Agasisti: “Personalizzare la didattica, un’esigenza di tutti”

Come valorizzare alunni e studenti con disabilità a scuola è il tema di uno degli eventi al Meeting di Rimini. Interris.it ne ha parlato con Tommaso Agasisti, professore universitario e componente del consiglio direttivo di La Mongolfiera Odv, ragionando anche sul loro ingresso nella vita sociale

Foto di Holly Dornak da Pixabay

La scuola è un bene per tutti e tutti sono un bene per la società. Ogni persona va accolta, inclusa e valorizzata per la sua dignità intrinseca e per i suoi talenti. E’ il tema centrale della riflessione sull’inclusione, sull’accoglienza e sull’accompagnamento delle persone con disabilità a scuola “Un bene per tutti: valorizzare una persona con disabilità a scuola”. Nella cornice del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, sabato 24 agosto ne discutono il pedagogo e docente universitario Luigi D’Alonzo, il rettore della scuola milanese Regina Mundi Matteo Severgnini, la presidente di Fondazione per la scuola Giulia Guglielmini e il professore e ricercatore del Politecnico di Milano Tommaso Agasisti, componente del consiglio direttivo di La Mongolfiera, una delle due associazioni, insieme a Sostieni il sostegno, che hanno curato l’iniziativa. “La scuola è il luogo dove ragazzi che hanno qualche difficoltà possono vivere importanti esperienze di crescita”, dichiara Agasisti a Interris.it, “serve però una visione unitaria dell’accompagnamento e va pensato il loro ingresso nella vita sociale al termine del ciclo scolastico”.

Ripensare modelli

Nell’anno scolastico 2022/2023 gli alunni con disabilità sono stati quasi 338mila, certifica l’Istat, oltre 20mila in più rispetto al precedente. Il 4,1% della popolazione studentesca, secondo il Miur. “La scuola è pensata in maniera un po’ standardizzata, in base a modelli che devono andare bene per tutti. Ma di fronte alle differenze tra bambini e ragazzi può rivelarsi un ostacolo”, sottolinea Agasisti. Ci sono da ripensare le forme, i tempi, i modi e le attività della scuola in modo da poter accogliere chiunque abbia delle difficoltà, prosegue, individuando nella personalizzazione della didattica un’esigenza in realtà generale e non particolare.

Personalizzare la didattica

Serve consapevolezza di quello che l’attività didattica offre per l’inclusione, per questo c’è bisogno di una stagione formazione dei docenti e di innovazione, dato che ci sono esperienze e contenuti utili per progredire”, continua Agasisti. “Per questo al nostro incontro al Meeting abbiamo invitato esperti in questo campo: la ricerca dà opportunità di ragionare sulle modalità di lavoro per programmare attività per tutti, sia in classe che fuori”, spiega. “La personalizzazione della didattica non è solo un’esigenza di alunni e studenti con disabilità, è per chiunque”, puntualizza.

Scuola inclusiva

Non una situazione disastrosa con qualche punta di eccellenza, ma una generale e diffusa capacità di accogliere, includere e accompagnare nella crescita. E’ questo il panorama della scuola italiana secondo Agasisti. “Il nostro Paese è pieno di scuole, sia statali che paritarie, dove si sperimenta la vera inclusione, grazie alla scelta di includere i bambini con disabilità nelle classi ordinarie”, spiega. Un “ma”, però, non manca. “Gli istituti paritari svolgono un servizio pubblico ai sensi della legge, ma lo Stato copre i costi del sostegno fino alle elementari, poi ricadono sulle scuole o sulle famiglie”, aggiunge. Nella scuola pubblica lo Stato copre interamente i costi del monte ore di sostegno, mentre alle paritarie spetta un terzo dei fondi e il resto viene integrato con varie forme di finanziamento previste dal Ministero dell’istruzione e dagli enti locali, tra cui dall’assistenza educativa o la partecipazione a borse di studio.

Inclusione è condivisione

Agasisti cita, a titolo di esempio, l’istituto paritario milanese Regina Mundi, così Interris.it ha sentito in proposito la preside delle medie Chiara Rossetti. La dirigente scolastica riflette sul significato di accoglienza e inclusione. “Non è solo avere l’alunno in classe a fare un compito tarato sui suoi obiettivi e che interagisce con i compagni, inclusione è la reale condivisione della sua storia con quelle dei suoi compagni, che ne escono arricchiti a loro volta”. Rossetti racconta, a mo’ di esempio, come nei tre anni di scuola medie tra un’alunna con disabilità molto grave e il resto della classe si è costruita una relazione solida. “Ogni mattina lei aveva la possibilità di scegliere due compagni di classe con cui fare colazione, per imparare a conoscersi superando timori e incertezze. Poi al laboratorio di arteterapia un suo compagno le prendeva la mano per aiutarla a dipingere. Alla fine dei tre anni i suoi compagni hanno raccolto i loro pensieri su di lei”. “Il ragazzo o la ragazza sono di tutta la comunità, non solo delle figure a cui sono affidate per il loro bisogno”, conclude la preside, “l’inclusione richiede un cambiamento di sguardo da parte di tutti”.

Visione unitaria

Con il passare del tempo aumenta la platea di alunni e studenti con disabilità e bisogni speciali, per cui le necessità a cui dare risposta sono più numerose e diversificate. “Sicuramente la prima questione da risolvere è la continuità didattica degli insegnanti di sostegno, per questi scolari è importante avere figure di riferimento che rimangono costanti”, osserva Agasisti. L’altra grande questione è però il passaggio dalla vita durante la scuola dell’obbligo all’ingresso nel mondo degli adulti. “L’ingresso nella vita sociale è tema ancora aperto, non ci sono molte offerte educative e di accompagnamento per la disabilità quando termina il periodo scolastico”, afferma, aggiungendo che questi giovani e giovanissimi fuori scuola trovano minori opportunità rispetto ai loro compagni di classe e l’orientamento alla scelta della scuola superiore “è ancora un po’ debole”.  La vita di ciascuno è fatta dalla composizione di tanti pezzi, che non possono essere visti distinti – quasi isolati – gli uni dagli altri. “Serve una visione unitaria dell’accompagnamento, non frammentarlo in servizi separati”, conclude Agasisti, “il progetto di vita è la strada giusta, se si riesce a integrarlo anche con il contributo positivo della scuola”.