ad altre situazioni, spesso causate da insuccesso, in cui ci si abbandona al pessimismo.

La necessità della compagnia potrebbe anche determinare, in caso di recente delusione sentimentale, un’attenzione rivolta su una possibile “sostituzione” anziché sulle motivazioni che hanno condotto all’interruzione. Concentrare le considerazioni e le attività unicamente a quell’ideale divenuto tormento, implica anche il distoglimento da altre occupazioni importanti del quotidiano.

Le conseguenze, quindi, si traducono in un clima di sfiducia totale verso se stessi e nei confronti del prossimo. Quest’ultimo è considerato, erroneamente, come un nemico, un approfittatore, non un punto di riferimento e di stabilità. Occorre riflettere su quale sia il confine tra la paura di rimaner soli, il desiderio di una relazione affettiva e il conformismo/bollatura imposto dalla società.

Per risolvere il problema è auspicabile, oltre a rivolgersi agli specialisti della psiche, un diverso approccio, non estremo e apocalittico, di apertura alle reti sociali e di fiducia nei confronti del prossimo, consapevoli che gli obiettivi, di natura sentimentale e non, possono anche presentare momentanei insuccessi, da capitalizzare per evitarne altri.

La propria scelta, inoltre, dovrebbe essere sempre più personale, frutto di valutazione profonda e non di aderenza, superficiale, ai diktat che la società e i social impongono.