A causa della diffusione della pandemia da coronavirus siamo stati costretti, per salvaguardare la salute di tutti, a un lungo periodo di permanenza in casa. Non tutti hanno avuto la possibilità di proseguire il proprio lavoro in modalità smart. Ora, con l’allentamento del lockdown molti si apprestano a tornare al proprio posto di lavoro, tanti lo hanno già fatto. Nonostante la curva epidemica abbia mostrato una tendenza verso il basso da qualche settimana, il nuovo coronavirus – come più volte confermato dagli esperti – non è ancora stato sconfitto. Questo fatto, con l’inizio verso una nuova normalità, provoca ansia e timori in quanti devono spostarsi con i mezzi pubblici, riprendere le attività. La paura di essere contagiati, ma anche quella di trasmettere il virus ai propri cari, è lì, che ci accompagna in ogni nostro spostamento. Una situazione che potrebbe influire sul nostro benessere psico-fisico e far aumentare lo stress. Interris.it ha approfondito l’argomento con la professoressa Maria Malucelli, Docente di Psicologia presso la Clinica Fondazione Fatebenefratelli e specialista in Psicoterapia cognitiva individuale e di coppia e in psicoterapia dell’età evolutiva
Professoressa, con l’inizio della fase 2 migliaia di lavoratori sono già tornati o stanno tornando al loro lavoro. Questo può generare stress?
“E’ un momento in cui tutti noi passiamo da uno stress all’altro. Per stress intendiamo l’impegno delle nostre energie intellettive, emotive e fisiche, per contrastare una situazione non troppo naturale, come la chiusura in casa di questi due mesi. Ci dobbiamo ricordare, che pur essendo esseri spirituali, siamo stati anche esseri animali, ossia portati al movimento comunque e sempre. Abbiamo viaggiato da un Paese all’altro prima di trovare la nostra dimora necessaria, non solo per la sopravvivenza, ma anche per l’evoluzione. Questa situazione ha provocato un abbassamento delle nostre difese immunitarie. Il poter riprendere il lavoro, la possibilità di riassaggiare una vita che già facevamo, da una parte prevede una sorta di allegria emotiva, dall’altra prevede un impegno di stress che ci riporta a vivere e ad andare avanti per come eravamo prima. Questo si chiama eustress, cioè uno stress positivo che deve essere vissuto, se se ne prende consapevolezza, nel migliore dei modi e gradualmente. Se una persona passa dallo smartworking a casa e ritorniamo in ufficio al lavoro, per eustress si intende che gradualmente noi ci inseriamo nella situazione che viviamo in parte come nuova. Non dobbiamo pretendere dalla nostra testa, dal nostro cuore e corpo un adattamento immediato, dobbiamo capire che riadattarci a questa situazione impiegheremo dalle due alle tre. In questo tempo dobbiamo avere pazienza con noi stessi”.
Cosa potrebbe accadere se non rispettassimo questo periodo di adattamento?
“Non tutte le persone hanno reagito allo stesso modo a questa chiusura. Per alcuni tornare al lavoro potrebbe essere anche uno sfogo liberatorio. In ogni caso, dobbiamo cercare di avere una nostra piattaforma di relax. Dobbiamo avere un momento solo per noi, per correre, meditare, pregare, ascoltare musica. Se rispettiamo questo schema, le cose possono andar bene anche se ci reinseriamo molto velocemente”.
Rientrare a lavoro significa incontrare più persone ed essere esposti al contagio da coronavirus se non vengono rispettate le misure di sicurezza. Questo genera preoccupazione per sé stessi e per la salute della propria famiglia. Come si può gestire la paura?
“Deve rimanere una paura, non deve diventare un panico, ossia una paura in eccesso, il pericolo non deve gestire il nostro cervello e il nostro corpo. Avere paura è una situazione molto naturale, non dobbiamo permettere che ci blocchi nel lavoro e nella vita, ma ci deve aiutare ad essere molto prudenti. La prudenza prevede il rispetto delle regole che ci sono state, in qualche modo, non consigliate e neanche proposte, ma giustamente imposte. Questo rispetto delle regole prevede che, anche la paura diventi mano a mano prudenza, che è l’obiettivo fondamentale per chi rispetto alle malattie, o a questo virus, ha un atteggiamento semi-ipocondriaco, in cui il terrore della malattia prende il sopravvento nella nostra testa. Questa purtroppo è una malattia”.
Gli ipocondriaci sono consapevoli di essere affetti da questa patologia?
“Sì, c’è una consapevolezza a metà, nel senso che chi ha questa tendenza sa di avere il terrore di qualsiasi malattia, figuriamoci di un virus. Purtroppo, non riescono a rispettare consigli professionali che vengono dati. Ho visitato tempo fa una persona affetta da ipocondria grave che si è presentata con due borse piene di elettrocardiogrammi dicendo che l’ultimo lo aveva fatto a Latina, perché a Roma non glielo faceva più nessuno. Siamo di fronte a situazioni in cui, purtroppo, se la testa è invasa da questa patologia, ci vuole lo specialista. Quando ci si sente così dobbiamo ricordare l’umiltà è una forma di intelligenza e quindi usufruire anche del consiglio degli specialisti”.
Cosa consiglia per chi si appresta a tornare al lavoro per gestire lo stress?
“Bisogna occuparsi della propria vita psico-fisica nel migliore dei modi. In molti, se devono iniziare il proprio turno di lavoro alle 8.30, la tendenza è svegliarsi alle 7.30 e poi fare tutto di corsa. E’ sbagliato. Bisogna puntare la sveglia alle 6.30, rimanere dieci minuti nel letto, fare le abluzioni e poi una buonissima colazione, tutto in maniera rallentata e poi corro. Prima delle corse ci vuole un grande rallentamento. Anche durante il lavoro bisogna fare delle pause da seduti, non c’è bisogno di lasciare la scrivania. In otto ore di lavoro, se per quattro volte facciamo una pausa dentro di noi, pensando ad un’esperienza bella, a come risolvere bene un weekend che non prevede grandi uscite, tutto questo rallenta il nostro stress”.