L’Afghanistan a quasi due anni dal ritiro delle truppe americane sembra essere scomparso dai media. La situazione però non è rosea e il Paese si trova ad affrontare una crisi economica devastante, che sta provocando un aumento della povertà e della criminalità. Emergency opera all’interno del Paese con tre ospedali, uno a nord nella valle del Panjshir, uno nella capitale Kabul e un altro nel sud a Lashkar-gah. Inoltre, collabora con una rete di quarantuno cliniche che offrono un’assistenza di base a una fetta della popolazione che abita nelle aree rurali.
L’intervista
Interris.it ha raggiunto telefonicamente a Kabul Fabrizio Mastroiaco, Grant Manager di Emergency in Afghanistan che ci ha fornito un quadro generale della situazione attuale del Paese.
Fabrizio, quali servizi assicurate negli ospedali?
“Noi di Emergency garantiamo l’assistenza sanitaria gratuitamente e per la popolazione afghana è un grande aiuto in quanto la realtà mostra che il sistema sanitario locale non sempre è in grado di soddisfare i bisogni sanitari di tutti. Ad esempio gli ospedali non riescono a garantire i medicinali che dunque devono essere acquistati dai pazienti. Questa situazione fa sì che una persona su due non si possa permettere l’acquisto di farmaci e un afghano su cinque, nell’ambito di una ricerca da noi effettuata per la realizzazione di un report sulle barriere di accesso alle cure in Afghanistan, ha affermato di aver perso un familiare per non essersi potuto permettere i farmaci necessari per le cure. L’ospedale della valle del Panjshir, oltre al reparto chirurgico, è dotato anche di un centro pediatrico e di un reparto maternità che dall’inizio del 2023 ha raggiunto la media di 600 parti mensili. In quello di Kabul solo nel 2022 abbiamo assistito oltre 383 vittime di attacchi terroristici ed esplosioni che ancora oggi continuano a martoriare la città. Invece, nel sud la situazione è più tranquilla e ci occupiamo dei pazienti che necessitano di cure dovute a incidenti civili come quelli stradali, oppure a traumi di vario genere”.
Nella zona di Kabul ci sono ancora tante esplosioni, quanto lontani siamo dalla tranquillità?
“La situazione è ancora molto in subbuglio. Il 2022 è stato un anno turbolento, ma lo stesso 2023 non è iniziato meglio. L’11 gennaio si è verificato un attacco terroristico proprio vicino al nostro ospedale e in una decina di minuti sono arrivati più di quaranta feriti. Purtroppo a Kabul siamo abituati a questi episodi e a marzo c’è stata un’altra esplosione in un centro commerciale. In quell’occasione abbiamo soccorso quindici pazienti. Siamo lontani da una situazione tranquilla ed è molto difficile fare previsioni di miglioramento. Il Paese sta affrontando una crisi economica molto forte che provoca una condizione di povertà e quest’ultima genera criminalità. Noi stessi nell’ultimo periodo abbiamo riscontrato un aumento del 50-60% di ferite provocate da armi da taglio e da fuoco”.
Le donne sono sotto i riflettori per le tante limitazioni dell’ultimo periodo. Le leggi del nuovo governo cosa provocheranno?
“Le donne di questo Paese vivono una situazione molto critica perché i decreti del governo non le tutelano. Tra questi c’è quello che vieta alle donne di lavorare per le Ong nazionali e internazionali, ma questo divieto esclude l’area sanitaria per cui ancora oggi noi di Emergency abbiamo 365 colleghe afghane che riescono a prestare attività nei nostri centri. Il problema però ci riguarderà a breve in quanto un’altra legge del nuovo governo prevede il divieto assoluto alle ragazze di accedere all’istruzione universitaria. Ciò comporta che nel giro di alcuni anni riscontreremo una grave carenza di figure professionali femminili anche nel nostro settore e di conseguenza per le donne afghane sarà più difficile ricevere cure e assistenza”.
Quanto la povertà di questo Paese pesa sui bambini?
“Purtroppo ha un impatto forte e provoca casi di malnutrizione che sono molto difficili da prevenire ed evitare. Le condizioni economiche del Paese si riversano sulle famiglie che spesso fanno fatica a mettere sul tavolo un piatto caldo. Il nostro contributo è quello di garantire la salute a queste persone che hanno bisogno di un lavoro perché l’impossibilità di svolgere un’occupazione o una disabilità in un contesto come quello dell’Afghanistan vorrebbe dire non avere alcuna possibilità di occupazione e di tutela e di conseguenza comporterebbe una condizione di povertà permanente”.