Numerose fragilità sociali, soprattutto tra gli adolescenti, stanno emergendo in maniera sempre più marcata. In particolare, soprattutto dopo la pandemia da Covid – 19, genitori, insegnanti e diversi altri ruoli adulti di riferimento sembrano sempre più in difficoltà nell’intercettare i segnali di un dolore sempre più inesprimibile, in una società che, a tratti, appare più individualista. Interris.it, in merito a questi temi, ha intervistato la professoressa Elena Marta, docente ordinario di Psicologia sociale e di comunità nella Facoltà di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’intervista
Professoressa Marta, quali sono le nuove fragilità giovanili maggiormente diffuse?
“A mio parere, ci sono alcune fragilità che sono molto riconosciute. La prima tra tutte è la fortissima ansia da prestazione che, i più giovani, hanno rispetto a standard considerati socialmente desiderabili, come ad esempio lo scegliere un liceo anziché una scuola professionale per il fatto che, lo stesso, è stato consigliato dai genitori o dai docenti. Ovviamente, questa scelta fa sì che, i più giovani, si sentano addosso una responsabilità per la quale devono performare rispetto a degli standard elevati, non perché si percepisca pienamente il valore di ciò che viene studiato, ma per rispondere a dei mandati sociali che dicono di performare. C’è quindi una forte ansia sociale rispetto alle relazioni, con un bisogno di piacere agli altri e, in qualche modo, tutto ciò, si sposa con un certo ritiro. Esso si verifica nel momento in cui non riescono a piacere e a performare. L’isolamento, pertanto, è la conseguenza del loro non sentirsi mai adeguati. Ciò che è emerso da una ricerca che abbiamo fatto con adolescenti e preadolescenti è il fatto che, i più giovani, non si sentono mai sufficientemente competenti e capaci per il mondo degli adulti. L’elemento più preoccupante più, oltre a questo senso del fallimento, il quale fa sì che, l’errore, non venga visto come fonte di apprendimento ma, al contrario, è percepito come un fallimento e, conseguentemente, abbassa la loro autostima e non diventa uno stimolo per crescere”.
In alcuni casi, dopo la pandemia da Covid – 19, dal mondo adolescenziale, tende a emergere una sorta di rabbia verso il mondo adulto. A cosa è dovuta?
Si, un ulteriore elemento, che sta emergendo da una ricerca che stiamo effettuando, è la rabbia che gli adolescenti hanno nei confronti del mondo e, in special modo, degli adulti. Rimproverano a questi ultimi di non essere coerenti, di averli illusi durante la pandemia da Covid – 19 in merito al fatto che si potessero dare priorità diverse alla vita e ricostruire tutto con un senso di autenticità e solidarietà. Appena è terminata l’emergenza però non è stato così: non sono stati offerti loro luoghi di speranza ove rielaborare quanto accaduto. I più giovani vedono pochi adulti appassionati, non danno loro fiducia e speranza. Gli adolescenti non cercano la bontà ma la relazione autentica e un confronto sincero. Siccome non riescono a trovare tutto ciò, sono abbastanza arrabbiati con il mondo adulto. L’isolamento si tende a vedere mentre, la rabbia, la si vede solo quando esplode nei gruppi più marginali, i quali però, sono sintomo di una generazione che si sente non vista nei rispettivi bisogni e nella sofferenza e, per essere visti, utilizzano la rabbia che, se è orientata, può diventare energia ma, se non lo è, diventa l’aggressività verso l’altro, gli oggetti e il mondo”.
Di cosa hanno più bisogno gli adolescenti oggi?
“Hanno bisogno di luoghi in cui potersi confrontare con degli adulti che li ascoltino. Hanno bisogno di qualcuno che porga loro ascolto e di ripartire dalle cose più piccole. Bisogna chiedere a loro ciò che vogliono fare e sentono nelle loro corde, facendoli partecipare alla progettazione delle iniziative. Sentire gli adulti a fianco nella conferma delle loro capacità riveste grande importanza. Ai giovani servono dei luoghi in cui sentano di potersi riconoscere e costruire, partendo dai loro desideri ed inventati con loro. Riassumendo quindi, servono ascolto, autenticità, poter partecipare e sentirsi valorizzati attraverso ciò che sanno fare e per quello che effettivamente sono. Ogni generazione ha le proprie capacità e criticità, continuare a dire che, gli adolescenti di oggi, sono diversi rispetto a quelli di altre epoche non serve. Lo sono perché è diverso il contesto. Non necessitano di paternalismo o di sentirsi dire quanto sono buoni, ma rispettano molto gli adulti che gli indicano i loro errori e li aiutano a compiere le scelte migliori, facendoli sentire di valore anziché inadeguati”.
Quale deve essere il ruolo dei genitori e degli adulti in generale per favorire un processo di crescita più armonioso possibile?
“I genitori e gli adulti devono essere fermi sulle loro posizioni e anche dal punto di vista normativo. Vanno bene gli affetti e il supporto ma, gli adolescenti, hanno bisogno anche di norme e di una bussola. Quest’ultima non deve essere imposta in maniera autoritaria, ma attraverso una chiarezza valoriale che a loro serve. L’adulto, pertanto, non deve presentarsi come perfetto, ma come una persona in grado di fornire delle risposte, capace di affrontare le fatiche e gli errori, sapendo rialzarsi. I ragazzi vogliono adulti che mostrino loro cosa fare quando si cade e come ci si rialza, ovvero persone autentiche e, se possibile, coerenti. Serve quindi ragionare su tutto ciò e farlo diventare fonte di apprendimento. Bisogna ricostruire un’alleanza tra adulti: genitori, docenti ed educatori devono essere alleati tra loro e non contrapposti. Gli adolescenti sono disorientati dalla frammentarietà e dal disorientamento del mondo adulto. Mentre desidererebbero vedere degli adulti che, seppur su posizioni diverse, si mettono a confronto ed hanno a cuore loro come generazioni e quindi si alleano. Non hanno bisogno né di genitori estremamente protettivi né estremamente punitivi”.