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Afghanistan, la tragedia dimenticata

La popolazione afgana continua a subire i contraccolpi della guerra e la situazione umanitaria resta grave dal punto di vista alimentare, sanitario, educativo

Allarme Afghanistan. L’organizzazione umanitaria Intersos richiama l’attenzione sul martoriato Paese asiatico dove 23,7 milioni di persone hanno bisogno di aiuti per sopravvivere. L’80% delle famiglie afghane vive con meno di un dollaro al giorno. E i tassi di malnutrizione materno-infantile sono fra i più alti al mondo. “Agire è imperativo“, avverte Intersos. Serve un rilancio dell’azione umanitaria non condizionata da obiettivi di altra natura e fondata su quattro pilastri. E cioè il pieno finanziamento del Piano di Aiuti Umanitari (Humanitarian Response Plan) per il 2024. Con fondi prevedibili, flessibili e pluriennali. Per sostenere una risposta efficace. Quindi c’è bisogno del rilancio dei finanziamenti destinati allo sviluppo e alla “early recovery”. Così da sostenere la ripresa dei servizi di base e in particolare dei servizi sanitari. Poi c’è urgenza di un accesso equo ai servizi e agli aiuti per tutta la popolazione afgana. Particolare attenzione va riservata alle categorie marginalizzate. Ossia sfollati interni, “returnees”, donne e bambini e persone con disabilità. Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un confronto attivo. Tra organizzazione umanitarie, stakeholder internazionali e autorità.

Afghanistan
Foto di Amber Clay da Pixabay

Allarme-Afghanistan

L’Afghanistan necessità della riaffermazione della “centralità del ruolo attivo delle donne“. Che, ancora oggi, rappresentano circa il 50% dello staff Intersos nel Paese. E del loro “imprescindibile contributo all’azione umanitaria e alla crescita della società afgana”. Centrale, inoltre, è il tema della confisca delle riserve della Banca centrale afgana (Dab) da parte degli Stati Uniti e alleati. Con il congelamento di 9,5 miliardi di dollari, bloccati nella Federal Reserve Bank  E in misura inferiore in banche europee (compresa l’Italia). La Dab in pratica è stata tagliata fuori dal sistema bancario internazionale. E non è più in grado di svolgere le sue normali attività per garantire il funzionamento dell’economia. “La popolazione afghana subisce le conseguenze di misure arbitrarie e inique – sostiene l’organizzazione United AgainstInhumanity (Uai)-. E’ urgente uno scongelamento graduale con monitoraggio internazionale di questi fondi che appartengono al popolo afghano”. Una misura indispensabile per il “benessere della popolazione”. Senza che ciò comporti il riconoscimento del regime talebano“. E invece la popolazione afghana continua a subire i contraccolpi della guerra e la situazione umanitaria “resta grave” dal punto di vista alimentare, sanitario, educativo. Sono i temi che sono stati sollevati oggi durante un’audizione al Comitato permanente sui Diritti umani della Camera dei Deputati.  Vi hanno partecipato quattro esponenti di organizzazioni della società civile. Rossella Miccio di Emergency, Giovanni Visone di Intersos, Giuliano Battiston di Afgana e Antonio Donini di United AgainstInhumanity (Uai).

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Foto di Sohaib Ghyasi su Unsplash

Cure negate

“In un Paese dove fino all’agosto del 2021 l’assistenza allo sviluppo dei Paesi occidentali copriva circa il 73% del bilancio, l’assenza pressoché totale degli aiuti e le sanzioni continuano ad aggravare la già difficile sopravvivenza della popolazione”, hanno sottolineato le organizzazioni. Emergency ha messo in evidenza che l’86% degli afgani si è visto costretto a prendere denaro in prestito per curarsi e il 70% a posticipare le cure. Particolarmente rilevante è il dato della violenza indiscriminata da esplosivi. Da gennaio ad aprile 2024 Emergency ha ricoverato oltre 200 pazienti per ferite da scheggia o da mina tra i quali 94 (quindi 1 su 2) erano minori di 18 anni. In 24 anni l’organizzazione ha investito circa 180 milioni di euro per garantire il diritto alle cure senza discriminazioni attraverso la promozione di una cultura di pace e di diritti non solo per i pazienti, ma anche per i 1.700 membri dello staff locale tra cui 370 colleghe afgane, che possono operare nel campo della salute. “E’ necessario investire nella salute perché gli ospedali possano continuare a garantire il diritto alla cura ed essere luoghi di pace e costruzione di comunità che, per troppi decenni, non hanno avuto possibilità né prospettive future, prima perché afflitte dalla guerra, ora dalla povertà e dall’oblio internazionale”, puntualizzano gli operatori umanitari.

Afghanistan
Foto di 12019 da Pixabay

Aiuti internazionali

La drammatica situazione umanitaria in Afghanistan, un Paese che prima dell’uscita delle truppe occidentali e della presa del potere dei talebani viveva di aiuti internazionali, richiede azione e dialogo, anche senza riconoscere il regime “de facto” che governa a Kabul. E’ quanto sostengono le Ong Emergency, Intersos, Afgana e United against inhumanity che oggi hanno partecipato alla Camera all’audizione. “In un Paese dove fino all’agosto del 2021 l’assistenza allo sviluppo dei Paesi occidentali copriva circa il 73% del bilancio, l’assenza pressoché totale degli aiuti e le sanzioni continuano ad aggravare la già difficile sopravvivenza della popolazione”, denunciano le Ong. “Di fronte all’attuale impasse, per proteggere la popolazione c’è dunque bisogno di uno scarto: una diplomazia dei piccoli passi, dietro le quinte, che non sia declamatoria e basata su ultimatum, ma che ricerchi l’opzione che più tutela i diritti e i bisogni della popolazione afghana e delle donne. Parlarsi non significa riconoscere il regime né accettarne le politiche repressive e discriminatorie. Tra inazione e legittimazione esiste un ampio spettro di possibilità”.

Afghanistan
Foto: Unsplash

Società civile

La posizione, hanno spiegato i rappresentanti delle Ong, è condivisa “da una parte della società civile afghana residente nel Paese, comprese anche organizzazioni di donne. Le conseguenze di disimpegno e isolamento verrebbero pagate dalle stesse categorie che vorrebbe difendere chi nega ogni ipotesi negoziale“. “Non dimenticate l’Afghanistan”. E’ questo il monito che da molte piazze si alzò dopo il ritiro dei contingenti occidentali dal Paese e l’avvento del governo dei Talebani. In 20 anni di presenza militare internazionale su quel territorio, la più lunga della storia, l’Italia ha speso 8,7 miliardi di dollari e gli Usa un trilione, ma l’Afghanistan è rimasto senza alcuna autonomia economica e con standard di vita peggiori di prima. Il Paese è in mano a un governo che viola i diritti umani, vieta alle donne perfino di studiare. Opprime una popolazione già stremata da una situazione sociale ed economica al collasso”, spiega Laura Boldrini, presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. “Il Comitato diritti umani nel mondo della Camera – prosegue – ha audito alcune ong che lavorano in Afghanistan, come Emergency, Intersos, Afgana e United Against Inhumanity le cui denunce non possono lasciarci indifferenti. Solo per citare alcuni dati, 23,7 milioni di persone, più della metà della popolazione, non può vivere senza aiuti umanitari, l’80% delle afgane e degli afgani vive con un dollaro al giorno e il 20% ha visto morire una persona cara perché non ha avuto accesso alle cure sanitarie. Un Paese con più kalashnikov che libri di scuola è stato descritto dove a subire le conseguenze peggiori sono le donne che vivono quella che l’Onu ha definito ‘apartheid di genere‘”. 

Afghanistan
Foto: Medici Senza Frontiere

Chiusura al mondo

“In più – aggiunge la presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo – i risparmi degli afgani sono stati congelati dagli Usa. Si tratta dei soldi delle persone e delle imprese, non del regime. Una situazione aggravata dall’espulsione della Banca centrale afghana dai circuiti internazionali”. Nessuna transizione da e per l’estero è possibile. Una vera rappresaglia economica, sottolineano le ong”. In questa situazione, secondo le associazioni, non si può condizionare il ripristino degli aiuti allo sviluppo alla caduta del regime talebano, a meno di immaginare un’altra guerra per destituirlo. Bisogna aprire dei canali diplomatici perché parlare non vuol dire legittimare e per sostenere la parte più dialogante dei talebani. La chiusura attuata finora non ha fatto che rafforzare il regime che, intanto, attira le attenzioni di Cina e Russia, secondo le Ong. 

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