Cosa lega un essere umano ad un cane? Sarà un sentimento di amore, di fiducia: chissà. Fatto sta che nella quotidianità i nostri amici a quattro zampe non ci abbandonano mai. Vogliono partecipare ai momenti di estrema gioia come a quelli di ineludibile difficoltà. Lo fanno spontaneamente, senza chiedere mai nulla in cambio. Ci ricordano come spesso la terminologia “Padrone-animale” sia illusoria e traviante perché il cane insegna inspiegabilmente agli umani ad essere più umani. Da questo felice rapporto nasce l’”Associazione Nazionale Utilizzo Cani per Scopi Sociali” (ANUCSS) che si dedica alle attività di pet therapy permettendo di fare riabilitazione con “giocosità” come racconta ad Interris.it la presidente Sabrina Gasparri.
Da cosa nasce la volontà di dar vita ad ANUCSS?
“La nostra associazione nasce nel 1998 da un gruppo di conoscenti con la passione per i cani che avevano comunque interesse di mettere questa passione al servizio delle persone con problematiche, le quali potevano trovare piacevole ed utile l’interazione con il cane. Da lì, si è deciso di strutturare anche una formazione con l’inserimento di figure professionali. Non solo cinofili che conducono l’animale nel setting terapeutico ma anche quelle figure al servizio dell’utenza come psicologi, medici, educatori, fisioterapisti. La base per poter lavorare bene in questo ambito è fare squadra. Bisogna conoscere il cane e bisogna interessarsi profondamente dell’utenza. Non si tratta solo di condurre un animale”.
Quando ci sono bambini che hanno particolare paura dei cani, che metodi utilizzate per affievolire tale sentimento?
“Qui parliamo di un’attività particolare che non attiene propriamente al sostegno nelle terapie. Ci riferiamo alla risoluzione di una problematica del bambino normodotato o disabile. Una paura che può derivare da panico o dalla mancata conoscenza dell’animale. Lavoriamo, quindi, con un supporto psicologico per superare questo sentimento. Poi, con l’avvicinamento di cani particolarmente tranquilli ed educati che aiutano il bambino a comprendere la non pericolosità, ci si abitua alla relazione con l’animale. Bisogna essere accorti a che il bambino non si abitui ad un solo animale. Perciò, noi nel percorso inseriamo diversi cani con caratteristiche differenti. Il bambino impara a conoscere i segnali comunicativi dell’animale e così comprende se può fidarsi o meno. Ci sono situazioni in cui bisogna avere anche paura del cane”.
Che rapporto si instaura tra il cane e il paziente?
“E’ un rapporto di giocosità. Si gestisce il cane, divertendosi. Non è una terapia classica dove spesso c’è costrizione e mancanza di naturalezza. Il cane è naturale ed è se stesso. Inoltre, il cane utilizza il non verbale che è la chiave di volta per molte situazioni. Affianco all’animale c’è sempre l’operatore che cerca ufficialmente di far divertire l’utente. In ogni caso, ci sono degli obiettivi da raggiungere nelle terapie. Se un bambino ha una problematica nella motricità degli arti e gli vengono impartite delle attività come utilizzare una spazzola, utilizziamo un cane che viene spazzolato dall’utente. Il bimbo esegue comunque gli esercizi ma lo fa divertendosi ed entrando in relazione con l’amico a quattro zampe.
I cani vengono selezionati?
“Noi siamo dei professionisti nel settore e quindi lavoriamo con dei cani che vengono selezionati addirittura dal momento della nascita. Le caratteristiche devono essere quelle della socievolezza spontanea, della gregarietà, docilità, prevedibilità. Inoltre, è essenziale il lavoro di educazione e formazione del cane di terapia, il quale deve abituarsi ad ambienti particolarmente stressanti come un reparto ospedaliero. Comunque, io non precludo la scelta del cane ad una razza specifica. È ovvio che alcune razze sono predisposte con maggior facilità allo svolgimento di queste attività come i Retriever o i cocker spaniel. Mentre, il cane dal canile è da escludere perché ha un trascorso non sereno e non sarebbe corretto inserirlo in ambienti stressanti. Ma questa non è una regola”.
Quali sono i risultati di questa interazione?
“Sono risultati positivi. Per farle un esempio, qualche anno fa lavoravamo con meno attenzione alla metodologia ma con più emotività. Abbiamo assistito un ragazzo autistico che non parlava con nessuno ma che amava moltissimo i cani. Noi lo abbiamo coinvolto in un percorso ad ostacoli con l’animale. Un’attività dove è indispensabile dare dei segnali e delle indicazioni sonore. Abbiamo cominciato a scrivere nella sabbia il comando vocale e pian piano il ragazzo ha cominciato a parlare”.